martedì 29 luglio 2025

Piero è vivo e lotta con noi. La Meraviglia del Tutto

I libri, spesso, sanno arrivare al momento giusto nelle nostre vite. E' da un po' di tempo, forse complice l'avanzare degli anni e l'inevitabile accettazione, seppur controvoglia, della consapevolezza di avere ormai alle spalle gli anni della vera giovinezza e di non poter più godere delle tolleranze che si lasciano alla gioventù, che mi trovo a riflettere su questioni come la morte, il senso dell'esistenza, il trascendente, la mia "eredità" spiritual intellettuale, il ricordo, il futuro, le prospettive dei miei figli. 

Il mio progressivo, sempre più fatalista, realismo mi porta verso una prospettiva infelice. Temo che non esista un altrove dove incontrare di nuovo i miei cari, temo di non aver speso adeguatamente il mio tempo. Mi girano per la testa anche tempi meno personali, per esempio, sappiamo che tra qualche miliardo di anni il nostro pianeta sarà spazzato via dall'esplosione che porterà il nostro amato Sole a diventare una Supernova, la nostra specie per allora si sarà estinta o sarà evoluta in qualche altra forma, in ogni caso, che fine faranno tutte le conoscenze che abbiamo e avremo acquisito, tutte le nostre storie? Torneranno tutte nel buio cosmico? Probabilmente il mio essere Geologo  mi complica la vita in queste faccende, perché tendiamo a guardare al passato più profondo ed interrogarci sul futuro più remoto.

Ed ecco che ti spunta il libro proprio giusto per una fase di riflessione simile e non poteva che essere dell'uomo che ti ha ispirato e fatto amare la Scienza sin da piccolo e che ti ha portato a studiare Geologia: Piero Angela. Nel suo ultimo libro postumo, una raccolta dei suoi pensieri in una lunga conversazione con uno dei suoi allievi, Massimo Polidoro, con cui ha dato anche vita al CICAP, il Comitato per il Controllo delle Affermazioni delle Pseudo scienze. Attività quanto mai meritoria in questo tempo di fregnacce dilaganti.

"La Meraviglia del Tutto" è un viaggio nelle riflessioni del grande Piero, maturate nel corso di una vita spesa a imparare, esplorare, raccontare, si parla molto di Scienza, ovviamente, ma anche di democrazia, politica, impegno, religione, spazio, vita e famiglia, futuro e giovani. Non nasconde un certo timore proprio per il futuro e i giovani nel suo ragionare. Infatti anche Angela non può che rilevare la grande irrazionalità che imperversa nel nostro tempo, l'ignoranza e la paura che questo genera, le disuguaglianze e i conflitti che ne derivano. Il grande timore è che si limiti la libertà della Scienza, ma soprattutto che se ne abbandoni il metodo (ci ricorda qualcosa di attuale?), riducendo le speranze di miglioramento per i giovani. Giovani che sono il vero tarlo per Piero, a cui si rivolge praticamente per tutto il libro, invitandoli ad appassionarsi alla Scienza, vera chiave per capire il nostro essere e costruire prospettive migliori. Per questo nel libro si ragiona molto di istruzione e scuola. La scuola non deve riempire di nozioni, ma insegnare a collegare le nozioni, per sviluppare il pensiero logico, il ragionamento argomentato e il dialogo costruttivo, veri antidoti al pregiudizio, alla prevaricazione , all'irrazionale. E' necessario che l'insegnate sappia stimolare l'attenzione dello studente, così come lo deve fare il bravo divulgatore: "ludendo docere", un motto che viene richiamato spesso da Piero Angela, divertire, anche mentre si spiegano questioni complesse, non vuol dire sminuire i contenuti o se stessi, perché uno dei motivi per cui la Scienza è diventata estranea alla società si deve anche ad un approccio alla comunicazione troppo chiuso e complesso, derivato da una concezione un po' elitaria del ruolo dell'Accademia. Si deve anche a questo la diffidenza verso la Scienza e il pensiero il pensiero razionale, fatto che in un paese come l'Italia, che Piero definisce un paese emotivo in cerca sempre di soluzioni semplici a problemi complessi, genera la diffusione di false convinzioni, spianando la strada ad imbonitori e demagoghi, che spesso ci portano fuori rotta, con esiti fallimentari per il paese. 

Angela si rende conto che oggi la tecnologia corre più della nostra comprensione della stessa, per questo la usiamo senza cognizione di causa. Per questo ci serve una "filosofia della tecnologia", che ci aiuti a rapportarci intelligentemente con le potenzialità che la tecnica ci offre. E ci serve anche uno studio sulle neuroscienze, che ci aiuti a capire come funziona il nostro cervello, che può essere la chiave del nostro successo, ma anche del nostro fallimento.

La legge di gravità non si può abolirla (ecco il senso dell'affermazione che la Scienza non è democratica), ma se l'uomo la capisce, può imparare a volare. E se uno prende le supposte per bocca, non può lamentarsi se non fanno effetto, sono immagini piuttosto chiare con cui Piero esplica il concetto.

A mio avviso è un libro a "10 cose che ho imparato", libro precedente a questo di Angela, andrebbe fatto leggere alle superiori e andrebbero letti da molti adulti. Infatti, nel testo si spiega l'importanza di continuare sempre a studiare, di coltivare la propria curiosità ad ogni età, è una cosa che nel mio piccolo cerco di fare.

Il libro si chiude con un concetto inaspettato, che non svelo, ma che dimostra come la razionalità non è cinismo o freddezza anzi. Il meglio della natura umana si manifesta quanto libera la sua innata curiosità e impara a collaborare se stessa.

domenica 1 giugno 2025

Se il continente nero fa la rivoluzione verde

Il continente africano è una delle aree più esposte agli effetti del riscaldamento globale. L'estremizzazione climatica, già oggi, sta aggravando i fenomeni siccitosi così come la tropicalizzazione del clima espone a eventi alluvionali eccezionali vaste aree. Ciò comporta la perdita di vite, bestiame, raccolti, terre fertili, riserve idriche, appesantendo le difficoltà di molte regioni, con connessi episodi di carestie ed epidemie, instabilità politiche e migrazioni di massa. A questo si aggiunge la crescita demografica dell'Africa e la crescente domanda di maggior disponibilità energetica, gli ingredienti per un grave crisi socio economica ed ambientale, che solo un illuso o uno stupido possono immaginare restino confinate nel continente.

L'Africa è stata per secoli oggetto di depauperamento delle sue risorse a vantaggio di altri, noi del Vecchio Continente per primi. Eppure, proprio l'Africa ha tutte le potenzialità per sfidare le cause del cambiamento climatico ed addirittura supportare molti dei suoi più o meno ex sfruttatori in questa azione, non più come soggetto subalterno, ma vero e proprio partner, con potenziali importanti ritorni economici.

Il ragionamento è ovviamente più complesso, ma vorrei discutere degli esiti di alcuni studi (1) in corso che evidenziano il potenziale africano nel processo globale di transizione energetica verso modelli di sviluppo a basse o nulle emissioni carboniche

Attualmente circa il 50% della popolazione africana (circa 1,34 mld di persone), non ha accesso all'energia elettrica e a tutto ciò che ne consegue - questo avviene in modo disomogeneo tra le varie aree, l'area subsahariana è la più svantaggiata - la popolazione cresce  del 2,5% anno, nel 2050 l'Africa dovrebbe essere il continente più popoloso, questo cambierà radicalmente i suoi fabbisogni energetici, che oggi incidono per appena il 3% della produzione mondiale di energia.

Le principali fonti energetiche dell'Africa sono ovviamente gli idrocarburi (gas e petrolio in maggioranza), per circa il 65% della produzione, cui seguono i biocarburanti e i rifiuti, il nucleare e l'idroelettrico coprono pochi punti percentuali di fabbisogno. Il potenziale delle energie rinnovabili oggi è molto poco sfruttato, per varie ragioni.

Come sappiamo uno degli elementi su cui si punta molto per ridurre il consumo di fonti fossili è l'idrogeno (H), che si è rivelato un efficiente vettore energetico. L'H si produce per elettrolisi delle molecole d'acqua separando l'idrogeno dall'ossigeno. Il processo richiede energia e, a seconda di quale è l'origine di tale energia, l'idrogeno prodotto è classificato cromaticamente per definire rapidamente la sostenibilità del processo di produzione. Il più desiderato è ovviamente quello "verde", ossia quello in cui l'energia per l'idrolisi deriva da fonti NON fossili. Non semplice però avere queste condizioni, tant'è che a livello mondiale, l'H green, verde, rappresenta solo il 17% della produzione annua complessiva.

L'utilizzo di eolico e solare per la produzione di idrogeno non è sempre una via facilmente percorribile:

  • non tutte le regioni del continente hanno condizioni adeguate di irraggiamento solare o costanza dei venti.
  • servono reti di distribuzione e impianti di accumulo, infrastrutture oggi molto carenti in Africa, servono grandi investimenti la loro realizzazione. Anche gli impianti di elettrolisi richiedono importanti dotazioni infrastrutturali e soprattutto tecnologiche. Per la realizzazione i paesi africani dovrebbero ricorrere a investitori esteri, col rischio di aumentare la propria dipendenza dall'estero.
  • gli impianti eolici e fotovoltaici richiedono ampie superfici, che potrebbero comportare la sottrazione di aree agricole, generando problemi alla sussistenza alimentare delle popolazioni locali.
  • la produzione di idrogeno per idrolisi richiede l'uso di risorse idriche, che verrebbero sottratte alle disponibilità del territorio, acuendo i problemi di approvvigionamento di acqua da bere e per irrigazione in un contesto già critico.
Dobbiamo concludere che l'idrogeno non fa per l'Africa, almeno nel medio termine e non senza l'intervento di capitali esterni? Tutt'altro. Si può arrivare a produrlo sfruttando processi di degradazione anaerobica (ossia fermentazione con batteri che non richiedono ossigeno) di rifiuti e biomasse, elementi entrambi abbondanti in Africa e destinati a crescere insieme alla crescita della popolazione, inoltre le tecnologie necessarie sono già collaudate, disponibili anche nel continente, senza richiedere l'occupazione di terreni impiegati per allevamento e produzione agricola o aumentare la pressione sul consumo di acqua. Non è secondario poi che l'implementazione di tali strutture in concomitanza con la crescita demografica genererebbe la creazione di occasioni occupazionali necessarie per un'area in cui la maggior parte delle popolazione è in età da lavoro.

L'idrogeno ha inoltre un'altra peculiarità, si può trasportare adattando le reti di trasporto idrocarburi, infrastrutture che l'Africa ha e che la collegano egregiamente al vecchio continente, diverrebbe perciò possibile anche un export del surplus di produzione verso l'Europa, contribuendo agli obbiettivi europei di riduzione delle proprie emissioni carboniche, ed ottenendo una remunerazione per i paesi Africani. Varie agenzie europee stanno avviando collaborazioni e investimenti in questo senso con vari Stati dell'Africa. Come sempre, però, l'Europa procede un po' a macchia di leopardo, un po' in ordine sparso tra i suoi vari governi, servirebbe un'azione coordinata e decisa. L'UE potrebbe, e secondo me dovrebbe, diventare il miglior PARTNER dell'Africa. Il vantaggio sarebbe reciproco e aprirebbe la strada, finalmente ad una stazione di collaborazione tra il vecchio continente e il continente nero all'insegna della collaborazione, condivisione e sostenibilità.

(1) The Potential Role of Africa in Green Hydrogen Production: A Short-Term Roadmap to Protect the World’s Future from Climate Crisis