domenica 1 giugno 2025

Se il continente nero fa la rivoluzione verde

Il continente africano è una delle aree più esposte agli effetti del riscaldamento globale. L'estremizzazione climatica, già oggi, sta aggravando i fenomeni siccitosi così come la tropicalizzazione del clima espone a eventi alluvionali eccezionali vaste aree. Ciò comporta la perdita di vite, bestiame, raccolti, terre fertili, riserve idriche, appesantendo le difficoltà di molte regioni, con connessi episodi di carestie ed epidemie, instabilità politiche e migrazioni di massa. A questo si aggiunge la crescita demografica dell'Africa e la crescente domanda di maggior disponibilità energetica, gli ingredienti per un grave crisi socio economica ed ambientale, che solo un illuso o uno stupido possono immaginare restino confinate nel continente.

L'Africa è stata per secoli oggetto di depauperamento delle sue risorse a vantaggio di altri, noi del Vecchio Continente per primi. Eppure, proprio l'Africa ha tutte le potenzialità per sfidare le cause del cambiamento climatico ed addirittura supportare molti dei suoi più o meno ex sfruttatori in questa azione, non più come soggetto subalterno, ma vero e proprio partner, con potenziali importanti ritorni economici.

Il ragionamento è ovviamente più complesso, ma vorrei discutere degli esiti di alcuni studi (1) in corso che evidenziano il potenziale africano nel processo globale di transizione energetica verso modelli di sviluppo a basse o nulle emissioni carboniche

Attualmente circa il 50% della popolazione africana (circa 1,34 mld di persone), non ha accesso all'energia elettrica e a tutto ciò che ne consegue - questo avviene in modo disomogeneo tra le varie aree, l'area subsahariana è la più svantaggiata - la popolazione cresce  del 2,5% anno, nel 2050 l'Africa dovrebbe essere il continente più popoloso, questo cambierà radicalmente i suoi fabbisogni energetici, che oggi incidono per appena il 3% della produzione mondiale di energia.

Le principali fonti energetiche dell'Africa sono ovviamente gli idrocarburi (gas e petrolio in maggioranza), per circa il 65% della produzione, cui seguono i biocarburanti e i rifiuti, il nucleare e l'idroelettrico coprono pochi punti percentuali di fabbisogno. Il potenziale delle energie rinnovabili oggi è molto poco sfruttato, per varie ragioni.

Come sappiamo uno degli elementi su cui si punta molto per ridurre il consumo di fonti fossili è l'idrogeno (H), che si è rivelato un efficiente vettore energetico. L'H si produce per elettrolisi delle molecole d'acqua separando l'idrogeno dall'ossigeno. Il processo richiede energia e, a seconda di quale è l'origine di tale energia, l'idrogeno prodotto è classificato cromaticamente per definire rapidamente la sostenibilità del processo di produzione. Il più desiderato è ovviamente quello "verde", ossia quello in cui l'energia per l'idrolisi deriva da fonti NON fossili. Non semplice però avere queste condizioni, tant'è che a livello mondiale, l'H green, verde, rappresenta solo il 17% della produzione annua complessiva.

L'utilizzo di eolico e solare per la produzione di idrogeno non è sempre una via facilmente percorribile:

  • non tutte le regioni del continente hanno condizioni adeguate di irraggiamento solare o costanza dei venti.
  • servono reti di distribuzione e impianti di accumulo, infrastrutture oggi molto carenti in Africa, servono grandi investimenti la loro realizzazione. Anche gli impianti di elettrolisi richiedono importanti dotazioni infrastrutturali e soprattutto tecnologiche. Per la realizzazione i paesi africani dovrebbero ricorrere a investitori esteri, col rischio di aumentare la propria dipendenza dall'estero.
  • gli impianti eolici e fotovoltaici richiedono ampie superfici, che potrebbero comportare la sottrazione di aree agricole, generando problemi alla sussistenza alimentare delle popolazioni locali.
  • la produzione di idrogeno per idrolisi richiede l'uso di risorse idriche, che verrebbero sottratte alle disponibilità del territorio, acuendo i problemi di approvvigionamento di acqua da bere e per irrigazione in un contesto già critico.
Dobbiamo concludere che l'idrogeno non fa per l'Africa, almeno nel medio termine e non senza l'intervento di capitali esterni? Tutt'altro. Si può arrivare a produrlo sfruttando processi di degradazione anaerobica (ossia fermentazione con batteri che non richiedono ossigeno) di rifiuti e biomasse, elementi entrambi abbondanti in Africa e destinati a crescere insieme alla crescita della popolazione, inoltre le tecnologie necessarie sono già collaudate, disponibili anche nel continente, senza richiedere l'occupazione di terreni impiegati per allevamento e produzione agricola o aumentare la pressione sul consumo di acqua. Non è secondario poi che l'implementazione di tali strutture in concomitanza con la crescita demografica genererebbe la creazione di occasioni occupazionali necessarie per un'area in cui la maggior parte delle popolazione è in età da lavoro.

L'idrogeno ha inoltre un'altra peculiarità, si può trasportare adattando le reti di trasporto idrocarburi, infrastrutture che l'Africa ha e che la collegano egregiamente al vecchio continente, diverrebbe perciò possibile anche un export del surplus di produzione verso l'Europa, contribuendo agli obbiettivi europei di riduzione delle proprie emissioni carboniche, ed ottenendo una remunerazione per i paesi Africani. Varie agenzie europee stanno avviando collaborazioni e investimenti in questo senso con vari Stati dell'Africa. Come sempre, però, l'Europa procede un po' a macchia di leopardo, un po' in ordine sparso tra i suoi vari governi, servirebbe un'azione coordinata e decisa. L'UE potrebbe, e secondo me dovrebbe, diventare il miglior PARTNER dell'Africa. Il vantaggio sarebbe reciproco e aprirebbe la strada, finalmente ad una stazione di collaborazione tra il vecchio continente e il continente nero all'insegna della collaborazione, condivisione e sostenibilità.

(1) The Potential Role of Africa in Green Hydrogen Production: A Short-Term Roadmap to Protect the World’s Future from Climate Crisis


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