mercoledì 29 novembre 2017

L'ambientalismo dello struzzo.

Si è conclusa qualche settimana fa l'annuale edizione di ECOMONDO, come sempre con la ovvia soddisfazione degli organizzatori, per la partecipazione, i contenuti, l'elogio alla green economy, i passi in avanti fatti dall'Italia nell'ambito di riduzione emissioni e gestione rifiuti. Tutto bello. Di seguito è arrivata da parte del governo la presentazione della Strategia Energetica Nazionale, con investimenti, riduzione emissioni, conversione industriale, uscita dall'uso del carbone  nel 2025. Anche qui tutto bello, tutto limpido. Insomma. I problemi ci sono e sono stati affrontati come sempre nei "corridoi" lontano dai riflettori, mentre sarebbe giusto fossero socializzati, poiché ci sono dei luoghi comuni che vanno sfatati sia nell'opinione pubblica che tra i decisori politici, troppo spesso guidati da opinioni avulse dalla realtà concreta.  Attualmente il sistema del recupero materia dalle raccolte differenziate, che il rapporto ISPRA 2016 testimonia essere gagliarde, 52,5% la media nazionale, calcolata con nuovo sistema, +5 punti rispetto al 2015, con anche un incremento di 1,5% nella produzione complessiva di rifiuti (in crescita dopo 5 anni di regressione, segno tangibile di una certa ripresa dei consumi), è in difficoltà, strutturale, ovverosia sono in difficoltà i circuiti industriali, di diverse filiere e in particolare quella che gestisce gli scarti, perché è bene dirselo qualsiasi attività di recupero rifiuti produce scarti, piaccia o no è così, e chi racconta la favola del riciclo al 100%, racconta appunto favole, oltre che contraddire la termodinamica. FISE-UNIRE, associazione che raccogliere le industrie del riciclo, dichiara una produzione di almeno 25milioni di tonnellate di scarti l'anno. Molti valorizzabili o comunque gestibili in cicli di recupero energetico, ma gli impianti esistenti sono saturi, oppure precettati per  la gestione (a oneri maggiori) dei rifiuti urbani indifferenziati e anche i nostri sfoghi esteri stanno riducendo gli spazi. E' un problema sia impiantistico - disponibilità effettiva d'impianti - che di costi, gestire gli scarti dei cicli di recupero, ai costi degli urbani, rende impossibile la sussistenza di un ciclo industriale economicamente sano (ossia che si regga sulle sue gambe e non con sussidio pubblico).  Questa situazione, se non si sblocca, rischia di compromettere pesantemente le ambizioni del nostro paese in materia di obbiettivi "verdi" in campo economico. O capiamo che ci dobbiamo far carico industrialmente di tutto il ciclo, il che vuol dire dotarsi di impiantistica adeguata, o presto torneremo indietro. La politica non può essere su questo, imbelle, ipocrita o impreparata. Ma purtroppo lo è, basta andare a vedere le recenti regionali siciliane, i vari candidati presidente, interrogati sul tema della gestione rifiuti, che in Sicilia è disastrosa, in termini di raccolta differenziata, ricorso a discarica e abbandono, hanno dato risposte o inconcludenti, o avulse dalla realtà o non hanno saputo rispondere. Insomma come vuole leggenda metropolitana sugli struzzi, meglio mettere la testa sotto la sabbia che affrontare i problemi.
Affiancare il recupero energetico, al recupero di materia, non è vero che deprime le raccolte differenziate, il rapporto ISPRA 2016, lo dimostra ancora una volta, le regioni con percentuali di ricorso a incenerimento superiore al 20% hanno risultati di raccolta eccellenti. Ma rischiamo di compremettere il recupero materia se non gestiamo oculatamente gli scarti e talune filiere, come il legno, il "verde" e l'umido, frazioni in cui il recupero energetico è una soluzione virtuosa, sia per il risparmio economico, che per  quello ambientale, piaccia o meno il recupero energetico è complementare (e necessario) ai cicli di recupero materiale, (1). Usare CSS (Combustibile Solido Secondario - ricavato trattando il secco residuo e gli scarti di altri cicli), in loco e in luogo del carbone porta a ridurre emissioni di CO2 e contenere i costi, e consentirebbe a risorse economiche di rimanere in Italia. Il rapporto ISPRA evidenzia come in particolare Austria e Ungheria siano le mete predilette delle nostre esportazioni di rifiuti e CSS, dove sono usati per produzione energetica (ottenendo il risultato di farsi pagare per farlo, ridurre uso di fonti fossili e ridurre emissioni).
E qui si apre una questione. Sono solo impianti di incenerimento, o termo elettrici i destinatari? No, una parte importantissima, sopratutto per il CSS la fanno i cementifici, sia in Ungheria che in Austria. Orbene, tenuto conto della contingenza attuale, che richiede risposte non più differibili, ipotizzare di realizzare nuovi impianti per la gestione del CSS, è auspicabile, ma sicuramente ha tempi inadeguati a affrontare con celerità le criticità presenti e quelle che si palesano all'orizzonte. Convertire al CSS cementifici esistenti ha, invece, l'indubbio vantaggio di essere una strada più rapida. Anche la Commissione UE, nella disamina delle gerarchie del recupero, ritiene necessario un mix di recupero di materia e energia e nel recupero di energia ritiene ci possa essere ruolo importante dell'industria cementiera, come ribadito in una sua comunicazione di gennaio 2017.
Se proviamo a ragionare di CSS nei cementifici qui, apritici cielo. Nel virtuoso Veneto, faro italiano nelle raccolte differenziata, ma oggi altrettanto in affanno per le carenze impiantistiche, ci sono almeno tre  realtà che si sono proposte in tal senso, in tutti e  tre i casi, comitati indottrinati&politica ipocrita hanno gridato all'attentato, uniamoci la macchinosa burocrazia italica e il mix letale è fatto. 
Quali sono gli elementi ritenuti controversi dalla pubblica opinione in merito all'uso dei CSS nei cementifici in luogo del PET-COKE (combustibile derivato dal carbone)? Lo capiamo leggendo le pubblicazioni di associazioni medico-ambientaliste spesso coinvolte con le proteste dei comitati locali, citiamo tra tutte, come pià rappresentativa ISDE (Associazione Medici per l'Ambiente), che ha predisposto una relazione inviata all UE sul tema CSS nei Cementifici. Trovo corretto, solo per dovizia di dettaglio, far notare che nel comitato scientifico di questa associazione ci sono anche medici "omeopati", e qualche altro esperto, ma non essendo medici (noi), non entriamo troppo nella questione. Cosa si sostiene contro l'ipotesi CSS nei cementifici? Sostanzialmente che:
  1. i forni dei cementifici non sono progetatti per il CSS, diversamente da quelli per gli inceneritori, non sono idonei quindi alla loro combustione  (sorvoliamo sull'aspetto che ISDE è di fatto, comunque contraria anche agli inceneritori);
  2.  la combustione di CSS nei cementifici emetterebbe metalli pesanti, mercurio e cadmio in particolare, oltre ad altri, in misura significativamente superiore all'uso del PET COKE, con aggravio di aspetti legati alla salubrità ambientale;
  3. vi sarebbe aggravio di emissioni di DIOSSINE, PCB e altri inquinanti organici persistenti (POPS);
  4. le ceneri residue sarebbero tossiche, quindi, inadatte al riuso nel cemento (già oggi nei cementi industriali, si inseriscono ceneri da centrali termoelettriche)
Va detto che come caso di studio per suffragare i propri dati, ISDE ha scelto un impianto cementiero piuttosto vecchiotto, e anche una bibliografia vecchia di oltre un decennio. I rilievi su indicati, infatti, in passato erano stati posti anche agli stessi inceneritori, in particolare quelli degli anni 80, ma  l'introduzione di nuove tecnologie ha permesso di adeguare vecchi impianti e di progettarne di innovativi (2) e questo lo si è visto anche nei cementifici di adeguata dotazione tecnica, dove le preoccupazioni circa le emissioni al camino si sono ampiamente dissipate (3), poi, per carità di patria, non stiamo a ricordare come le emissioni residenziali diffondano incontrollate ben di peggio. Circa l'utilizzo delle ceneri e delle scorie da incenerimento, va detto che queste hanno una elevata potenzialità per recupero metalli e che in ambito europeo sono variamente utilizzate, dalle costruzioni stradali, all'edilizia o alla discarica (4), a dimostrazione che evidentemente tali scorie e ceneri, con gli opportuni accorgimenti, non sono così ostiche da trattare. Va rilevato che le ceneri reimpiegate nei cementi, devono essere utilizzate rispettando i protocolli di produzione dei cementi stessi, che si ricorda essere prodotti, che devono conseguire una marchiatura CE per la loro immissione sul mercato. In tal senso quindi, l'AITEC (l'associazione di categoria dei cementifici - torva lobby di potere, che al confronto quelli del tabacco sono pollastri), assicura la presenza di importanti protocolli di controllo, e ricorda, cosa che in effetti non è opinibile, che l'uso di CSS nei cementifici già oggi consente il risparmio di 300mila tonn di emissioni di CO2, se poi consideriamo anche che evitando di usare PET COKE si usa un combustibile più prossimo, questo dato sale ulteriormente. E' ovvio che AITEC spinga sul CSS, poiché usandolo come combustibile i cementifici risparmiano in costi di approvvigionamento e, anzi, possono farsi pagare per la ricezione del combustibile (ovvio che non sia la filantropia il motore di tale disponibilità, ma del pragmatismo utilitarista, che è, però, l'unico che può conciliare la sostituzione del Pet-Coke, che per il cementificio comporta il fatto di doversottostare a protocolli di controllo ambientale ben più stringenti di quelli cui sono tenuti ordinariamente), ma altrettanto vero è che ciò ha indubbie ricadute positive anche per la collettivià, ad esempio minor dipendenza dall'estero per combustibile da importare e per rifiuto da esportare, riduzione di movimentazione e trasporti, riduzione emissione CO2, riduzione costi sistema gestione rifiuti e maggior autonomia e stabilità del medesimo. Oggi ne avremmo tanto bisogno (sic!).
Possiamo, dunque, continuare a fingere che il problema di associare ai processi di recupero materia dei processi di recupero energetico (che servono per gestire quei flussi che i primi non possono trattare o gli scarti che da questi derivano) non ci riguardi, e affrontarlo emotivamente, ma questo non lo farà sparire, anzi, continuerà a riproporsi in maniera sempre più urgente e incombente, finché ne saremo sommersi. Letteralmente.




fonti:
(1) Grosso, Ingegneria dell'Ambiente pp 1-3, vol. 2 n. 4/2015
(2) Tirler,Palmitano,Raccanelli, Ingegneria dell'ambiente pp 35-44 , vol. 4 n. 1/2017
(3) Cernuschi, Grosso, Biganzoli, Sterpi, Implicazioni ambientali dell'utilizzo di combustibile da Rifiuto nella produzione di cementi, Politecnico di Milano, 2014
(4) Riva, Biganzoli, Grosso, Ingegneria dell'Ambiente pp 28-42, vol. 3 n. 1/2016.
http://astrolabio.amicidellaterra.it
http://www.ilsole24ore.com
http://www.greenreport.it
http://www.materiarinnovabile.it
http://www.isde.it
http://www.formiche.net
http://www.ledijournals.com/ojs/index.php/IngegneriadellAmbiente

sabato 4 novembre 2017

Miniere&Foreste: l'ardua convivenza

L'attività estrattiva  indubbiamente  ha un impatto non secondario sulle matrici ambientali. Oltre alla diretta interazione col sottuolo, all'estrazione di minerali, alle possibili interferenze con la circolazione idrica sotterranea, va tenuto conto dell'impatto che le attività estrattive hanno sulla qualità dell'aria, sull'incremento di traffico veicolare, non che della problematicità paesaggistica e della spinosa questione delle risulte di scavo e dei procedimenti, spesso piuttosto "hard" di estrazione del minerale. Se poi la miniera sorge entro una foresta, vi è anche il problema della deforestazione, che diventa enorme se la foresta è quella amazzonica. Uno studio di Laura Sonter dell'Univeristà del Vermont e di colleghi di varie istituzioni, pubblicato su Nature Communications, riportato su Le Scienze,  analizza attentamente la questione ridefinendone la portata. Sino a oggi si riteneva che la deforestazione dovuta alle attività minerarie in Brasile fosse limitata alle zone di concessione e che il contribuito alla riduzione di area a foresta di tali pratiche fosse relativamente contenuto entro i limiti delle concessioni di scavo e che spettasse all'urbanizzazione e all'agricoltura la palma per la responsabilità sulla riduzione degli spazi per gli alberi,  non è esattamente così. Lo studio citato ha analizzato 15 anni di foto aree dell'agenzia spaziale brasiliana e considerato le concessioni per diverse tipologie di attività estrattive, riscontrando che il tasso di deforestazione dell'Amazzonia, legato alle attività minerarie è di circa 12 volte più grande di quanto si credesse e che non si concentra tanto nell'area di concessione, ma fuori da questa. Infatti, l'apertura di una miniera, comporta la creazione di una rete infrastrutturale di supporto, non che spesso l'insorgenza di aree urbane non troppo lontane dalla miniera stessa o comunque limitrofe alla realtà urbana esistente più prossima all'attività. Questo perché la miniera richiede strade, depositi, manovalanza. Almeno il 10% della deforestazione amazzonica complessiva, che pure ha avuto una riduzione grazie a vari accordi, negli anni precendeti, più che altro, si deve all'attività mineraria. Troppo. Questo, nonostante una significativa riduzione  negli ultimi anni, sopratutto grazie all'attività di associazioni ambientaliste e di centri di ricerca che hanno indotto il Brasile a dotarsi di una legislazione più limitante in tal senso. Ora va detto che l'attività mineraria ad oggi ci è indispensabile,  pensiamo al tasso di incremento demografico dell'umanità e al sempre maggior accesso a prodotti vari, specie di tipo tecnologico, di una fascia sempre più ampia di popolazione. I processi di recupero materia non sono ancora efficenti sufficientemente a livello industriale qualiquantitativo per consentirci l'abbandono dei giacimenti. E non lo saranno ancora per molto, purtroppo. Come Geologi, non possiamo fingere di non sapere. Già in post precendeti sull'attività estrattiva di metalli, ho ricordato come il Geologo non possa interpretare il suo ruolo in modo burocratico e asettico, ma debba rendersi conto degli effetti sulle matrici ambientali delle attività che avvengono sotto la sua supervisione e agire di conseguenza, cercando di unire opposte esigenze. Così come degli effetti sulle "matrici sociali".
E' necessario un approccio adeguato alle attività estrattive, che considerino anche l'indotto, che applichino le migliori tecnologie e sappiano considerazione l'evoluzione nel tempo degli effetti dell'attività mineraria in un dato sito. Inoltre bisogna cercare di mantenere il più possibile tali attività entro il perimetro dei paesi democratici. Troppo spesso anche membri della comunità Geologica cavalcano movimenti che portano le industrie minerarie e quelle collegate a spostare le proprie attività in paesi dove invece vi sono forme di governo o totalitarie o in aperto caos. Questo per aver più "mano libera". Le comunità democratiche quindi, agiscono ipocritamente, pensando di preservare i propri territori, importano comunque quei beni, che non vogliono essere prodotti in casa propria, ma lasciano siano realizzati altrove, senza curarsene del come. Invece, attività che hanno impatti importanti sociali e ambientali, se eseguite senza l'opportuno controllo, devono essere mantenuto proprio dove un controllo istituzionale e civile è effettivamente possibile, proprio per far sì che esse avvegano nel modo più "sopportabile" (per certe attività parlare di "sostenibilità" o "compatibilità" è pura ipocrisia) per il sistema socio-ambientale. Insomma ci si deve assumere le proprie responsabilità, come consumatori, cittadini e Geologi.

lunedì 4 settembre 2017

Tu chiamale se vuoi... eruzioni..

Quando sei un Vulcano attivo, che da qualche migliaia di anni non da in escadescenze, e inizi a borbottare, stai sicuro che qualcuno a vedere cosa combini ci viene. Se poi ti trovi a ridosso di centri abitati, qualcuno che inizia a perdere il sonno c'è. Se poi sei di quelli grossi, gli isonni diventano più di qualcuno. Se poi sei pure in compagnia, probabilmente provocherai in più di qualcuno un ritorno alla fede. Ora l'umanità è presa dalle sparate di Trump, dai test missilistici nordcoreani, dalle questioni migratorie o dagli spot del Buondì, se pensiamo all'Italia (!), ma potrebbe succedere un evento tale da sparigliare tutto. Tempo fa abbiamo visto tre cagnolini, tipo Chihuahua che si azzuffavano per un pezzo di stoffa. Poco lontano dormiva un Bovaro del Bernese, sapete quei simpatici cagnoloni montanari. Beh dopo un po', forse infastidito dal chiasso, il Bovaro si sveglia di scatto, butta per aria i tre cagnetti, disintegra lo straccio, completando l'opera orinandoci sopra e poi, come nulla fosse successo, si rimette a dormire, tra la costernazione dei tre cagnetti e il disastro procurato. Ecco, fate conto che noi siamo i Chihuahua e il Bovaro è un vulcano, anzi un super vulcano. Ossia un vulcano di dimensioni eccezionali. Ecco, tanto per darvi un'idea, in questo momento nel mondo ci sono almeno tre Bovari assopiti. Ma neanche tanto.
Un interessante articolo della BBC che vi segnaliamo, riepiloga molto bene lo stato delle cose. Ci sono tre super vulcani in giro per il globo, che danno segnali preoccupanti. I Campi Flegrei in Campania - la cui attività era stata anche messa in relazione al recente sisma a Ischia - Yellostone negli Stati Uniti e Toba in Indonesia. Questi tre soggetti nella loro storia hanno più volte dato origine a eruzioni di portata tale da alterare il clima su scala globale, e nel caso dei Campi Flegrei e di Toba addirittura influire sull'evoluzione umana e sulle migrazioni della nostra specie.
L'impatto che un'eruzione di questi vulcani potrebbe avere su scala globale è impressionante. Nel caso dei Campi Flegrei, avremmo pesanti ripercussioni sul clima euro-asiatico, distruzione dei raccolti a livello continentale, oltr eche il problema di un'eruzione  in un'area intensamente abitata,  dove servirebbe un piano di evacuazione idoneo, ma sopratutto una consapevolezza sociale del rischio. Forse sarebbe ora di parlarne e di pensarci davvero. A questo si dovrebbero aggiungere gli sfollati che un simile evento provocherebbe. Ragionamento analogo vale per Yellostone e Toba, su vasta scala si avrebbe la distruzione dei raccolti e un pesante movimento migratorio. Parlarne ora, specie in Italia può sembrare ironico. Ma potremmo essere noi a dover migrare.
Yellostone, genera particolare preoccupazione, tanto che la Società Geologica Americana sta conducendo diversi monitoraggi sul vulcano, cercando di cogliere segnali premonitori utilizzabili, impresa che non sta risultando semplice, come testimonia la stessa USGS e come testimoniano le preoccupazioni della NASA che sta elaborando piani, che ricordano un po' quelli di certi film catastrofistici, per "raffreddare" il vulcano, con improbabili iniezioni di acqua fredda in pressione - per fortuna sembra che qualcuno alla Nasa , si sia reso conto che si farebbe peggio.
La questione dei supervulcani è pressante come quella del cambiamento climatico e non è affare dei singoli stati che ospitano tali fenomeni, perché i loro effetti sono globali. E' tempo che le istituzioni sovranazionali siano consapevoli veramente di tali rischi e che si inizi ad affrontare anche a livello di cultura sociale il tema del rischio vulcanico.
Val la pena ricordare poi un ultimo vulcano, che si trova in Tanzania, che pur non essendo un super vulcano, potrebbe averere effetti globali, poiché minaccia la gola dell'Olduvai - "la culla dell'umanità", il sito africano da cui iniziarono le migrazioni umane.E' un po' come se qualcuno minacciasse di bruciarvi gli album fotografici di famiglia. Importanti siti paleoantropologici sono a rischio. Inoltre un'eruzione della "Montagnia di Dio" - come la chiamano i Masai, avrebbe comunque ripercussioni locali pesanti, con distruzione di aree coltivate, possibilità di frane e con conseguenti movimenti migratori interni al continente africano, con destabilizzazione di regioni, già di per sè poco stabili.
Si rivela quanto mai fondamentale aumentare il nostro grado di conoscenza dei fenomeni vulcanici e adottare politiche di gestione del rischio vulcanico. Su larga scala. E in tempi rapidi. Rapidissimi.





fonti:

http://news.nationalgeographic.com
BBC
USGS
IGNV
LA STAMPA

lunedì 10 luglio 2017

Compagni dai campi...

Vi è un legame profondo tra i processi geologici e le dinamiche del settore agroalimentare, delle biotecnologie in campo agricolo, del mondo agrotecnico in generale, potrebbe non risultare evidente, ma c'è. Ed è rilevante per il futuro a medio termine. Questo "campo", mai termine fu più appropriato, la comunità geologica, intesa in senso professionale, tecnico e scientifico, dovrebbe approfondirlo maggiormente. Tra le pratiche umane diffuse, l'Agricoltura, piaccia o meno, è quella che più impatta su svariate matrici ambientali, essendo, comunque, fondamentale per il sostegno della specie umana; credo che il tema su come si produce il nostro cibo e come si gestiscono le risorse per farlo, sia un tema, che non solo i Geologi, ma tutti i cittadini si dovrebbero porre. Tanto per dare alcuni numeri, di tutte le risorse idriche potabili a livello mondiale il 70% è consumato dalle attività agricole (in particolare nei paesi in via di sviluppo), e ben il 40% di superficie a foresta, sempre a livello mondiale, su base annua, è sostituita da superficie agricola (33% superficie industriale e 27% urbanizzazione), in particolare attività agricola di sussistenza, ma anche quella "industriale" non si tira poi così indietro. C'è poi il settore Agrozootecnico, l'allevamento: l'8% del consumo mondiale idrico finisce qui e poi vi è il problema connesso dell'inquinamento da reflui, che provocano squilibri nei cicli del fosforo e dell'azoto, sia nei terreni che nelle acque sotterranee. Il problema della gestione degli allevamenti e del pascolo è cruciale. Si stima che l'incremento della popolazione mondiale e dell'aspettativa di vita aumenterà il fabbisogno della superficie a pascolo/foraggiera, uno sfruttamento intensivo in tal senso potrebbe portare a un depauperamento dei terreni in fosforo rendendoli insufficienti a soddisfare il fabbisogno alimentare globale, come evidenziato dall'Università di Wageningen in un suo studio, il che è un elemento di forte instabilità, sopratutto in quei paesi che il deficit di produttività ha già reso dipendenti dal commercio per l'approvvigionamento alimentare, come nota uno studio congiunto del Politecnico di Losanna con le Università della Virginia e di Padova (olé!).  Teniamo anche conto delle vulnerabilità delle produzini agricole agli effetti del canbiamento climatico. Va poi osservato che il pascolo intensivo, così come l'agricoltura intensiva, rischiano di depauperare davvero la biodiversità ambientale, la riduzione di specie vegetali, infatti, riduce il numero di specie animali supportabili, specie tra gli impollinatori, fondamentali per le catene trofiche umane, con crisi degli ecosistemi e progressivo degrado ambientale. Oltre ai contaminanti organici, poi, all'agricoltura è legato l'inquinamento da pestici e fertilizzanti, che hanno impatti su terreni, acque, salute umana e tensioni sociali, pensiamo all'annosa polemica sul Glifosato, ma non solo, anche sulle catene trofiche - pressante è lo studio dei legami tra pesticidi a base di neocotinoidi e il declino mondiale delle api. Il tracollo di questi insetti, sarebbe devastante per la produzione agricola mondiale. L'evoluzione dell'interazioni tra prodotti per l'agricoltura è uno degli elementi da monitorare costantemente, come mostra il caso dell'avvio della valutazione sull'inserimento nella "watch list", da parte della UE, dei contaminanti emergenti dei pesticidi a base di distruttori endocrini, che sembrano connessi all'insorgere di alcune patologie, e più in generale di varie sostanze impiegate in agricoltura e oggetto di monitoraggio da parte di ISPRA.
L'Agricoltura, quindi, che noi guardiamo sempre com bonomia, e che pensiamo sia un toccasana per l'ambiente (meglio campi che fabbriche, si dice spesso), non è affatto un'attività soft, ma è anche storicamente, la prima modalità con cui l'uomo ha iniziato a emanciparsi da certi "limiti naturali" e a trasformarsi in agente geomodificatore su scala globale. A maggior ragione questo è vero oggi, con l'integrazione dell'agricoltura con le potenzialità della tecnologia moderna e dei crescenti fabbisogni umani. Si badi, non si demonizza, ma si fotografa una realtà, affinché si inzi a gestire la pratica agricola con la giusta coscienza e pragmatismo, senza farsi abbagliare da emotività o peggio suggestioni. L'emotività, per esempio, gioca un ruolo fondamentale nella considerazione che si ha socialmente dell' "agricoltura biologica", da sempre raccontata come "più sostenibile", anche da molte associazioni ambientaliste e di categoria. Ma è davvero così? Mi spiace dover fare il guastafeste, ma elementi per dire che il quadro non sia così idilliaco ce ne sono e prima poi una riflessione, sia la comunità scientifica, ma sopratutto le Istituzioni politiche la dovranno fare. Per esempio cominciano a essere numerosi gli studi che evidenzino come le coltivazioni bio comportino un incremento delle emissioni di CO2, quindi un maggior consumo energetico e di acqua. Il perché è presto spiegato, vi è una minor produttività per unità di superficie, quindi si richiedono aree maggiori, (con i problemi di sottrazione di ambienti intatti), con minori rese. Inoltre l'Università di Oxford ha rilevato che i livelli nutrizionali dei prodotti bio sarebbero più bassi, quindi, non solo richiedono più territorio, ma "sfamano meno" rispetto ai prodotti da agricoltura tradizionale, in più, mentre risultano menono contaminanti per unità di superficie coltiviata, il dato si inverte se consideriamo unità di prodotto coltivato, confermando che la Bio, non è poi così soft.  Le suggestioni stanno poi, e sono quelle pericolose, nel sostenere con denaro pubblico pratiche, che hanno prestazioni ancora più scadenti e sopratutto nessun supporto scientifico, come la BIODINAMICA. Spiace molto vedere come in questo caso, sia accademici, che i media, che le Istituzioni (il Ministro alle politiche agricole Martina ha aperto molto a tale pratica, su che basi rimane un mistero), tali pratiche agricole sono spreco di risorse, suolo, tempo, tutte poco o nulla rinnovabili.
L'agricoltura ha un grande ruolo in uno sviluppo regolato e sostenibile, nel contenimento delle emissioni di CO2,  dei fenomeni di erosione del suolo e di riduzione del rischio idraulico. Proprio per questo deve essere gestita con intelligenza e avvalendosi delle migliori tecnologie possibili. ecco perché, per esempio, il bando italiano e UE agli OGM è non solo ipocrita (visto che poi importiamo surrettiziamente OGM per mangimi) per i nostri prodotti DOC, ma anche estremamente controproducente, minando la nostro efficienza agricola e le nostre capacità di approvvigionamento alimentare. Avere piante, che producono di più richiedendo meno superficie e meno acqua, meno nutrienti e meno trattamenti chimici, dovrebbe essere un obbiettivo primario, significherebbe coniugare le esigenze di sicurezza e affidabilità nell'approvvigionamento alimentare, con una sensibile riduzione dell'impatto dellla pratica agricola sulle matrici ambientali. Gli OGM hanno patito strumentalizzazione politica, approccio ideologico e probabilmente anche alcune "tare" nel nostro modo di percepire ciò che è naturale da ciò che non lo è, ma anche una certa incapacità comunicativa del modo tecnico e scientifico, ma restano uno strumento molto forte per ottimizzare i processi agrotecnici. Oggi risulta ancora più promettente la pratica dell'editing genetico, CRISPR, ossia intervenire sul patrimonio genetico di un specie attivando/disattivando i geni delle cui proprietà ci si vuol servire o che si vuole silenziare, attraverso meccanismi come queli messi in campo dai batteri. Certo la pratica è ancora in itinere e non è una tencologia consolidata, ma promette bene e sopratutto potrebbe risultare socialmente più accettabile e non ricadere nei vincoli imposti agli OGM, trovando spazio anche in UE e, quindi, in Italia. La CRISPR potrebbe consenitre davvero di rivoluzionare l'agricoltura, aumentando rese, riducendo consumi e emissioni e sopratutto permettendo di mettere l'attività agricola in grado di rispondere ai mutamenti climatici, che stanno significativamente condizionando tale attività su scala globale. Ma saprà la nostra agricoltura cogliere tale opportunità, ma sopratutto sapranno farlo la nostra società e la nostra classe politica?


bibliografia:
"Conoscere l'Acqua", ENI SCUOLA,   2015 
"Resilience and reactivity of global food security", PNAS, 2015
"Primo monitoraggio delle sostanze dell'elenco i controllo (Watch list)", ISPRA, 2017.
"Changing the agriculture and environment conversation", Nature, 2017.
"Consumo di Suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici", Rapporto ISPRA, 2016. 
"Contro Natura", Rizzoli, 2016
"www.lescienze.it"
"www.salmone.org"
"www.pikaya.eu"
"www.stradeonline.it"                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          

giovedì 18 maggio 2017

asfalto che ride

E' in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale un nuovo Regolamento del Ministero dell’Ambiente che disciplina la cessazione della qualifica di Rifiuto (End of Waste) del granulato di conglomerato bituminoso (fresato d’asfalto), a livello nazionale. Il Ministero dell’Ambiente, in conformità al comma 2, dell’Articolo 184-ter del D.Lgs. n. 152/2006, ha predisposto un Decreto in assenza di un’apposita disciplina comunitaria per la qualificazione di un rifiuto come End of Waste: pertanto il citato D.M. individua i criteri previsti affinché il fresato di asfalto possa raggiungere la qualifica di EoW. Si evidenzia che è la prima volta che il Ministero dell’Ambiente emana un Regolamento ai sensi del citato comma 2, dell’Articolo 184-ter del D.Lgs. n. 152/2006. Va detto che il regolamento ricalca molto lo schema dei regolamenti EoW UE in vigore, ossia è piuttosto stringato e relativamente chiaro, cosa che per il legislatore italiano è tutt'altro che scontato, per cui la cosa non può che darci un po' di coraggio in un paese di soffocante burocrazia come il nostro.
Tornando al decreto in arrivo, questo è formato da 17 articoli, e 3 allegati, e  stabilisce i criteri specifici da rispettare affinché determinate tipologie di conglomerato bituminoso, derivanti dalle operazioni di fresatura degli strati di pavimentazione realizzate in conglomerato bituminoso o dalla frantumazione dei blocchi e delle lastre provenienti da pavimentazioni realizzate in conglomerato bituminoso, cessano di essere qualificate come rifiuto. Seguendo lo stesso schema logico dei Regolamenti europei EoW, anche il D.M. in oggetto prevede che il fresato di conglomerato bituminoso cessi di essere qualificato come rifiuto, con l’emissione della Dichiarazione di Conformità. La Dichiarazione si ottiene, similmente all’impostazione dei Regolamenti UE, quando il lotto di granulato di conglomerato bituminoso subisce specifiche tecniche di trattamento di cui all’Allegato 2 del DM ed è soggetto alle verifiche dell’Allegato 1. Il D.M. – ricalcando l’impianto dei predetti Regolamenti - prevede il granulato di conglomerato qualificato come End of Waste bituminoso sia prodotto esclusivamente in Impianti di Recupero Autorizzati che abbiano ottenuto l’apposito Attestato per il Sistema di Gestione della Qualità rilasciato da un Ente Accreditato. 
L'emissione di tale regolamento consentirà di recuperare gli scarti d'asfalto, CER (Codice Europeo Rifiuto) 17 03 02, che non vengano impiegati subito nel cantiere di produzione, permettendo una gestione ottimizzata e una riduzione dello smaltimento di tali materiali, con un ovvio risparmio di materia vergine. Due sono le norme UNI di riferimento a secondo del destino di recupero :
  • UNI EN 13108-8 se l'obbiettivo è nuovo conglomerato bituminoso;
  • UNI EN 13242, se il destino è la produzione di aggregati riciclati legati e non.
Requisito fondamentale è il rispetto per vari parametri delle concentrazioni soglia di cui al D.LGS 152/2006 Allegato 5 parte 4 Tab. 1 colonna B - cosa che mi lascia una po' perplesso, poiché di fatto si ragiona come se il materiale fosse una terra da scavo.
In ogni caso è il primo regolamento EoW italiano, dobbiamo festeggiarlo, speriamo ne seguano altri.

sabato 29 aprile 2017

Riciclo. A chiacchiere.

Una recente infodata del Sole24Ore sul tema raccolte differenziate e un articolo della BBC sul tema rifiuti a ROMA, mi permette di fare due rapidi riflessioni su due temi che da sempre mi stimolano. La retorica ipocrita sul riciclo e i movimenti ambientalisti inetti. Entrambi all'ambiente e alla società fanno male esattamente come lo sversamento in mare dei rifiuti. Nel'Infografica del Sole, si evidenziano le diverse realtà provinciali italiane, in base ai loro risultati di raccolta differenziata (RD) e come c'era da aspettarsi l'ambito triveneto ha le risultanze migliori, in particolare la mitica provincia di Treviso. Ci sarebbe da gingillarsi, se non fosse che come già evidenziato in un nostro vecchio post, in cui si commentava il rapporto ARPAV 2014 sui rifiuti speciali, ci sono alcuni elementi che dovrebbero indurre a riflettere e a pianificare per tempo. Nel rapprto ARPAV si legge: "I rifiuti del capitolo 19 (rifiuti da trattamento rifiuti) ammontano a circa 300.000 t, costanti rispetto al 2013, inviate per lo più nelle altre regioni italiane (93%). I maggiori flussi esportati sono costituiti dagli scarti misti del trattamento rifiuti (CER 191212) inviato a trattamento, incenerimento, coincenerimento e discarica", ovverosia il Veneto - e la provincia di Treviso non fa eccezione, anzi - dipende da altre Regioni, magari con prestazioni di RD deludenti e dall'estero (sempre di più - poiché mano a mano che le Regioni riceventi migliorano la loro RD, usano per il 19 12 12 di propria produzione gli spazi di cui dispongono, costringendono il Veneto a cercare altrove), questo perché per ragioni tra le più varie, anche il territorio Triveneto, così avanzato, non ha ancora compiuto scelte strategiche di tipo impiantistico, magari simili a quelle praticate da tempo in Austria e in via di diffusione nella ex Jugoslavia, consistenti in ottimizzazioni di recupero materia e energia, spesso per mere ragioni di piccolo cabotaggio politico. Ma tale tema non è a lungo eludibile, se il Triveneto vuole continuare a mantenere tali standard. Altrimenti si deve ricorrere alla fuffa e alle chiacchere e all'ipocrisia. Come quella dell'amministrazione napoletana, che dice di aver risolto il problema della "monnezza", quando in realtà spedisce i suoi rifiuti un po' dappertutto, come evidenziato dagli Amici della Terra, per esempio attraverso percorsi tortuosi e di difficile tracciabilità che portano in Bulgaria, percorsi della cui economicità e sostenibilità ambientale ci si permetta d'avervi più d'una perpessità.
O come nel caso della Roma a 5 Stelle. L'M5S ha fatto del tema rifiuti un suo cavallo di battaglia, demonizzando spesso le gestioni industriali e il recupero energetico, salvo poi ricorrervi, ma lontano dagli occhi e quindi dal cuore. Senza per altro, ottenere almeno il risultato di una città più decorosa. Come bene mostra l'impietoso reportage della BBC, già citato, cui vi rimando. In sintesi, la BBC ci spiega come Roma invierà quest'anno in Austria, ben 70mila tonnellate dei suoi rifiuti urbani per essere smaltiti. E gli Austrici si faranno ben pagare per questo servizio. E gestiranno tali rifiuti in recupero energetico, fornendo energia a basso costo a ben 170mila case Austriche. I report inglesi sottolineano come potrebbe sembrare folle portare a oltre 1000 km i rifiuti di una città, quando potresti buttarli in una buca non lontana. Il responsabile austriaco dell'impianto che riceve i rifiuti romani, ovviamente fa notare come, sia in tema di riduzioni di emissioni di CO2 che di rispetto norme UE non sia folle far questo, anzi. Anche noi non pensiamo sia folle. Ma pensiamo anche che sia STUPIDO farlo, quando Roma ha tutte le dimensioni per dotarsi di una sua impiantistica che faccia tutto ciò, con una minimizzazione dei trasporti enorme e un ritorno economico altrettanto grande. Ma per farlo ci vuole una politica concreta, coerente e pragmatica. 
Lo scarno piano per la gestione rifiuti di cui si è dotata l'amministrazione romana, non  ci pare vada in tale direzione.  Nel piano, infatti, il tema contigente, come ben raccontato da Wired, è rimandato, infatti, il servizio gestione rifiuti più caro d'Italia, in cui avere sbocchi per il materiale raccolto, evitare il ricorso a discarica, avviare una seria separazione dell'organico, tanto per citare alcune criticità, non viene ripensato con la giusta pragmaticità. Il piano comunale, che dovrebbe essere operativo, a parte buone pratiche o a cambi di paradigma su cui l'amministrazione in realtà può far poco, e che in ogni caso daranno risultati visibili solo fra qualche anno (non si sta dicendo che non vanno messi in campo, me che non si può pensare che siano la risposta alla situazione contingente), propone poco o nulla circa l'attuale gestione - che come detto prevede tour dei rifiuti assai lunghi - per esempio il tema (cruciale) impiantistico su cui si potrebbe agireanche rapidamente, in presenza di adeguate volontà, è solo timidamente abbozzato. Questo, perché, parlare di industrie, gestione industriale del rifiuto, in questo paese sembra tabù, per qualcuno il tutto si risolve con la buona volontà dl singolo.
Sul tema impianti di recupero, integrazione dei sistemi di recupero materia con recupero energetico e impatti ambientali torneremo ancora. Presto.




martedì 18 aprile 2017

La Guerra del Cobalto

Tempo addietro avevamo affrontato il tema dell'approvvigionamento di alcuni importanti minerali, fondamentali per le tecnologie attuali e future. Il cobalto è tra questi, ma spesso è associato a pratiche minerarie che solo il termine criminale descrive correttamente. Operando in paesi instabili o non democratici, vi sono compagnie che attuano attività estrattive senza rispetto dei diritti umani e della salvaguardia ambientale. Un vero progresso non può tollerare situazioni del genere. Vi riporto un articolo pubblicato su Mining Tecnology, importante portale on line di notizie sul mondo minerario, scritto da Heidi Vella, giornalista esperta del tema minerario, che delinea molto bene lo scenario presente. In corsivo le mie aggiunte e commenti, la traduzione è mia, per cui qualche licenza ci sarà, il titolo dell'articolo è:

Il Cobalto potrebbe consentire una rivoluzione verde, ma può prima ripulire la sua reputazione?
(cliccando sul titolo arrivate all'articolo originale, se volete leggerlo in lingua madre)
Il prezzo del cobalto, un componente essenziale in batterie agli ioni di litio e superleghe, è stato in rialzo dalla fine del  2016, per la ripresa della  domanda dal  settore auto elettriche, destinata a crescere in modo esponenziale. Ma c'è un'ombra sulla sua produzione, visto che una quantità significativa proviene dalla Repubblica Democratica del Congo, dove (la sua estrazione) è collegata al lavoro minorile e a violazioni dei diritti umani. Questa merce è in grado di rigettare i suoi legami poco etici in tempo per la rivoluzione verde?
Dopo un periodo prolungato di prezzi relativamente bassi, nel novembre 2016 il prezzo del cobalto improvvisamente s’impenna e si è attestato da allora su una andamento al rialzo  .
Il caporedattore del Quotidiano Platts Metals (importante piattaforma informativa nel campo minerario), Anthony Poole, ritiene che  il picco dei prezzi sia, probabilmente, il risultato del  taglio alla produzione di rame, di cui il cobalto è un sottoprodotto, in Australia e in Africa.
“Al momento sembra che il cobalto sia  relativamente scarso, mentre dall’altro lato la domanda sembra essere abbastanza costante”, dice Poole.
Nel 2015, dalla sede in Svizzera, Glencore (compagnia mineraria internazionale tra le più importanti) ha annunciato di voler fermare la produzione di rame per 18 mesi presso la sua miniera di Katanga, nella Repubblica democratica del Congo (RDC) e in un'altra miniera in Zambia.
Manovre come queste hanno indubbiamente ridotto la fornitura di cobalto, ma, visto che la domanda difficilmente scenderà, i prezzi dovrebbero aumentare nel lungo termine.
Gli ordini del mercato aerospaziale sono saturi con scorte di lunga durata e ulteriori richieste è probabile che provengano dal mercato dei veicoli elettrici (EV), che è destinato a crescere in modo esponenziale nei prossimi dieci anni.
eCobalt, (altra importante società del settore) che possiede il progetto Idaho Cobalt negli Stati Uniti, ha stimato che entro il 2020 un quinto della domanda di cobalto verrà dal mercato EV. Considerando che le principali case automobilistiche, come Ford, stanno annunciando nuovi investimenti e obiettivi per i veicoli elettrici nelle loro linee di produzione “tale stima non appare irrealistica”, dice Poole.
Per confronto, una batteria dello smartphone contiene
solo 5g - 10g di cobalto raffinato, ma una singola batteria EV può utilizzare fino a 15,000g (15 kg!).

Polemiche al Cobalto

Le miniere di Cobalto si possono trovare, tra gli altri luoghi, a Cuba, in Zambia, Russia, Australia, Canada e, ben presto, in Madagascar. Fino al 50%, tuttavia, proviene dalla RDC, secondo il Servizio Geologico Statunitense.
La regione (La Repubblica Democratica del Congo) è notoriamente instabile, lacerata dalla guerra e vulnerabile alla corruzione; si colloca a 150 sui 2016 Transparency Initiative Corruption Perceptions Index. La RDC è sopratutto associata con minerali di guerra; tuttavia, la maggior parte del cobalto non viene estratto nelle aree martoriate dalla violenza del Nord e Sud Kivu, ma nella più pacifica provincia mineraria del Katanga. Tuttavia, anche qui la produzione è stata oggetto di controversie.
Nel mese di aprile 2016, l’ONG Centro di Ricerca sulle imprese multinazionali (SOMO) ha pubblicato un rapporto dettagliato su una serie di violazioni dei diritti umani legate alle miniere di rame-cobalto in ed intorno al Katanga, nel sud. Le accuse contenute nella relazione riguardano lo spostamento delle comunità che sono ancora in attesa che le compagnie minerarie mantengano le loro promesse di fornitura di acqua potabile e le scuole per i bambini.
"Le preoccupazioni evidenziate riguardano l'inquinamento delle acque, la perdita di mezzi di sussistenza, la mancanza di consultazione pubblica, l'inquinamento atmosferico e pericolosi livelli di metalli presenti nel sangue della popolazione locale."

Otto aziende sono menzionati nella relazione SOMO, comprese le società cinesi MKM e Huachin e SEK società australiana. Il maggiore fornitore di cobalto, Glencore, è stato anche criticato in passato da organizzazioni non governative per la sua gestione dei minatori artigianali e delle comunità locali in Katanga.
Varie indagini di Amnesty nel mese di gennaio 2016 e del Washington Post nel settembre dello stesso anno hanno rivelato le condizioni orribili e pericolose in cui operano i minatori artigianali.
L'UNICEF stima che ci siano circa 40.000 i bambini che lavorano nelle miniere in tutto il sud RDC, e Amnesty sostiene che almeno 80 minatori sono morti sottoterra, nel sud della Repubblica Democratica del Congo tra settembre 2014 e dicembre 2015.
Le ONG sono preoccupate del fatto che la continua richiesta di cobalto creerà ulteriori violazioni dei diritti umani nella Repubblica democratica del Congo dove i locali beneficiano poco dalla vendita delle risorse naturali del paese.

Controlli sulla Catena di approvvigionamento
Le indagini del Washington Post e di Amnesty International hanno evidenziato che la maggior parte del cobalto essere estratto è stato acquistato dalla società cinese Congo Dongfang International Mining. La società è una controllata di Huayou Cobalt che fornisce alcuni dei più grandi produttori di batterie al mondo, che, a sua volta, forniscono società come Apple, LG Chem, Samsung e altri.
Parlando con il Post, Huayou Cobalto ha detto che non aveva mai pensato alla questione su come i suoi minerali siano stati ottenuti, nonostante la società operi nella RDC per un decennio.
Dopo aver rilasciato il suo rapporto di gennaio 2016, Amnesty ha accusato Apple, Samsung, Sony e altri, di non riuscire a fare controlli basilari per garantire che i minerali utilizzati nei loro prodotti non provengano da sfruttamento minorile. In risposta, Apple ha riconosciuto al Post che il cobalto fornito dalla compagnia Congo Dong Fang è stato usato nei suoi prodotti, stimando che il 20% del cobalto che utilizza proviene da Huayou cobalto.
Per evitare che ciò continui, Apple ha dichiarato al Post che prevede di aumentare il controllo nella sua catena di fornitura. Inoltre, quando ad Apple è stato chiesto di commentare la revisione della sua catena di controllo di fornitura per questo articolo, l'azienda si è affrettato a rispondere con informazioni dichiarazioni rilevanti, come evidenziato nel rapporto sui minerali di guerra, depositato negli Stati Uniti nel 2016. Un portavoce della società ha aggiunto che Apple intende mantenere il proprio impegno verso gli Stati Uniti attraverso l’adozione dei regolamenti di segnalazioni derivati dalla legge Dodd Frank ConflictMinerals (legge statunitense che stabilisce i criteri per il controllo sugli approvvigionamenti di materie prime anche in termini di rispetto dei diritti umani), anche se tale Legge attualmente è contestato (ma tu guarda...) dalla nuova Amministrazione Donald Trump. In una dichiarazione il 2016 la società ha dichiarato: “Siamo orgogliosi che il nostro programma di approvvigionamento responsabile sia uno dei più robusti nel mondo. Esso include 40 materiali come stagno, tantalio, tungsteno e oro, che sono stati designati come ‘minerali dei conflitti’; nel 2014, abbiamo aggiunto il cobalto.”

Guardando avanti
E’ incerta la quantità di cobalto che proviene da miniere artigianali in cui viene utilizzato il lavoro minorile, ma Poole crede che rappresenti una quantità minore nella fornitura globale.
Tuttavia, Kurt Vandeputte, vice-presidente dell’unità Umicore per la produzione di materiali per batterie ricaricabili con sede in Belgio - una delle più grandi raffinerie di cobalto del mondo - ha dichiarato al Washington Post a settembre che ad un certo punto è diventato “chiaro che l’attività mineraria artigianale stava prendendo molto peso nella catena di fornitura”. Ritiene che ciò sia  accaduto quando il prezzo di cobalto era molto basso.
L’estrazione artigianale di cobalto è generalmente più economica rispetto a quella operata  dalle miniere industriali, non dovendo pagare gli stipendi dei minatori o finanziare le operazioni di una miniera di grandi dimensioni. Si ritiene che alcuni commercianti abbiano optato per acquistare il minerale da miniere artigianali, piuttosto che da miniere industriali a causa del suo basso prezzo.
Non è chiaro se questo stia ancora accadendo, o se possa risuccedere se i prezzi continuano a salire o la fornitura viene ulteriormente limitata.
E 'possibile che le sfide di approvvigionamento di cobalto dalla RDC possano provocare una riduzione drastica delle forniture in futuro.
“Con le aziende sempre più preoccupati per pratiche minerarie non etiche nella RDC, sta diventando difficile approvvigionale il metallo”, afferma l’analista di materie prime di  Capital Economics (società indipendente di analisi economiche), Simona Gambarini.
 “I produttori di batterie e le imprese di tecnologia potrebbero dover competere per procurarsi il metallo, in quanto saranno in grado di contare solo su fornitori certificati”, aggiunge.
Secondo l'Istituto per lo sviluppo del Cobalto, il minerale è classificato al 33° esimo posto in termini abbondanza nel mondo,  con 100 anni di scorta della fornitura ancora disponibile. Attualmente, 17 paesi producono cobalto, con questo numero destinato a crescere. Tuttavia, per ora, la RDC è ancora il fornitore principale del mondo.
Aziende che vendono prodotti realizzati con cobalto stanno per approntare un maggiore controllo sui fornitori, sulla provenienza e sulle pratiche minerarie.
Queste imprese hanno bisogno di dare un pieno impegno a condurre un’approfondita revisione della catena di approvvigionamento, come Apple sta facendo, o smettere di comprare da fornitori che si riforniscono esclusivamente dalla RDC. Quest'ultima opzione potrebbe diventare meno praticabile se la domanda continua a crescere e l'offerta si restringe ulteriormente.
C'è la speranza che se grandi aziende come Apple e LG Chem rimangono coerenti e applicano una pressione sufficiente, i minatori nella relazione SOMOS e chi acquista il cobalto da operazioni che utilizzano lavoro minorile saranno costretti a cambiare radicalmente il loro modo di operare. Aggiungo io, serve un'etica dei consumatori, che devono chiedere prodotti certificati. E un'etica dei professionisti, che non devono mettere al servizio il proprio intelletto per compagnie di dubbia fama. Anche se tentati da pacchi di soldi. Compagnie che non rispettano i diritti umani, non rispettano nemmeno quello ambientali.