venerdì 25 maggio 2018

CAVA e METTI

Finalmente il Veneto ha il suo PRAC (Piano Regionale Attività di Cava), o almeno si spera. Dopo un percorso lunghissimo iniziato nel 1982, con diversi tentativi da parte del Consiglio Regionale di approvare un piano, andando di deroga in deroga, finalmente la Regione si dota di questo importante strumento di pianificazione, lo fa perché costretta da un ricorso al TAR da parte dei Cavatori che non potendo proseguire, o meglio non potendo pianificare più con ragionevole certezza le proprie attività, hanno messo la Regione spalle al muro, costringendola a dotarsi di questo strumento. Mi ero interessato dell'argomento già nel 2014, in altre vesti e in altre sedi, si era nella prima giunta Zaia, il dibattito era caldo e sembrava si fosse alla volta buona. Invece sono passati altri 4 anni. Ritenevo e ritengo, fosse necessario un PRAC che, di fatto, si configurasse come un "decomissioning" o una riconversione dell'attività di cava nel territorio Veneto, perché un'attività così impattante non era più ancora sostenibile. La mancanza di strumenti di pianificazione definiti ha, infatti, fatto sì che, in vari casi, questo tipo di industria  abbia avuto pesanti ricadute sul paesaggio regionale (vedi le cave sui colli per esempio) e abbia generato elementi di dissesto idrogeologico del territorio (si pensi al caso delle cave sottofalda). Per questo era necessario una PRAC che andasse a avviare un percorso indirizzato a favorire le sistemazioni delle Cave esistenti, la sostituzione dell'uso di materiale vergine con riciclato di materiali da costruzione e demolizione e lasciasse l'attività delimitata  all'estrazione di quei materiali legati alle attività connesse con il restauro di beni artistici. 
In realtà ciò non è avvenuto. Leggendo il testo coordinato dei PDL 80 e 153 che costituiscono il piano si stima in 80mln di metri cubi il fabbisogno di materiale di cava nel prossimo decennio, di cui 12 mln derivano dalle "riserve" (cioé quanto già autorizzato nel regime "ipertransitorio" precedente) e circa 8 mln sono coperti con materiale da riciclo (il 10% può essere considerato un dato che indica un progressivo passaggio dal materiale vergine al recupero? Tenendo conto delle potenzialità di recupero regionali di rifiuti da costruzione&demolizione, direi proprio di no), percui sono sostanzialmente 60mln quelli che saranno autorizzati all'estrazione nel prossimo decennio. Che nella mente del Consiglio Regionale non vi sia una strategia di medio-lungo periodo, che pensi a un ruolo più ridotto per l'industria di cava lo testimonia anche l'assenza dell'introduzione di vincoli di fasce di rispetto verso elementi di pregio o sensibili es. discariche, che non si affronti il tema PFAS, viene per esempio ampliata la possibilità estrattiva di sabbie nelle zone dei comuni di Trissino e Arzignano, fortemente colpiti dalla contaminazione di PFAS e i primi a porsi il tema, chiedendosi se fosse saggio poter asportare terreni dal loro territorio sono state proprio le rispettive amministrazioni comunali. L'attività di controllo poi, è lasciata in maggior misura proprio ai comuni, con l'ausilio di ARPAV. Ma ben pochi sono i comuni che possono avere strutture e risorse adeguate ad assolvere veramente a tale incombenza. 
Insomma si è adottato un PRAC che legittima l'esistente, tranquillizza in parte gli operatori del settore, ma non pone le basi per affrontare le esigenze future del territorio e risolvere le criticità esistenti. Mi sarebbe paciuto leggere sul tema qualche parola chiara dall'Ordine Regionale dei Geologi (similmente a come mi sarebbe piaciuta leggerla su molte altre questioni), ma non ho avuto tale opportunità. O forse ero semplicemente distratto.