lunedì 25 luglio 2016

Rapporto Ispra Rifiuti Speciali 2016. Senza tecnica il senso civico non basta.


Il 6 luglio è stato presentato l'edizione 2016 del Rapporto ISPRA Rifiuti Speciali, che presenta i dati aggiornati al 2014, in questo post trovate le infografiche Ispra di riepilogo. Trovate una documentata sintesi del rapporto sull'ASTROLABIO.
Ricordiamo che i Rifiuti Speciali sono:
  • I rifiuti da lavorazione industriale
  • i rifiuti da attività commerciali
  • i rifiuti derivanti dall"attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti da trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi
  • i rifiuti derivanti da attività sanitarie
  • i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti
  • i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti
Tali rifiuti possono essere ovviamente pericolosi oppure no.
Nel 2014, la produzione italiana di rifiuti speciali è stata di  130,6 milioni di tonnellate. Rispetto al  2013 nel 2014, si rileva un aumento  pari al 5%, corrispondente a oltre 6,1 milioni di tonnellate, per lo più speciali non pericolosi. Va segnalato che un aumento di produzione di questi rifiuti può essere un indicatore positivo, sia della ripresa di attività produttive, sia dell'aumento del trattamento a riciclo di rifiuti urbani (sono speciali anche i rifiuti derivanti dai cicli di riciclaggio).

Dal rapporto si evince che  rifiuti speciali non pericolosi,  (93% del totale), derivano per il 42,3% dal settore delle costruzioni e demolizioni, cui seguono attività trattamento di rifiuti e di risanamento (27,2%) e quelle manifatturiere (19,2%).
I rifiuti speciali pericolosi,  sono ripartiti in un 39% dal settore manifatturiero, 29,9% dalle attività di trattamento rifiuti e  risanamento, 20,7% dal settore dei servizi, del commercio e dei trasporti.
 Risulta che per tali rifiuti il recupero di materia sia al 62,4%, lo smaltimento in discarica l’8,5%, il recupero di energia l’1,6%, l’incenerimento l’1%.
Tra il 2013 e il 2014, l'export all'estero è calato del 4,7%, passestandosi a 3,2 milioni di tonnellate, mentre si sono importate, circa 6,2 milioni di tonnellate, con un aumento del 7,6% rispetto al 2013. Qui si può già fare una prima considerazione. Il grosso dell'import è dato da rifiuti metallici, che servono per alimentare le nostre siderurgie. Nel comparto dei metalli, il livello di recupero materia supera in vari comparti ormai il 90%. Per un paese in cronica necessità di materie prime è un buon indicatore.


Per ciò che riguarda le direttrici di esportazione, 889.000 ton di speciali (27,7%) vanno in Germania e sono prevalentemente pericolosi: derivano da trattamento dei rifiuti, delle acque reflue, della potabilizzazione dell’acqua, dalle operazioni di costruzione e demolizione. Destinazione sono le miniere di sale dove sono utilizzati per la messa in sicurezza delle cavità a seguito dell'attività estrattiva. L'export verso la Cina, invece,  pari a 278.000 tonnellate, è costituita dai soli rifiuti non pericolosi. In particolare la Cina tende ad approvvigionarsi di rifiuti di carta, di rifiuti plastici e in generlae di quelli  prodotti dal trattamento meccanico di rifiuti. Questi sono usati sia per scopi industriali che di produzione energetica o anche per formare stock, specia la carta, per operazioni speculative a livello internazionale. Di rilievo e non scontata anche l’esportazione dei rifiuti verso la Grecia, oltre 242.000 tonnellate, costituite per il 98% da “ceneri leggere di carbone” destinate ai cementifici, dove vengono utilizzate, al posto della sabbia, per creare materiali edili cementizi. Da segnalare che in Italia, invece, questo tipo di attività risulta piuttosto ostica dall'essere praticata sia per le normative che per l'atteggiamento degli Enti di Controllo. Va detto che sopratutto per gli inerti vari, in particolare da costruzione&demolizione, una larga parte finisce in discarica, non essendo praticabili realisticamente altri usi. In tal senso la normativa italiana risulta meno favorevole a tali pratiche, pur proclamando l'opposto negli intendimenti. Nella pratica risulta di difficile gestione, sfavorendo nei fatti il ricorso a tali rifiuti per la produzione di materiali riciclati da reimpiegarsi nel campo edile in senso lato, mantenendo una predominanza dell'uso di materia naturale vergine, con tutti gli svantaggi ambientali (attività di cava, perdita paesaggio, dissesto idrogeologico, emissioni di CO2) conseguenti. Sarebbe tempo che ci fosse in tal senso, anche per motivi di competitività economica un'armonizzazione delle norme europee in tal senso - da tempo si attendono i regolamenti UE per l"end of waste" degli inerti da C&D - sopratutto per ciò che concerne le norme tecniche per il recupero del rifiuto.
 Andando a considerare invece i dati su base regionale, ovviamente si osserva che il grosso della produzione dei rifiuti speciali avviene al nord - essendo connesso a processi di recupero e tessuto industriale. Va altresì riscontrato, però, un aumento nel sud, segno che qualcosa si sta muovendo. La crescita del Sud è stata maggiore del Centro. Però, si riscontra ancora una forte dipendenza impiantistica del Sud verso nord e estero (se parlassimo di urbani lo sarebbe ancor di più). Indice che le Istituzioni meridionali prediligono ancora - anche al fine di evitare scontri sociali - la movimentazione rifiuti altrove - con tutti i costi e le diseconomie che ne conseguono. Da dire che l'impiantistica settentrionale comincia a dare segni di affanno. Risulta quindi, ben evidente come il sistema industriale della gestione rifiuti in Italia, non sia ancora affatto compiuto, e come non vi sia ancora una visione economica del tema rifiuti, depauperando così, di materia, risorse, energie e opportunità un Paese che ne ha disperatamente bisogno.





domenica 17 luglio 2016

Quando un paese perde il lume della ragione: il caso Xylella

Sulla questione Xylella, ossia il batterio responsabile del disseccamento degli Ulivi Salentini, sono stato più volte  chiamato a esprimermi da alcuni dei miei contatti. Il più delle volte in modo provocatorio, anche inviandomi prima i post e i filmati degli eroici agricoltori salentini e ambientalisti locali che si battevano contro il taglio degli ulivi e poi con le notizie delle prodi gesta della magistratura e del presidente della Regione Puglia (Emiliano), che finalmente perseguivano i ricercatori asserviti ai poteri economici e alla UE. Le mie posizioni "pragmatiche", infatti, sono più spesso interpretate da taluni miei "aficionados" come una mia connivenza, per lo meno etico-morale, con le varie lobby e i gruppi che manovrerebbero la società a scapito dei popoli. Non essendo un agronomo o un biologo, ho sempre rimandato l'espressione di una mia posizione fino a quando non avessi avuto il tempo di capirne di più. Ciò è stato letto come una mia mancanza di argomenti, almeno per una volta, a sostegno dei biechi poteri forti e una sostanziale ammissione delle ragioni degli oppositori alle posizioni ufficiali. Ovviamente non era, ed è, così.  Ho acquisito sufficienti informazioni per poter dire la mia sul tema. Credo che la questione Xylella sia esempio emblematico di cosa succeda quando un paese perde il senso della ragione, sia a livello d'Istituzioni che di Società civile. Sul sito delle Scienze, una delle poche testate che ha strenuamente difeso il rigore scientifico durante tutta la vicenda, trovate precisa cronistoria. Sostanzialmente la questione Xylella nasce nel 2013, quando risulta evidente la Sindrome da Disseccamento degli ulivi, il problema assume immediatamente una valenza europea, tanto che l'EFSA, l'Autorità Europea per la sciurezza alimentare, inzia a emanare precise indicazioni e a creare una task force di esperti per seguire la questione evitare che il problema esca dal Salento e attacchi anche altre colture. Viene nominato un commissario per l'emergenza, Giuseppe Silletti, che avvalendosi di vari tecnici qualiticati elabora il "piano Silletti", che prevede anche il doloroso, ma necessario, abbattimento di alcune piante. 
Abbiamo tutti gli ingredienti che ci servono. La "cattiva Europa" che vuole falcidiare una nostra coltura tradizionale, magari per favorire gli interessi di qualche multinazionale e un commissario, che antidemocraticamente, sfidando la saggezza e la volontà del popolo, ordina lo sdradicamento degli alberi. Ma per fortuna arrivano i nostri, inizia una diatriba tra gli studiosi di Lecce e Bari,  (il commissario si avvaleva del supporto tecnico dell'Università di Bari - che aveva puntato decisamente su Xylella come causa della malattia degli Ulivi), i Leccesi danno spago alle teorie degli agricoltori locali e degli ambientalisti, e in loro soccorso arriva la cavalleria pesante, prima il Presidente Emiliano, difensore degli oppressi e la magistratura che indaga Silletti e tutti i suoi tecnici, bloccando l'attuazione del piano, cosa che comporterà l'ampliamento dell'area colpita dalla malattia. I ricercatori baresi sono anche accusati di aver diffuso loro un ceppo di Xylella, proprio per attaccare l'Ulivicultura salentina. A nulla valgono gli appelli della comunità scientifica. 
Nel frattempo, le evidenze che il problema è Xylella, che Xylella è stata importata probabilmente dal sudamerica, che l'eradicazione era, al momento, l'unica cosa sensata da fare, si moltiplicano. L'EFSA preme perché si riprenda il piano Siletti, i tecnici della procura danno ragione ai tecnici indagati, molti ricercatori leccesi, di fronte a nuove evidenze, convergono sulle conclusioni dei colleghi baresi. Il tutto avviene con la "Società civile" che se ne frega dei fatti, continua a seguire emotività e "opinioni" e a parteggiare comunque per posizioni smentite dai fatti; purtroppo, tra questi troviamo di nuovo il Presidente Emiliano (ma già sulla questione referedum trivelle ricordiamo il suo proverbiale "pragmatismo"). Ovviamente in compagnia degli immancabili "5 Stelle", che in simili vicende non possono mancare.
Di tutto ciò si occupa anche l'Accademia dei Lincei, che di fatto, con il suo rapporto pone fine a ogni discussione. O almeno così dovrebbe essere, se fossimo un paese "normale".
Nel documento si ricostruisce la vicenda e si  danno alcune indicazioni di sperimentazione in campo da eseguirsi per trovare modalità di trattamento delle piante ancora recuperabili - rammaricandosi che ciò non sia ancora stato fatto. Va ricordato che il problema è ben lungi dall'essere risolto. Viene ribadito che la causa del disseccamento è un particolare ceppo di Xylella fastidiosa, e non altro, probabilmente giunto con olenadri d'importazione, si conferma che la malattia, per effetto di ricombinazine genetica tra ceppi diversi del batterio potrebbe diffondersi ad altre colture e estendersi nel continente europeo, con forti conseguenze per l'agricoltura, sostanzialmente avvalorando le preoccupazioni dell'EFSA. I Lincei rimarcano come i ricercatori leccesi (fatto salvo qualcuno) abbiano rivisto le loro posizini visto le evidenze scientifiche. Viene anche segnalato come le fonti di finanziamento tra i gruppi di ricerca Baresi e Leccesi, fossero in parte gestite dalla Regione Puglia. Orbene, qui i Lincei affermano che  la radicalizzazione dello scontro da i due poli potrebbe avere avuto proprio come causa l'accesso ai fondi. Noi che siamo maligni potremmo pensare che "Non è che qualcuno a Lecce abbia voluto priviliegiare tesi che dessero credito alle posizioni  più popolari e sopratutto seguite da chi governa la Regione, per accapararsi più fondi?" Sarebbe una strategia contraria all'etica scientifica, che ha fatto sprecare tempo e denaro pubblico, ma siamo dei cinici e non ci stupiamo di nulla. Oppure c'è stato anche da parte di taluni ricercatori un approccio idelogico alla questione, ugualmente deleterio e ugualmente contrario all'etica della ricerca. 
Ciò suffraga ancor di più chi sostiene che il finanziamento delle ricerche scientifiche debba essere tolto dal controllo di enti soggetti a umori "politici".
Inoltre, desta preoccupazione che anche la Magistratura (guarda caso Emiliano è pure un ex magistrato - sarà un caso?) abbia prestato credito a posizioni non supportate da evidenze, a tal punto da indagare e bloccare chi davvero stava cercando di contenere il problema. Su questo i Lincei sono stati ambigui, il loro rapporto è uscito in due versioni, nella prima tale questione era stata stigmatizzata, nella definitiva non ve n'è traccia. Un atteggiamento un po' pilatesco. Serve una comunità Scientifica autorevole, che sappia parlare con voce chiara e sappia contestare le Istituzioni quando abbandonano la via della razionalità verso perigliose derive ideologiche, che sono  potenziali anticamere dall'autoritarismo.
Un passaggio del rapporto dei Lincei è emblematico "registra la presenza di posizioni ideologiche locali che si oppongono al possibile trasferimento di conoscenze scientifiche, che rifiutano modelli agricoli tecnologicamente avanzati e che sono state estese al caso Xylella. Sarebbe, invece, urgente abbassare l'eccesso dialettico che confonde lo sviluppo di possibile esperimenti e la definizione di conclusioni scientifiche, necessarie e preliminari a decisioni normative e operative", purtroppo quest'ultima affermazione potrebbe essere riferita a numerose questioni italiane. Questioni su cui il paese e gli italiani stanno perdendo la sfida per l'innovazione, per un progresso più ecocompatibile, insomma, dove si sta perdendo il Futuro.

lunedì 11 luglio 2016

a proposito di Deep Water Horizon

Operazioni di "capping" del pozzo - the Telegraph
Ricordate tutti la fuoriscita di petrolio dalla piattaforma Deep Water Horizon, nel golfo del Messico. Nell'aprile 2010 dal pozzo Macondo, a seguito di una rottura nelle valvole di raccordo e nelle condutture, 5milioni di barili di petrolio almeno, fuoriuscirno dal pozzo (in pressione), prima che la falla fosse chiusa. 
La vicenda fu usata strumentalmente e maldestramente duranta la recente campagna per il nostrano "referendum sulle trivelle". Bene, mentre qui si chiacchera nel Golfo del Messico si sta facendo ancora la conta dei danni e si sta cercando di capirne di più sul comportamento del greggio in ambito oceanico; infatti i modelli di dispersione del greggio, per le particolari condizioni chimico fisiche del golfo, hanno reso molto complesso non solo il suo  recupero, ma anche il capire come si sia disperso. Su Geology Page è apparso questo articolo , che mi sono permesso di tradurvi, circa gli ultimi sviluppi sulla situazione. Risulta bene evidente quanto complessa sia la situazione e quanto inopportuno il paragone con i depositi e le piattaforme mediterranei.

Di seguito l'articolo: A seguito della portata senza precedenti del disastro ambientale, la valutazione del danno causato nel 2010 dalla fuoriuscita di greggio dalla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico è stata una sfida. Un puzzle irrisolto è la posizione di 2 milioni di barili di petrolio sommerso che si pensa per essere intrappolati nelle profondità dell'oceano.
L’Unità Costiera Santa Barbara di David Valentine e colleghi del Woods Hole Oceanographic Institute (WHOI) e Unità Costiera Irvine sono state in grado di descrivere il percorso che l'olio ha seguito per creare un impronta sul fondo dell'oceano profondo. I risultati appaiono oggi negli Atti della National Academy of Sciences.
Per questo studio, gli scienziati hanno utilizzato i dati del processo di valutazione dei danni alle risorse naturali condotto dal National Oceanic and Atmospheric Administration. Il governo degli Stati Uniti stima scarico totale del pozzo Macondo - dalla fuoriuscita di aprile 2010 fino a che il pozzo è stato ricoperto nel successivo luglio – in 5 milioni di barili.
Analizzando i dati provenienti da più di 3.000 campioni raccolti presso 534 sedi oltre 12 spedizioni, hanno identificato un’area di 1.250 miglia quadrate del fondale profondo sul quale è stato depositato da 2 a 16 per cento del petrolio scaricato. La ricaduta di olio sul fondo del mare ha creato un sottile strato, più spesso a sud-ovest del pozzo di Macondo. L'olio si è maggiormente concentrato all'interno del primo mezzo pollice deal fondo marino, mentre era presente in modo discontinuo anche alla scala di alcuni piedi.
L'indagine si è concentrata principalmente sull’Hopano, un idrocarburo non reattivo, che è servito come un marker per l'olio scaricato. I ricercatori hanno analizzato la distribuzione spaziale dell’hopano nel nord del Golfo del Messico, rilevandolo più concentrato in uno strato sottile al fondo del mare, entro 25 miglia dal pozzo guasto, implicando chiaramente Deepwater Horizon come fonte.
"Sulla base delle prove, i nostri risultati suggeriscono che questi depositi provengano dal petrolio del pozzo Macondo, che è stato prima in sospensione in profondità nell’oceano e poi si è depositato sul fondo del mare, senza mai raggiungere la superficie dell'oceano", ha detto Valentine, professore di Scienze della Terra e biologia University of California. "Il modello è come un'ombra delle minuscole goccioline di olio che sono stati inizialmente intrappolate in profondità dell'oceano circa 3.500 piedi e spinte in giro dalle correnti profonde. Una combinazione di chimica, biologia e fisica in ultima analisi, ha fatto piover quelle gocce  per altri 1.000 piedi andando a depositarsi sul fondo del mare. "
Valentine e i suoi colleghi sono stati in grado di identificare gli hotspot di ricaduta di petrolio in prossimità di coralli di acque profonde danneggiati. Secondo i ricercatori, questi dati confermano il risultato, in precedenza contestato, che questi coralli siano state danneggiati dalla fuoriuscita di Deepwater Horizon.
"L'evidenza sta diventando chiara che le particelle oleose piovevano intorno a questi coralli di acque profonde, ciò fornisce una spiegazione convincente per il danno che hanno sofferto", ha detto Valentine. "Il modello di contaminazione che osserviamo è pienamente coerente con l'evento Deepwater Horizon, ma non con filtri naturali -. L'alternativa suggerita"
Mentre lo studio ha esaminato un'area specifica, gli scienziati sostengono che l'olio riscontrato rappresenta una minima parte del fuoriuscito. Essi ritengono che la deposizione di petrolio sia avvenuta anche al di fuori dell'area di studio, ma finora non ne sia avvenuto il rilevamento a causa della sua discontinuità.
"Questa analisi ci fornisce, per la prima volta, un po’ di conclusioni sulla questione “Dov'è finito l'olio uscito e come?" Ha dichiarato Don Rice, direttore del programma nella divisione del National Science Foundation di Ocean Sciences. "E ci avverte anche che questa conoscenza rimane in gran parte provvisoria fino a che non potremo spiegare completamente che fine abbia fatto il restante 70 per cento."
"Questi risultati dovrebbero essere utile per valutare i danni causati dalla fuoriuscita di Deepwater Horizon, nonché pianificare futuri studi per definire ulteriormente la portata e la natura della contaminazione", ha concluso Valentine. "Il nostro lavoro può anche aiutare a valutare il destino di idrocarburi reattivi, modelli di prova del comportamento di petrolio nell'oceano e il piano per le fuoriuscite future."

Reference:
David L. Valentine, G. Burch Fisher, Sarah C. Bagby, Robert K. Nelson, Christopher M. Reddy, Sean P. Sylva, and Mary A. Woo. Fallout plume of submerged oil from Deepwater Horizon. PNAS, October 27, 2014 DOI: 10.1073/pnas.1414873111

Note : The above story is based on materials provided by University of California - Santa Barbara. The original article was written by Julie Cohen.

Read more : http://www.geologypage.com/2014/10/where-did-all-oil-go.html#ixzz4E5CrXrnv
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