lunedì 16 maggio 2022

BIOPLASTICHE. Sì. ma senza fretta.

Potrei, dire citando un noto filosofo barbuto contemporaneo, cui mi accomuna la tricotica e il carattere non sempre amabile che erano "anni che lo dicevo, anni!", relativamente a quanto emerso da un recente studio in merito alla "degradabilità" delle plastiche bio, ossia non di derivazione da idrocarburi in ambiente naturale. In allora la mia posizione era sorta da osservazioni empiriche non sistematiche, cui non avevo potuto dare compiuta enunciazione. osservavo, però, che le bio plastiche, dovendo sostituire quelle a base idrocarburi (altrimenti dette OXOdegradabili), dovevano necessariamente garantirne le medesime prestazioni, specie nei casi di uso come imballaggio, in termini di stabilità chimica, durevolezza e requisiti meccanici. Questo inevitabilmente, a mio avviso, comportava che dovessero subire dei trattamenti per raggiungere tali prestazioni, da non renderle poi così "digeribili" per l'ambiente come si voleva raccontare. 
Torniamo a quanto dicevamo all'inizio: è notizia di questi giorni, ed ha suscitato un certo eco, quanto emerge dalle conclusioni della prima serie di risultati di uno studio che avrà durata triennale e che vede tra gli altri il contributo del CNR e dell'INGV. Alla pagina indicata del CNR oltre a una sintesi della ricerca trovate i collegamenti per l'articolo pubblicato su Polymers (ed onore al merito per aver scelto una rivista open acess). In estrema sintesi lo studio raffronta il grado di degradazione di diversi polimeri plastici, tra cui alcuni di derivazione bio, simulando la loro permanenza in ambiente marino. Si sono costruite due gabbie metalliche, in acciaio anodizzato per meglio resiste all'attacco dell'acqua di mare e si sono lasciate a mollo, una a circa 10metri di profondità a qualche decina di metri dalla riva, per simulare la flottazione libera in mare aperto della plastica, una invece semi sepolta in prossimità della costa sabbiosa, per simulare le condizioni in ambiente costiero e entro i sedimenti. Il tutto si è svolto in zona di La Spezia e avrà durata di 3 anni, l'articolo in discussione presenta i risultati emersi dai primi sei mesi di osservazione. Da essi emerge che non si rileva particolare differenza in nessuno dei due ambienti tra la degradazione patita dalle plastiche oxo degradabili e quelle bio, che invece risultano estremamente degradate se inserite in un processo di compostaggio. Questo fa concludere ai ricercatori, per il momento, che la persistenza nell'ambiente delle plastiche bio sia similare a quello delle plastiche tradizionali, con tutti i rischi in termini di inquinamento e alterazione delle catene trofiche. Tali esiti hanno ovviamente sollevato le ire dell'associazione ASSOBIOPLASTICHE che raccoglie i produttori di plastiche bio, che critica la scientificità del lavoro, la prematurità delle conclusioni, l'assenza di coinvolgimento, l'errata introduzione di un elemento di rischio nella dispersione delle plastiche bio nell'ambiente e soprattutto lo studio viene dichiarato come dannoso per tutta la filiera di settore.
Lo studio in realtà ha un grande valore, perché sino ad oggi non era mai stata condotta un'indagine sulla degradabilità delle plastiche in ambiente marino reale, sul campo, ma si erano sempre usati modelli di laboratorio. Tale approccio evidentemente doveva portare ad evidenze nuove.
Le platiche Bio ad avviso di chi scrive sono stata una grande operazione di sgravio di coscienza della società. Credere che ci potessero essere plastiche che disperse nell'ambiente venivano scomposte in maniera indolore rendeva la nostra coscienza di consumatori assai più leggera. Tale studio ben ci ricorda che il problema non è il materiale in sé, ma la sua dispersione nell'ambiente, che è problematica per qualsiasi materiale tecnologico, anche il più semplice. 
La vera sfida, quindi, è garantire la corretta gestione di questi materiali una volta che hanno finito il loro ciclo d'uso affinché siano recuperati e non dispersi nell'ambiente. E questo va fatto su scala globale. Finché vi saranno città popolose come l'Italia intera che praticano lo smaltimento  fiume o che hanno corsi d'acqua che attraversano discariche degne dell'Inferno Dantesco la plastica bio o no continuerà ad accumularsi negli ecosistemi marini. 
Si deve ripulire il più possibile e soprattutto, ridurre la produzione di scarti e smettere di disperdere, senza cercare scorciatoie.
E anche sulle plastiche bio va fatta una riflessione serena, rilevandone i problemi di sostenibilità (basti pensare, per alcuni polimeri, alla sottrazione di biomassa per l'alimentazione per la produzione industriale) non vuol dire essere servi della lobby del fossile o nemico della transizione ecologica, semplicemente si vuole far sì che le soluzioni adottate siano davvero tali e non siano invece semplici camuffamenti o posposizioni dei problemi.