venerdì 25 marzo 2016

Perforare la demagogia

Se credete alla teoria del complotto globale, al nuovo ordine mondiale, o semplicemente pensate che io sia un prezzolato della lobby del petrolio, potete pure fermarvi qui. Con questo post vorrei dire la mia circa il referendum del 17 aprile prossimo. Cercherò nei limiti del possibile di essere sintetico e di fornire qualche link utile, da fonti istituzionali/autorevoli e sopratutto fondati su dati solidi e non su opinioni, per chi volesse davvero approfondire senza schemi precostituiti la questione. Però, se siete di quelli che si formano un'opinione solo con un twett, perché hanno una bassa soglia di attenzione, questo post non fa per voi, perché un po' di tempo per chiarire la cosa ci vuole.
Bene, rimasti in pochi, andiamo al nocciolo della questione, il prossimo 17 aprile è indetto referendum popolare sul quesito:
Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”? Ossia, volete voi che alla scadenza delle concessioni in essere nelle piattaforme esistenti entro le 12 miglia dalla costa  queste siano prorogabili, come è oggi, oppure no? Per dire che NON volete, dovete votare Sì, per dire che invece ritenete che le piattaforme possono continuare la loro attività dovete votare NO. 
Per approfondire il quesito e il suo iter potete leggere quest'ottimo articolo di  Claudio Bovino, avvocato, consulente di Ambiente e Sviluppo. Puntualizzo che, a mio avviso un referendum su un tema estremamente tecnico è  uno strumento inadeguato, che qui è usato per fini politici, l'argomento in sé è sopratutto un pretesto, come bene esposto sul Post, nella disamina sui pro e contro del quesito. I motivi non riguardano le strategie di approvvigionamento energetico nazionale, ma come ammesso da molti dei proponenti, conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni e beghe partitiche. Che rischiano, però, di andare a detrimento dell'economia e dell'ambiente e sopratutto del buonsenso.
Cercando di stare sul pezzo, dobbiamo dire che stiamo parlando di 44 concessioni in termini di struttre pari a 92 piattaforme, per lo più di gas e non petrolio, di cui 8 non operative. Il gas in Italia si usa per lo più per produzione di energia e molto per uso domestico. Chiariamo che oggi funziona così: NON si possono PIU' fare NUOVE piattaforme entro le 12 miglia dalla costa, quindi parliamo di piattaforme che esistono già, che hanno una concessione trentennale, che può essere prorogata al massimo 2 volte (per 10 e 5 anni) PREVIA VALUTAZIONE d'IMPATTO AMBIENTALE, quindi non è così scontato. Queste piattaforme coprono il 28% circa della nostra produzione nazionale di Gas e circa il 10% di Petrolio. Sono, piaccia o no,  fonti di cui abbiamo ancora bisogno, visto che, c'è stata sì una vigorosa rincorsa delle rinnovabili in Italia, ma le fonti fossili coprono quasi l'80% del fabbisogno (39% petrolio e 37% gas), energetico nazionale e sono strategiche nell'ambito di una transizione energetica verso fonti "low carbon", in particolare il Gas, come ben evidente dai rapporti ENEA. Il Gas, infatti, ridurrà progressivamente il suo contributo per la produzione di energia primaria, ma diventerà fontamentale per la locomozione. E' ben ricordare che una delle strategie nazionali per la riduzione della CO2 verte proprio sulla riduzione del fabbisogno dall'estero, da cui adesso dipendiamo per oltre l'80% per l'approvvigionamento energetico, dato che è aumentato negli ultimi anni proprio per la contrazione della produzione nazionale di idrocarburi. Ecco perché è strategico gestire queste fonti  con efficienza, ottimizzandone il consumo e quindi dotandoci delle migliori tecnologie sia per l'estrazione e che poi per la gestione. In questo, è bene dirlo, gli Italiani sono BRAVI. Se rinunciassimo a questa risorsa, dovremmo, quindi, comunque incrementare le importazioni di circa una superpetroliera l'anno - perdendo anche le royalties che vanno alle Regioni (402milioni di euro  incassati nel 2014 di cui 182 circa alle Regioni interessate) - lascio ai sindacati la questione occupazionale. A meno che dalla sera alla mattina non si effettui una radicale riconversione dei consumi. Io che sono un freddo, disilluso realista, mi permetto di ritenerlo poco probabile, al di là dei bei discorsi degli ecologisti di comodo e di salotto - per fortuna non tutto il mondo ambientalista è così, ci sono anche associazioni come gli Amici della Terra a perseguire ambientalismo razionale - per cui accadrà che sposteremo il problema dell'approvvigionamento più là, lontano dagli occhi, compiendo una scelta pusillanime, prassi,  che sta diventando abbastanza standard in questo paese. E magari finiremo in Mozambico, o altrove, magari ci approvvigioneremo da qualche paese a democrazia discutibile (più della nostra, c'è chi fa ben di peggio) o dove gli standard ambientali e civili sono un filo più bassi dei nostri, ma tant'è, saremo ipocritamente con la nostra coscienza imbelle apposto. Tra l'altro andando a incrementare l'import, al di là dei costi, aumenteremo le emissioni di CO2, perché aumentiamo i percorsi e i passaggi, non che i rischi di sversamenti. Un rapporto ISPRA del 2011, mostra chiaramente come sia la circolazione navale la principale fonte di rischio nei nostri mari per perdita di idrocarburi e non l'attività delle piattaforme.
Sul tema dei rischi vorrei spendere anche altre 2 parole (o un po' di più):
  • Greenpeace ha lanciato un grido di allarme circa contaminazioni delle faune di mitili raccolte nella costa romagnola, causa idrocarburi, parrebbe che il dato sia stato presentato in modo "livemente" strumentale, come conferma Giovanni Fucci, presidente della cooperativa che si occupa della raccolta cozze - e quindi rischia del suo a dire certe cose - in una recente intervista.
  • Rimbalza in questi giorni il "caso delle Isole Kerkennah" in Tunisia dove un danneggiamento a un a pipe-line ha  provocato uno sversamento di idrocarburi in mare, subito si è usata la questione in chiave referendum, in realtà va detto che ciò che ha provocato lo sversamento è un tubo gestito da una compagnia misto statale-privata tunisina,  e non dalla Piattaforma di Estrazione Petrovac, compagnia inglese che ha più volte attaccato il governo tunisino per l'incapacità di garantire sicurezza nelle tubazioni - perché ci crediate o no, i primi che si disperano per gli sversamenti sono proprio gli avidi petrolieri, non perché buoni, ma proprio perché avidi. In Italia gli standard di sicurezza sono molto più alti e anche i livelli tecnologici.
  • Sismicità e subsidenza, anche qui si è scelto di usare in modo strumentale un rapporto di una commissione tecnica in Emilia Romagna, istituita per valutare gli effetti dello stoccaggio sottorraneo di gas, cercando di rilevare come anche l'estrazione d'idorcarburi possa provocare sismiscità indotta o subsidenza artificiale, il rapporto è stato anche oggetto di una punta di Report, qui vi rimando al prof. Doglioni - Presidente della Società Geologica Italiana, autore di molti dei sacri testi su cui si sono formate generazioni di italici geologi, che con estremo buon senso, evidenzia la forzosità e faziosità delle asserzioni fatte, inoltre val la pena anche leggersi cosa scrive ARPA Emilia Romagna (regione storica per lo sfruttamento in terra e in mare di idrocarburi), nel suo più recente rapporto sul monitoraggio subsidenza: "Dall’esame degli elaborati prodotti si evince che la gran parte del territorio di pianura della regione non presenta nel periodo 2006-11 variazioni di tendenza rispetto al periodo 2002-06; circa un terzo della superficie evidenzia una riduzione della subsidenza e appena il 3% un incremento, presente in particolare nel Modenese, Bolognese, Ravennate e Forlivese".
  • Lascio perdere la questione "le piattaforme danneggiano il turismo" poiché basta ricordare che le coste romagnole sono una potenza turistica e le piattaforme che ci sono non se le fila nessuno. Da segnalare in tal senso l'intervista di Paolo Dalla Vecchia - Geologo esperto nel campo degli Idrocarburi - che evidenzia come i rischi per i mari siano, per esempio, i numerosi scarichi di intere aree urbane senza depuratori o il traffico navale.
  • Un breve spunto sulla questione "le riserve italiane sono di scarsa qualità e poco reddittizie e l'industria petrolifera si regge su incentivi statali", ma davvero si può credere che gli avidi petrolieri pianterebbero costose piattaforme su giacimenti che non siano remunerativi (In ogni caso vi rimando a un equilibrato dossier della Voce che esplora la questione dal punto di vista economico)? 
  • Da segnalare poi come il settore Idrocarburi in Italia consenta una forte trasparenza dei dati, sul sito dell'Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse il numero di dati ricavabili è davvero notevole. Da Segnalare anche il progetto VIDEPI tra Società Geologica Italiana e il Ministero per lo Sviluppo Economico che è incentrato proprio su questo, sottolineo questo elemento giusto per dare una risposta a chi dipinge il settore come una sorta di "spectre" che "non ci racconta la Verità"... è più facile conoscere i conti dell'Eni che non quello di certe associazioni ambientaliste...
Se si vuole incalzare il governo sul tema del cambio di paradigma energetico, dello sviluppo sostenibile e dell'innovazione, allora si dovrebbe chiedere più fondi per la mobilità alternativa, per la riconversione dei sistemi di riscaldamento, per l'aumento di pratiche come cogenerazione e teleriscaldamento, e in questo le Regioni possono già fare molto, investendo proprio i proventi delle Royalties, che invece troppo spesso "spandono" per tutt'altro.
E' per tutto questo che andrò a votare e voterò NO. Certo sarebbe più facile suggerire l'astensione, cosa che, al di là di taluni ipocriti lai, emessi sulla questione, è opzione perfettamente legittima in una battaglia referendaria. Ma stavolta, per quanto detto precedentemente, ritengo si debba dare un segnale incontrovertibile a quelle forze anti razionali, violente, demagogiche e regressiste che da troppo tempo ormai, su troppi temi, approfittando della debolezza delle nostre Istituzioni, spadroneggiano nel dibattito pubblico, impedendo un confronto. E solo una vittoria del NO può dare tale messaggio.

Fonti principali dei dati Ministero per lo Sviluppo Enomico, Enea, Società Geologica Italiana, Le Scienze.

domenica 13 marzo 2016

Collegato ambientale - ma e però...

Il 18 gennaio 2016 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale la Legge n.221 del 28 dicembre 2015, il cosiddetto "collegato ambientale", Ma collegato a cosa? Alla Legge di Stabilità (la vecchia Finanziaria), del 2014. Come hanno osservato molti commentatori molto più autorevoli di me, la legge introduce sì importanti elementi di novità, ma presenta anche una certa disorganicità, andando a toccare settori diversi, apparentemente senza  un chiarodisegno strutturato e sopratutto rimettendo mano al TU Ambiente, il D. Lgs 152/06, norma che, ormai, conta sempre almeno una paio di robusti aggiustamenti ogni anno. Non occorre ricordare come l'instabilità normativa non sia proprio un elemento positivo...
Ciò detto, andiamo rapidamente a vedere quali sono quegli interventi che vanno a toccare la questione "rifiuti".  Viene incentivata la così detta green economy e si delinea una tendenza a favorire i recupero di materia, rispetto a quello energetico, mentre ci sono misure, a mio avviso, contraddittorie circa il ricorso alla discarica, vediamo quali:
  • Si riducono gli incentivi per il recupero dei rifiuti a base di legno da raccolte differenziate in ambito energetico, intesi sia come impianti termici che a biomasse.
  • Si ammette nei  circuiti di produzione fertilizzanti da trattamento frazione organica, la plastica biodegradabile, che non sarà più da eliminare, questo dovrebbe facilitare le raccolfe della FORU (frazione organica) e ottimizzare i costi di raccolta.
  • Si pone una stretta sulle attività dei "ferrivecchi": qui bisogna dire che si crea un piccolo, ma significativo problema sociale, in molti territori, tramite "autorizzazioni" rilasciate dal Comune o dai Gestori del Servizio di Raccolta Urbana, si consentiva, sopratutto a persone disagiate, di condurre attività di raccolta "ferrivecchi", in sostanziale franchigia dalle normali normative sui rifiuti, di fatto tali attività non si possono più fare, io dico giustamente, poiché all'interno di questa "zona franca" ormai si era insediato tutto e il suo contrario, ma il problema di come sostenere queste fasce sociali, il legislatore se lo dovrebbe porre.
  • Si introduce la possibilità per i colpevoli di "danno ambientale" di avvalersi di possibilità di transazioni che prevedano la bonifica degli inquinamenti da essi provocati, attraverso appositi accordi di programma; immagino che taluni vedano in queste transazioni un favore all'illegalità, io ritengo invece sia una scelta pragmatica per risolvere diverse situazioni di degrado ambientale, che altrimenti rischiano di rimanere croniche sul territorio. Tale disposizione va resa, secondo me, più puntale nelle tempistiche.
  • Si premiano i virtuosi della raccolta differenziata cosentendo una riduzione della ecotassa per il conferimento in discarica in ragione dei livelli di raccolta raggiunti, criterio di per sé giusto, se non fosse che attualmente ogni Regione adotta un  suo criterio per il computo della raccolta differenziata, sarebbe ora che la parametrizzazione su base nazionale, con criteri omogenei e univoci, che da tempo giace al Ministero fosse adottata, altrimenti si rischia che ogni Regione calcoli a modo suo e pro domo sua, le prestazioni di raccolta.
  • L'incenerimento viene equiparato alla discarica in termini di ecotassa (prima era il 20%), questo potrebbe portare, stante la competenza regionale sui piani rifiuti, al surrettizio incentivo alla discarica, specie in quelle Regioni dove già vi si ricorre troppo. I processi termo distruttivi, laddove non vi siano alternative, sono indubbiamente più controllabili e tracciabili dello smaltimento in discarica.
  • Si introducono meccanismi di riduzione incentivante per la TARI, che la rendono più simile alla vecchia TIA, attraverso regolamentazioni comunali; stante tale misura, sarebbe opportuno rivedere su base nazionale i criteri di assimilazione agli urbani, onde evitare, come è capitato e capita enti locali che "drogano" le proprie raccolte con assimilazioni quanto meno discutibili.
  • Si introduce in via sperimentale il ritorno al "vuoto a rendere", si stimola la messa in opera nelle aziende agricole di impianti di compostaggio a valenza locale, e si introduce la possibilità di compostaggio di "comunità" in spazi idonei individuati dal Comune.
  • Si impone ai produttori di sigarette e altri tipi di oggetti, di pubblicizzare buone pratiche contro la dispersione di rifiuti di piccole dimensioni, su questa questione ci farò un post dedicato.
  • Finalmente si pone il problema della gestione del fine vita dei pannelli solari, cosa  a cui siamo ancora impreparati.
  • Si abroga il limite dei 13.000 KJ/Kg di potere calorico, per il conferimento in discarica di rifiuti, limite più volte prorogato, ma che di fatto non ha un vero significato, tale parametro di fatto, non è dirimente per valutare la conferibilità, ma non si stabilisce una chiara e valida alternativa. Di fatto ci si dovrebbe basare su un principio di processo, per cui in discarica dovrebbe solo lo scarto finale prodotto a valle di tutti i processi di recupero tecnicamente, economicamente e ambientalmente esperibili.
  • In ogni caso il collegato fissa nuovi obbiettivi per la riduzione del conferimento rifiuti in discarica, in particolare dei biodegradabili.
  • Si introduce la possibilità nei centri raccolta comunale di attività propedeutiche al riutilizzo, quindi atte a prevenire la produzione di rifiuti.
Questa è una rapida scorsa del collegato in tema rifiuti, sulle questioni a mio avviso più salienti. Onestamente credo sia tempo di affrontare l'argomento in maniera più organica, semplificando davvero le norme e collegandole maggiormente a meccanismi regolamentari più agili, la farraginosità della norma non favorisce trasparenza o economicità, anzi, reden difficile la vita di chi pera con cognizione nel settore. La green economy, l'economia circolare, una gestione proficua dei processi di riciclo che consentano l'ottimizzazione della risorsa rifiuto richiedono un forte investimento in pragmatismo e una forte introduzione di tecnologia e una minor ansia da prestazionie, troppo spesso l'opinione pubblica si aspetta di "lucrare" sul riciclaggio e sul recupero, nel senso di riduzione di tasse, ma troppo spesso si oppone ai processi industriali che una gestione efficace del rifiuto richiederebbe. Il problema che il cittadino si dovrebbe porre non è cosa ci guadagni a ottimizzare le gestioni dei rifiuti e energetiche, ma cosa ci perda a non farlo.

sabato 5 marzo 2016

ecologia papale papale

Per la serie pontificano tutti, io non sono da meno. Come anticipatovi, ho letto, come molti, mettendoci molto più degli altri, essendo lento, l'enciclica Laudato Sii  di Papa Francesco. E mi permetto nel mio piccolo di dire la mia. Non mi rivolgerò direttamente al Pontefice, come hanno fatto altri, vedi Beatrice Mautino, autrice di Contro Natura, che ha assai argutamente rilevato alcune criticità nel pensiero pontificio sul tema OGM, perché non sono così estroverso, ne penso che il Pontefice leggerà queste mie righe, anzi se accadesse, ne sarei pure imbarazzato. Non entriamo nei meandri dei miei convincimenti religiosi, che non sono elemento d'interesse, ma vorrei evidenziare alcuni punti dell'enciclica che mi hanno colpito, tenendo conto che questo documento, anche se non tecnico, è destinato a fare opinione e a condizionarla non poco, specie quella di chi ha responsabilità politica, veri destinatari - mi pare - più dei fedeli, dell'enciclica, come ben rileva un articolo di LIMES. Il testo è, ovviamente, rilevamente e avrà un peso tutt'altro che trascurabile nel dibattito internazionale sull'uso delle risorse, come rileva il National Geographic e una lettura distorta potrebbe portare a posizioni irragionevoli. Non mi avventuro a dare del marxista alle tesi papali, come hanno fatto al Foglio (i celeberrimi atei devoti, verso Papa Francesco mi paiono più atei che devoti), ma mi permetto alcune osservazioni. L'enciclica ha acceso gli entusiasmi di larga parte del mondo ambientalista, vi riporto il link ai commenti del FAI, come esempio, ma ogni associazione che si occupa di ambiente e di terzomondismo ha praticamente detto la sua. Partiamo dall'introduzione di Carlo Petrini di Slow food, non commento la visione profetica che ormai il Petrini ha di sè, ma rilevo che nella sua introduzione egli - pur dichiarandosi non credente - accenna a un concetto che poi lo stesso Pontefice esprime seppur implicitamente. Ovverosia dell'evitabilità dell'estinzione umana. Si fornisce un quadro fosco della nostra permanenza sulla Terra, si ricorda come se continuiamo con questo andazzo nel consumare risorse, probabilmente a breve non ne avremo più e come specie non avremmo più futuro. Concetto di per sé sacrosanto, anche io penso che se continuiamo così, accorceremo di non poco la nostra presenza su questo pianeta, ma va dato per scontato che l'estinzione fa parte della vita di ogni Specie, per cui prima o poi, volenti o nolenti, sia che si faccia i bravi bambini che i cattivi, l'Homo sapiens sapiens sparirà, estinguendosi, o evolvendosi - si spera - in qualcos'altro. Vedo che alcuni principi base dell'Evoluzionismo, in certi  mondi non si comprendono ancora appieno (o no si vuol comprenderli). Ciò detto, per il resto, mi permetto di dire sull'Enciclica che non è tanto il contenuto a essere importante, quanto chi lo dice. Nel senso che vi sono alcuni concetti un po' triti e pure già sollevati da altri Pontefici, ma il solo fatto che qui siano messaggio centrale che ha un forte peso. Trovo importante il concetto di "ecologia integrale" che il Papa pone, ricordando come tutte le nostre scelte in ambito ambientale debbano necessariamente iniziare a considerare gli aspetti sociali, tecnologici, culturali, etici e economici, con un approccio alle sfide per una presenza umana sostenibile più ponderato e sopratutto totalizzante. Trovo questo importante e per questo mi auguro che finalmente, ai prossimi vertici sul Clima o sull'Ambiente in generale, i vari governi del Mondo inizino a presentarsi non solo con i ministri ambientali, ma anche con quelli economici e finanziari, se vogliamo che questi consessi siano produttori di azioni concrete e non solo di enunciazione di buoni propositi, come troppo spesso è accaduto (in parte non secondaria anche alla recente COP 21 di Parigi). Trovo che il Pontefice si aggreghi un po' troppo ai tecnofobici, spesso la tecnocrazia è presentata un po' come l'antagonista del bene ambientale e la fredda Tecnica come un rischio in senso lato. Ma la Tecnica non è ne buona ne cattiva. Caso mai può esserlo l'uso che se ne fa. E' poi un po' ostico il passaggio dove si critica l'antropocentrismo egoista che porta l'Uomo a ritenersi così speciale da poter sfruttare a suo piacimento il pianeta, visto che se ne richiama più volte la sua specificità e superiorità con riferimenti alle Sacre Scritture, ma nel contempo si voglia anche evitare una sorta di sua mortificazione paragonandolo al resto del "creato". Il Pontefice sembra tentare di mitigare l'autostima della nostra specie - cui però il pensiero religioso molto ha contribuito, tentanto di evitarne la sua banalizzazione, temendo una sorta di deresponsabilizzazione. Concordo sul concetto, invece, che come Specie abbiamo raggiunto un livello di consapevolezza e di capacità di modificare l'ambiente, che non possiamo più agire in modo scriteriato, come se le risorse fossero infinite e la Terra in grado di assorbire ogni colpo. Dobbiamo agire responsabilmente a livello mondiale.  Se è vero che il messaggio papale è importante, è vero che mi pare ci sia un po' troppo di romanticismo ecologista parolaio, che teme la tecnica e le sue implicazioni e quindi la rifugge, vedendo nel pragmatismo, una sorta di disamore per il Pianeta e la Vita che ospita.
Non è così, le sensazioni, i sentimenti che le sofferenze dei popoli, delle forme di vita e degli ambienti ci suscitano, devono essere ciò che ci spinge a rimettere in discussione il nostro modo di abitare la Terra, ma non possono essere il metro dell'agire. L'azione deve venire da una lucida analisi dei dati e da un'azione pragmatica, che abbia il massimo dell'efficacia e il massimo dello spettro d'azione. Ribadisco un concetto, essere analitici e pragmatici non significa essere insensibili, ma solo razionali. E l'essere umano, o è razionale o non è.