martedì 27 gennaio 2015

Il Pianto dell'Ouranosaurus





Imponente troneggia nella sala grande del Museo di Storia Naturale di Venezia, lo scheletro dell'Ouranosaurus nigeriensis, guardato a vista dal Sarcosucus imperator, straordinari reperti, che la dedizione, la passione, la tenacia di Giancarlo Ligabue hanno portato da lontano a Venezia e al mondo.  L'Ouranosaurus è stato il primo grande scheletro di Dinosauro che vidi da bambino visitando il vetusto museo veneziano (oggi con un impostazione decisamente più moderna) e ne rimasi affascinato, come solo i bambini sanno essere di fronte ai grandi sauri. E lo sono tutt'ora. Non ho mai conosciuto di persona Ligabue, cosa di cui mi rammarico, ma i suoi scritti e le sue opere sono state per me fonte sempre di grandi entusiasmi. Spero che Venezia, sappia valorizzare e celebrare degnamente questo suo concittadino e non siano le piccole beghe o le colpevoli dimenticanze a prevalere. L'Ouranosaurus è già addolorato, diamogli consolazione.



domenica 25 gennaio 2015

Una plastica è per sempre...

Quando sul lavoro mi vengono a trovare le scolaresche, una delle questioni su cui sono particolarmente insistente è quella relativa alla dispersione dei rifiuti dell'ambiente. Troppo spesso, verso i rifiuti che normalmente produciamo, dalla carta della caramella, alla plastica del pacchetto di sigarette, al foglio di carta, etc, siamo un po' distratti. Nono ne vediamo una effettiva minaccia per l'ambiente e per noi, per cui, se qualcuno ci scappa e non lo conferiamo nel sistema di raccolta rifiuti, ma ci cade per terra o nel tombino o ci vola via... pazienza, cosa vuoi che sia? Non stiamo mica parlando di rifiuti pericolosi. Beh, come spiego agli scolari, la questione è più complessa. Questi rifiuti sono studiati per "durare" e quindi hanno una persistenza lunga nell'ambiente (ossia prima che l'ambiente, tramite processi chimici, fisici e biologici, li degradi in elementi "digeribili" ce ne vuole), lunghissima nel caso della plastica. Quest'ultima, particolare, si rivela particolarmente problematica. Nel video che segue viene introdotta la questione del suo accumulo negli ecosistemi marini.



Numerosi progetti hanno portato a "mappare" queste isole galleggianti, che il gioco delle correnti forma in vari oceani e mari Qui trovate un primo esempio, Gli studi si sono particolarmente concentrati nell'indagare sui processi di frammentazione della plastica, onde capirne le modalità di degradazione. Immediatamente, però, gli studiosi si sono accorti che qualcosa non tornava, ovverosia tra le stime di plastica disperse nell'ambiente e quella formante queste isole c'é un significativo gap, ossia manca della massa. Qui trovate estratto di ricerca del National Geographic, Questo problema della massa mancante ha portato a varie ipotesi per capire dove fosse la plastica non rilevata, inizialmente si è pensato che i processi di frammentazione della plastica portassero alla produzione di microparticelle che non venivano rilevate nei campionamenti, oppure finissero nel record sedimentario. E' pur vero che probabilmente, ciascuno di queste ipotesi ha del fondamento, la seconda sopratutto come vedremo, ma è ormai un dato quasi assodato, essendo sempre di più le evidenze, che questa plastica "mancante" sia finita e finisca nelle catene trofiche, ovverosia pesci vari se ne cibano (anche volatili a dire il vero) e poi questi sono a loro volta predati da altri, è stata ritrovata plastica negli stomaci di Pesci Spada e Tonni destinati al consumo umano. Ovverosia è proprio vero che la plastica che buttiamo ce la ritroviamo nel piatto. 
Ricordiamo che la plastica negli Oceani, oltre a compromettere gli ecosistemi marini - numerose le immagini di animali vari morti o deformi a causa di corpi plastici - comporta la dispersione di elementi chimici, quali metalli pesanti e polimeri particolari che sono presenti nelle plastiche di uso comune in % minime, ma che i fenomeni di accumulo possono portare a raggiungere livelli tali da divenire pericolosi per la salute degli ecosistemi e umana, quando ciò avviene nelle catene trofiche
Per dare un'idea di come la Plastica in un sessantennio (il suo uso negli imballaggi e e nei manufatti dopo gli anni '50 del secolo scorso) si sia diffusa nell'attività umana e sia stata pesantemente dispersa nell'ambiente, val la pena segnalare questo studio della Società Geologica d' America, che ha rilevato l'esistenza dei Plastigomerati, ossia di conglomerati - rocce solitamente formati da ciottoli e ghiaia cementati tra loro - dove unitamente ai corpi litoidi si trovano elementi plastici, o dove addirittura e la plastica stessa a far da "cemento".  E' la prima roccia "made in Human" e di fatto il primo vero "marker" stratigrafico dell'antropocene - quel periodo, che taluni studiosi fanno partire dal XVIII secolo, in cui l'uomo è divenuto di fatto una delle forze endogene agenti sulla Terra. Queste rocce indicheranno nel futuro in maniera netta l'azione umana su scala globale.
Prevenire è meglio che curare, ovvio, per cui lo sforzo massimo deve essere sul NON disperdere la plastica nell'ambiente.  Ma di quella che ormai è negli oceani che facciamo? Continuiamo a lasciarla là a far danni? In realtà sul tema sono in corso ricerche e sperimentazioni. Una è particolarmente interessante, si tratta del progetto Ocean Clean Up, è un progetto di ricerca, basato su crowfunding, inventato da un ragazzino, che rimasto colpito dai filmati sul "plastic trash vortex", il vortice della plastica appunto, ha iniziato a studiare la questione e con una grande forza di volontà ha fondato una compagnia, raccogliendo competenze e professionisti vari, nonché volontari, con lo scopo di elaborare una soluzione tecnica per rimuovere la plastica dagli oceani, adesso mi pare sia in una fase di sperimentazione avanzata di un sistema a torri galleggianti - dopo l'insuccesso di un sistema basato su catamarani raccogli plastica. Devo dire che è una bella storia, anche se devo approfondirla per capire quanto di concreto ci sia (non vorrei fosse solo propaganda), ma da quello che mi è dato di capire è indubbiamente il tentativo più avanzato per provare a risolvere la questione.



mercoledì 14 gennaio 2015

Geologi di un dio minore

Ebbene sì, lo confesso, ho vissuto e talora vivo un po' con sofferenza il fatto di fare il "geologo dee scoasse", un po' perché come tutti quando mi iscrissi a Geologia avevo altre aspirazioni, che so la vita in piattaforma petrolifera (di cui avrei avuto l'occasione...). Oppure fare il cacciatore di dinosauri nelle badlands, o ancora analizzare carote di sedimenti e microfossili dalle profondità oceaniche per ricostruire l'evoluzione climatica. Poi la vita, le occasioni, le necessità e la mia pragmatica prosaicità, mi hanno portato da tutt'altra parte, bonifiche e rifiuti. Settore in cui ho incontrato più d'uno laureato in Scienze Geologiche. Si badi, qui di Geologia e di applicazione della Geologia per il recupero dell'ambiente e della materia c'è ne molta, ma la percezione esterna è che sia più un campo da ingegneri, notoriamente categoria più prosaica della nostra. Non di rado chi non mi conosce mi da dell'ingegnere (uff), e spesso anche colleghi Geologi, quando spiego quel che faccio mi guardano con uno sguardo di  un misto malcelato di compassione e sdegno, tipo quello di un gatto quando guarda un cane. Non parliamo poi dei colleghi che lavorano entro l'Università. Eppure, nei processi di bonifica e smaltimento, nel valutare gli impatti sull'ambiente di cicli di trattamento, oppure nell'elaborare prove per testare materiali da recupero rifiuti, di possibilità d'applicazione di concetti e nozioni d'ambito geologico ce ne sono e ce ne sarebbero, Ovviamente il Geologo mal si presta a progettare "macchine", ma nell'elaborazione e gestione di cicli impiantistici e nel controllo sui materiali, in molti casi ha molto, moltissimo da dire.
Ecco perché quando ho visto che la Società Geologica Italiana (mica la Bocciofila di Conche...) ha pubblicato "La Geologia per l'Italia", in cui venivano rapidamente presentati i molti campi applicativi e di studio in cui si articola la Geologia e vi ho notato all'indice il capitolo "La Geologia e il ciclo dei rifiuti" ho avuto un senso quasi di riscatto - sì insomma, un mini orgasmo - pensando che finalmente arrivava l'ora dello sdoganamento, Sensazione cui è subentrata rapida e cocente disillusione andando a leggere il capitolo. Perché il ruolo del Geologo viene presentato strettamente legato alla progettazione e gestione della discarica. Insomma, se si fa la somma Geologia+Rifiuti, il risultato è necessariamente discarica. Si badi, è vero che sul tema il Geologo può davvero essere grande protagonista, ma da un punto di vista strategico, se si lega il Geologo solo alla discarica, rischiamo a una visione a corto, cortissimo raggio.
Tutte le normative e le politiche, in primis quelle europee, si pongono come obbiettivo l'abbandono della discarica, che nella gestione rifiuti, su cui si vuole impostare un approccio più "industriale", deve essere elemento residuale; se i Geologi ritengono che la Geologia dei rifiuti sia la discarica, allora anche la Geologia e i Geologi nei rifiuti sono destinati alla residualità (che non mi pare una grande strategia, in un campo che è e sarà, nel medio e lungo termine, in espansione per ovvi motivi tecnici, ambientali e economici).  Eppure il Geologo potrebbe farci molto, anche come Responsabile Tecnico, basti vedere i recenti sviluppi normativi relativi all' Albo Gestori Ambientali che danno a tale figura molto più margine di manovra e ruolo che in passato, ponendo molto accento sulla formazione: con alcuni approfondimenti su temi collaterali, arricchire il profilo dei laureati in Scienze Geologiche per potersi cimentare in tale settore, non sarebbe cosa affatto impraticabile. Su tale argomento, sarebbe il caso che i vari dipartimenti di Geoscienze dei vari atenei si confrontassero e iniziassero a introdurre la questione nelle loro offerte formative. Ovvio che se questo viene visto come un degrado del "blasone" del Geologo non se ne farà nulla e si rischia che i Geologi rimangano nobili sì, ma assai decaduti.
Frattanto, noi geologi, con la g minuscola, che "rumiamo scoasse" continuiamo la nostra quotidiana lotta, nell'attesa dell'ora della nostra riabilitazione.