domenica 25 gennaio 2015

Una plastica è per sempre...

Quando sul lavoro mi vengono a trovare le scolaresche, una delle questioni su cui sono particolarmente insistente è quella relativa alla dispersione dei rifiuti dell'ambiente. Troppo spesso, verso i rifiuti che normalmente produciamo, dalla carta della caramella, alla plastica del pacchetto di sigarette, al foglio di carta, etc, siamo un po' distratti. Nono ne vediamo una effettiva minaccia per l'ambiente e per noi, per cui, se qualcuno ci scappa e non lo conferiamo nel sistema di raccolta rifiuti, ma ci cade per terra o nel tombino o ci vola via... pazienza, cosa vuoi che sia? Non stiamo mica parlando di rifiuti pericolosi. Beh, come spiego agli scolari, la questione è più complessa. Questi rifiuti sono studiati per "durare" e quindi hanno una persistenza lunga nell'ambiente (ossia prima che l'ambiente, tramite processi chimici, fisici e biologici, li degradi in elementi "digeribili" ce ne vuole), lunghissima nel caso della plastica. Quest'ultima, particolare, si rivela particolarmente problematica. Nel video che segue viene introdotta la questione del suo accumulo negli ecosistemi marini.



Numerosi progetti hanno portato a "mappare" queste isole galleggianti, che il gioco delle correnti forma in vari oceani e mari Qui trovate un primo esempio, Gli studi si sono particolarmente concentrati nell'indagare sui processi di frammentazione della plastica, onde capirne le modalità di degradazione. Immediatamente, però, gli studiosi si sono accorti che qualcosa non tornava, ovverosia tra le stime di plastica disperse nell'ambiente e quella formante queste isole c'é un significativo gap, ossia manca della massa. Qui trovate estratto di ricerca del National Geographic, Questo problema della massa mancante ha portato a varie ipotesi per capire dove fosse la plastica non rilevata, inizialmente si è pensato che i processi di frammentazione della plastica portassero alla produzione di microparticelle che non venivano rilevate nei campionamenti, oppure finissero nel record sedimentario. E' pur vero che probabilmente, ciascuno di queste ipotesi ha del fondamento, la seconda sopratutto come vedremo, ma è ormai un dato quasi assodato, essendo sempre di più le evidenze, che questa plastica "mancante" sia finita e finisca nelle catene trofiche, ovverosia pesci vari se ne cibano (anche volatili a dire il vero) e poi questi sono a loro volta predati da altri, è stata ritrovata plastica negli stomaci di Pesci Spada e Tonni destinati al consumo umano. Ovverosia è proprio vero che la plastica che buttiamo ce la ritroviamo nel piatto. 
Ricordiamo che la plastica negli Oceani, oltre a compromettere gli ecosistemi marini - numerose le immagini di animali vari morti o deformi a causa di corpi plastici - comporta la dispersione di elementi chimici, quali metalli pesanti e polimeri particolari che sono presenti nelle plastiche di uso comune in % minime, ma che i fenomeni di accumulo possono portare a raggiungere livelli tali da divenire pericolosi per la salute degli ecosistemi e umana, quando ciò avviene nelle catene trofiche
Per dare un'idea di come la Plastica in un sessantennio (il suo uso negli imballaggi e e nei manufatti dopo gli anni '50 del secolo scorso) si sia diffusa nell'attività umana e sia stata pesantemente dispersa nell'ambiente, val la pena segnalare questo studio della Società Geologica d' America, che ha rilevato l'esistenza dei Plastigomerati, ossia di conglomerati - rocce solitamente formati da ciottoli e ghiaia cementati tra loro - dove unitamente ai corpi litoidi si trovano elementi plastici, o dove addirittura e la plastica stessa a far da "cemento".  E' la prima roccia "made in Human" e di fatto il primo vero "marker" stratigrafico dell'antropocene - quel periodo, che taluni studiosi fanno partire dal XVIII secolo, in cui l'uomo è divenuto di fatto una delle forze endogene agenti sulla Terra. Queste rocce indicheranno nel futuro in maniera netta l'azione umana su scala globale.
Prevenire è meglio che curare, ovvio, per cui lo sforzo massimo deve essere sul NON disperdere la plastica nell'ambiente.  Ma di quella che ormai è negli oceani che facciamo? Continuiamo a lasciarla là a far danni? In realtà sul tema sono in corso ricerche e sperimentazioni. Una è particolarmente interessante, si tratta del progetto Ocean Clean Up, è un progetto di ricerca, basato su crowfunding, inventato da un ragazzino, che rimasto colpito dai filmati sul "plastic trash vortex", il vortice della plastica appunto, ha iniziato a studiare la questione e con una grande forza di volontà ha fondato una compagnia, raccogliendo competenze e professionisti vari, nonché volontari, con lo scopo di elaborare una soluzione tecnica per rimuovere la plastica dagli oceani, adesso mi pare sia in una fase di sperimentazione avanzata di un sistema a torri galleggianti - dopo l'insuccesso di un sistema basato su catamarani raccogli plastica. Devo dire che è una bella storia, anche se devo approfondirla per capire quanto di concreto ci sia (non vorrei fosse solo propaganda), ma da quello che mi è dato di capire è indubbiamente il tentativo più avanzato per provare a risolvere la questione.



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