martedì 24 settembre 2019

Perché Greta ha ragione

Non staremo qui a fare l'agiografia della Thumberg, ne a fare dietrologie su questa giovane, strumentalizzata o meno, ci piace che dica "date retta agli scienziati", aggiungiamo noi, "quelli seri". Ha ragione a essere incazzata. Ha ragione ad avercela con quelli che decidono in questo tempo, ha ragione ad avercela con gli adulti di oggi. Sì perché il nostro tempo, questo lampo d'Olocene (sapete che aborriamo l'uso del termine Antropocene), è un momento della storia dell'Umanità che si caratterizza per un difetto enorme: il "presentismo", ossia tra l'uovo oggi e la gallina domani, qui tutti preferiscono l'uovo, meglio se grosso, meglio se più d'uno e si fotta la gallina. Di quello che succede dopo, del domani, del peso di quello che facciamo frega poco. Dobbiamo soddisfare i nostri bisogni e desideri adesso. Non siamo disponibili a compromessi, a rinunce, a fatiche. Come fossimo bambini viziati. Irresponsabili ed egoisti. Quelli che vengono dopo si arrangino. Peccato che quelli che vengono dopo siamo sempre noi e la generazione immediatamente successiva. 
Non vogliamo fare la fatica della comprensione, dell'approfondimento, della razionalità, preferiamo affidarci al pensiero magico, a credere a chi ci promette che non ci saranno rinunce, ma solo diritti. Non vogliamo cambiare gli stili di vita, deridiamo chi ne parla, non affrontiamo pragmaticamente gli argomenti come l'energia, i rifiuti, la demografia, il clima. Ci rifugiamo in ciarlatani, in soluzioni ideologiche, così rassicuranti perché così impraticabili o perché sostanzialmente a spese altrui (facile buttare i soldi nel biodinamico se tanto paga pantalone tanto per fare un esempio). 
Pensiamo a noi italiani, che spendiamo più in pensioni che in istruzione. Che facciamo debiti sulla pelle del futuro. E guai a chi ci fa discorsi di rigore. Perché la colpa non è nostra. E' degli altri. Ma gli altri chi? Gli altri chi? L'Homo sapiens è l'unico ominide rimasto sul pianeta. Non abbiamo altri. 
Siamo la specie dominante del pianeta. Ma ne siamo la più responsabile?
Greta ha ragione a incazzarsi.

giovedì 5 settembre 2019

Sedimentologia delle microplastiche

Il tema della dispersione della plastica nell'ambiente, e della trasformazione in microplastiche,  è ormai di estrema attualità, si ritiene che la pervasività ormai raggiunta dalle microplastiche, sia il principale connotato di quello che impropriamente viene definito come una nuova unità della scala del tempo geologico, ossia l'Antropocene. Oggi le principali politiche per il contrasto del fenomeno si basano sul tentativo di sostituire la plastica con altri materiali, che per lo meno siano più facilmente degradabili se dispersi nell'ambiente. Ma sostituire la plastica, data la sua duttilità, l'elevatissmo numero di settori in cui è applicata e la sua innegabile poliedricità, è tutt'altro che impresa facile. Si stima che negli ultimi 65 anni siano stati prodotti 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, di cui almeno 6,3 miliardi sono diventati rifiuti. La produzione mondiale annua si aggira oggi attorno ai 300milioni di tonnellate. Si stima che tra i 5 e i 13 milioni di tonnellate di rifiuti plastici siano finiti negli oceani. Notissimi sono i fenomeni delle "trash islands", isole formate dalla correnti oceaniche che generano piattaforme flottanti di spazzatura plastica. Le dimensioni di queste isole arrivano a quelle di stati come la Francia. Uno dei grandi temi nella stima della plastica diffusa negli ambienti marini, ha riguradato a lungo la "massa mancante", similmente alla materia oscura per la cosmologia, infatti, le stime della plastica flottante risultavano sempre in difetto rispetto alle ipotesi, anche prudenziali, relativamente alla plastica presente negli ambienti marini. La risposta alla domanda è arrivata dagli ambienti profondi e dal record sedimentologico, come evidenzia un recente studio inglese, che si è posto il tema della dispersione delle microplastiche e del loro accumulo negli ambienti marini profondi. Sì perché, ormai, di microplastiche se ne trova anche nella fossa delle Marianne.
Intanto è bene chiarire che le microplastiche si dividono prevalentemente in due tipologie:
- le microfibre di lunghezza compresa tra pochi mm e i 50 micron e spessore inferiore ai 10 micron;
- i frammenti plastici di pezzatura inferiore al mm.
Le prime derivano principalmente dallo scarico degli impianti di depurazione, che captano ovviamente le acque di lavaggio, da cui provengono le microfibre, che si generano per la disgregazione dei tessuti sintetici durante le operazioni di pulitura.
I secondi si devono ai fenomeni di disgregazione cinetica e foto termica dei corpi plastici scaricati in ambiente idrico e derivano per lo più dai processi di dilavamento e veicolazione operati dai corsi d'acqua rispetto ai rifiuti dispersi a terra.
Apriamo una parentesi: qui si conferma che il primo mezzo di contrasto alla contaminazione da plastica è un'impiantistica adeguata e un sistema di raccolta efficiente, nonché impianti di depurazione ammodernati per affrontare il tema specifico. Chiusa parentesi.
Lo studio del comportamento delle microplastiche, in tema di loro modalità di dispersione in ambiente marino, e accumulo per sedimentazione, si fa complesso, dato che la sedimentologia si avvale delle modellizzazioni attuali, ma va considerato per esempio, che la plastica più densa oggi presente ha, comunque una densità del 40% inferiore al più leggero sedimento minerale naturalmente presente.  I comportamenti sono diversi e richiedono una ricalibrazione delle modellistiche matematiche che descrivono i peocessi sedimentazione. Lo studio si occupa per tanto di analizzare i vari ambienti in cui è suddiviso l'ambiente marino (piattaforma, margine, scarpata etc etc) in funzione della batimetria, e diversi casi in funzione della morfologia presente, per esempio si rileva che la presenza di un canyon sottomarino, laddove sbocchi un corso d'acqua, facilita la formazione delle microplastiche, poiché il canyon facilita i processi di digrezione per cinetismo delle plastiche scaricate da terra. La diversa densità delle plastiche determina poi diversi tempi per l'affondamento e il deposito e questo è influenzata dalla distanza dalla scarpata continentale eppoi vi è il ruolo degli organismi bentonici, i quali nutrendosi di sedimento, facilitano poi la penetrazione a fondo, anche fino a 40cm, nel substrato tramite i loro rilasci fecali. Non sono ancora ben chiari gli effetti dei processi diagenetici sulle microplastiche che finiscono tra i sedimenti, data la recenza del fenomeno, sappiamo che talora, per diagensi precoce si formano rocce di tipo conglometarizio, i soprannominati "plastigomerati", in cui parte dei grani sono costituiti da plastiche, ma ovviamente non ci è dato sapere ancora, come agisca il tempo su di essi. Ad oggi per l'uomo il problema principale è la contaminazione degli ecosistemi e delle catene trofiche. Da geologi il campo si fa interessante e richiederebbe un sforzo di tipo sperimentale e teorico per rinnovare i manuali di sedimentologia, per consentire di elaborare modelli che non solo descrivano i processi di sedimentazione delle microplastiche, ma forniscano anche elementi su come si possa intervenire per invertire la situazione.