mercoledì 7 agosto 2019

Dieta&sostenibilità: Hakunamatata?

Una delle grandi sfide del nostro tempo è la così detta questione demografica. Siamo 7 miliardi e mezzo oggi, si prevede saremo più di 10 fra 30 anni. L'Occidente sarà mediamente più vecchio, mentre Africa e Asia alimenteranno la crescita con popolazione giovane. Mediamente miglioreranno le condizioni di vita, grazie alla tecnologia e ai piani di sviluppo, di converso si porrà  ancor di più il tema delle risorse di cui necessiteremo per sostentarci. Orbene, abbiamo già in passato riflettuto sul grosso problema alimentare che rischia di profilarsi all'orizzonte per il combinato disposto dell'incremento demografico umano, il cambiamento climatico e gli stili alimentari. Per sfamare questa popolazione e per soddisfare il crescente bisogno di carne, che sempre più diventa frequente nell'alimentazione di fette più ampie di popolazione anche in paesi come Cina e India, serviranno più spazio, più colture e più allevamenti. Con tutto ciò che ne consegue un termini di deforestazione, riduzione degli habitat naturali, consumo di suolo, contaminazione delle matrici ambientali. Basti pensare che secondo uno studio statunitense la produzione di un kg di carne bovina richiede fino a 84 volte più terra di quanto richiedano le altre carni. Almeno stando alle metodiche di produzione USA. Servono soluzioni alternative. Serve, quindi, , una nuova agricoltura, che produca di più con meno.
La produzione di un kg di carne bovina richiede circa 15 mila litri di acqua in media, secondo la FAO, pur con le dovute cautele su come si compone tale tale dato e:
  • Tra il 2000 e il 2014, la produzione mondiale di carne è aumentata del 39%; la produzione di latte del 38%.
  • Si prevede che la produzione globale di carne dovrebbe aumentare del 19% nel 2030 rispetto al 2015-2017; che la produzione di latte aumenterà nello stesso periodo del 33%.
  • La produzione di bestiame rappresenta il 40% della produzione agricola totale nei paesi sviluppati e il 20% della produzione agricola totale nei paesi in via di sviluppo.
Dovremo necessariamente ridurre globalmente il consumo di carne (lo dico con la morte nel cuore), in particolare bovina, sia per ragioni etiche (oggi per soddisfare la domanda di carne sono necessari allevamenti intensivi intollerabili dal punto di vista igienico sanitario, ma anche etico) e ripensare una dieta che tragga altrove le proprie proteine. Tenendo conto che nemmeno la dieta vegan è sostenibile, per la necessità di suolo e acqua che richiederebbe per soddisfare 11 miliardi di terrestri, specie se abbinata a deliri bio. Sarà quindi, necessario ricorrere alle opportunità delle biotecnologie, abbandonando molte ipocrisie e ricorrendo con attenzione alle nuove tecnologie disponibili per l'agrotecnica. Fortunamente anche l'UE sta rivedendo, pur se con un gradualismo snervante, talune sue posizioni dettate più da ideologismi e interessi corporativi. Già ora si tentano approcci tecnologici per realizzare un'alternativa sintetica alla carne soddisfacendo contemporaneamente esigenze nutrizionali e palato. 
Ma sarà anche necessario rivedere i nostri schemi culturali, approcciando il tema dell'entomofagia. Ovverosia l'inserimento di insetti nel nostro regime alimentare. Gli insetti possono essere una fonte importante di proteine, producibili a basso impatto, con scarse emissioni di CO2 e altri gas, di fatto nessuna produzione di scarti di macellazione. Le istituzioni europee hanno già iniziato a vagliare pragmaticamente la regolamentazione delle produzione finalizzata al consumo umano, ovviamente siamo ancora lontani da un consumo su larga scala, almeno in occidente, ma le prospettive sono promettenti, gli ostacoli sono più culturali che tecnici. Anzi da un punto di vista alimentare, la dieta entomofoga permette di accedere a calorie con pochi grassi e una buona dose di sali minerali e antiossidanti come rivela uno studio italiano e le cellule da insetto risultano promettenti da un punto di vista dell'ingegnerizzazione per produrre alternative sintetiche alla carne, comparabili da un punto di vista proteico. Esistono già per altro esperimenti culinari, più tradizionali, con l'utilizzo di farine derivanti da insetto e fuori dal continente europeo, o per necessità o per tradizione l'entomofagia è già pratica diffusain Italia, come troppo spesso accade su temi che riguardano un cambio dei nostri costumi e consumi in ottica di maggior sostenibilità ambientale, vuoi per ragioni di ridotta apertura mentale, vuoi per mancanza di strumenti culturali, vuoi per più bassi interessi economici, volti a non compromettere attuali rendite e mercati si sono già levate polemiche e strumentalizzazioni e posizioni di chiusura ovviamente nel nome della grande cultura alimentare italiana e per la salute dei consumatori.
Se il dibattito rimarrà su questi toni, come accaduto in altri ambiti, rischiamo di rimanere indietro anche su questo frangente. E non è solo una questione economica, ma riguarda la nostra sostenibilità ambientale, quindi, la quantità di risorse che avremo disponibili. Tra l'altro fa un po' sorridere un approccio simile, per due ragioni:
- la prima: gli insetti sono ARTROPODI e noi ne consumiamo già abbondatemente, e sono pure prelibatezze, si trattadei CROSTACEI. Rispetto a questi, gli INSETTI hanno meno problematiche allergeniche.
- la seconda: è una contraddizione rispetto alla tradizione culinaria italiana da sempre aperta a nuovi ingredienti e nuove soluzioni, proprio nel nome di una maggior creatività e salubrità della dieta. Pensiamo che pomodoro e mais, così importanti nella nostra cucina, li dobbiamo a Colombo, se in allora ci fossero stati dei pasdaran delle "radici alimentari", oggi alcuni dei nostri piatti nazionali sarebbero assai meno appetibili.
Oggi il tema non é solo quello del palato è quello più globale di rendere sostenibile la nostra presenza sul pianeta, possiamo fare spallucce e dire Hakunamatata (non ci pensare) come Pumba e Timon (che però sono gourmet entomofagi) e per poi dolerci nel  ritrovarci in un pianeta spoglio, sovraffollato e... affamato.