venerdì 1 novembre 2019

L'Anidride Carbonica: obbiettivo clima.

Non mancano ogni giorni i discorsi di attualità sul ruolo dell'anidride carbonica come agente climalterante. Il tema di oggi è come ridurre le emissioni che le attività antropiche provocano e come si possa "sottrarre" CO2 all'atmosfera per ridurne l'azione di gas serra e, quindi, le sue ripercussioni sul clima. Ovviamente, sebbene nessuno neghi che il clima cambi, anzi per tutti è sempre cambiato e sempre cambierà, vi è da capire quanto nella velocità con cui oggi avviene questo cambiamento sia dovuto alle interazioni dell'antroposfera con le dinamiche planetarie. Grande protagonista di questo ragionamento è, appunto, la CO2, sulle cui dinamiche l'azione umana ha pesantemente influito. L'alterazione del ciclo della CO2 non riguarda solo il suo aumento nell'atmosfera a seguito delle emissioni antropiche, con i noti effetti sul riscaldamento globale e l'alterazione climatiche, ma anche tutto ciò che a tali emissioni è legato: l'acidificazione degli oceani con variazione delle correnti e quindi ulteriori effetti sul clima, la deforestazione, l'erosione del suolo, etc etc.
I negazionisti più sottili, al fine di smontare la questione climatica spesso cercano di sminuire il ruolo dell'Anidride Carbonica quale fattore incisivo, al fine anche di contestare le politiche volte a un suo contenimento/riduzione. In realtà, il record geologico ci soccorre anche stavolta nell'evidenziare quanto ciò sia infondato. Geochemical Perspectives, rivista della Società Geochimica Europea, ha dedicato nel 2018 un numero monografico sulla questione, curato da Wallace Broecker, professore di Geologia alla Columbia University, pioniere nelle scienze del clima, per altro, purtroppo, rientrato nel ciclo del carbonio (terminologia da Geologi per dire "venuto a mancare") a febbraio di quest'anno.
In questa monografia Broecker evidenziava il ruolo svolto dalla CO2 in precisi momenti nella storia della Terra in cui vi sono stati importanti cambiamenti climatici.
La CO2 è uno dei gas responsabili dell'effetto serra (un altro e più potente e il vapore acqueo), ossia di quell'effetto per cui il calore emesso dalla Terra (o per riflessione dei raggi solari o per emissione dall'interno) viene trattenuto dall'atmosfera e riemesso verso la superficie terrestre. Di per sé questo processo non è negativo, se non ci fosse questo e la Terra non riflettesse parte del calore dei raggi solari, la temperatura terrestre media sarebbe di -5°C, è ben chiaro come, quindi, questo fenomeno sia fondamentale per l'abitabilità di questo pianeta. Ovviamente come tutte le cose, senza esagerare.
Un regolatore importante del ciclo della CO2 atmosferica, sono le acque oceaniche, l'ossido di calcio, derivante dai processi erosivi che viene scaricato con le acque superficiali negli oceani, determina la possibilità di precipitazione (che dipende a sua volta da fattori come pressione, temperatura, attività biogenica...) di carbonato di calcio. La cosa avviene sottraendo CO2 all'atmosfera, con conseguenze sul clima, viceversa fenomeni di acidificazione delle acque possono invertire il ciclo, così come la subduzione di sedimenti calcitici, con liberazione di anidride carbonica ed effetti globali sul clima. Anche nel suolo avvengono seppur con dimensioni e velocità diverse fenomeni analoghi. Sebbene sia possibile avere "campioni d'aria" solo fino a 800mila anni fa, tramite le carote nei ghiacci antartici, il record geologico comunque, pur nella sua complessità e incompletezza, ci consente di ricostruire alcuni momenti nella storia della Terra, di forti cambiamenti climatici in cui la CO2 ha avuto un ruolo, tutt'altro che marginale.
Nei primi 2 miliardi di anni la Terra era un luogo in tumulto, ma analogamente lo era il giovane sole. La sua luminosità era minore di quella attuale, perché i processi di fusione nucleare erano, diciamo, non ancora adeguatamente "carburati", si ritiene che la luminosità solare sia incrementata di almeno il 25% nei primi 4 miliardi e mezzo di vita solare. Come mai dunque la Terra nei primi 2 miliardi di anni, sembra non aver conosciuto periodi di basse temperature o addirittura fenomeni glaciali? Si ritiene che i gas serra, tra cui la CO2 (in quella fase vi era molto metano in atmosfera, il cui effetto serra è molto forte) abbiano avuto un ruolo determinante nel ridurre la dispersione di calore in un pianeta allora molto instabile.
Tra gli 800 e i 500 milioni di anni fa, nella fase finale del Precambriano, avvengono due eventi estremi detti della "Terra a Palla di Neve" un massiccio raffreddamento, con la formazione un'estesa coltre di ghiaccio sulla maggior parte della superficie terrestre. Vi sono evidenze di una bassa concentrazione di CO2 in quella fase, con conseguente riduzione dell'effetto serra, tale elemento, si ritiene accompagnato da alcune ciclicità astronomiche che avrebbero condotto a quelle dinamiche climatiche così estreme. Non è ancora chiaro cosa abbia provocato il crollo della CO2, Brocker ipotizza 2 elementi: un incremento dei tassi di sequestro di anidride carbonica nei sedimenti carbonatici e una forte azione fotosintetico delle comunità di organismi vegetali che in quel intervallo di tempo conoscono una forte espansione.
55 milioni di anni fa la Terra conosce invece un momento di elevate temperature il Paleocene - Eocene Termal Maximum (PETM per gli amici), che si ritiene causato da una collisione con un corpo spaziale (cometa o asteroide) che provocò l'abbondante rilascio di CO2 in atmosfera, probabilmente per la fusione di sedimenti carbonatici e per conseguenti attività vulcaniche connesse all'evento.
5 milioni di anni dopo la situazione cambia significativamente e geologicamente molto speditamente. Le evidenze le abbiamo sopratutto dalle analisi isotopiche dei gusci dei foraminiferi bentonici, ottimi indicatori per questo tipo di analisi. Dai dati risulta che il fondale oceanico, fin a quel momento in riscaldamento, repentinamente inizia a raffreddarsi, avviando un raffreddamento di almeno 10 gradi rispetto ai livelli di partenza; sempre dalla analisi isotopiche, la CO2 atmosferica conosce un progressivo e rapido calo. Cosa successe? Risale a quella fase la conclusione della "migrazione" dell'India iniziata ancora nel Mesozoico nella fase di disgregazione di Pangea; la placca indiana si scontra con la placca asiatica, è l'orogenesi della catena Himalayana. A livello globale è un momento di orogenesi diffuse, questo aumenta nei flussi sedimentari la presenza di materiale carbonatico, il che va ad alterare gli equilibri chimici nei bacini sedimentari e comporta una sottrazione di anidride carbonica dall'atmosfera verso i bacini sedimentari. Questo, unitamente ai fenomeni climatici a scala locale per la presenza di catene montuose, ha avviato una fase di raffreddamento globale.
Dell'atmosfera degli ultimi 800mila anni sappiamo molto dall'analisi delle carote di ghiaccio antartico. La CO2 ha un ruolo importante  nell'evoluzione climatica, ma non è il solo elemento, le ciclicità climatiche, le variazioni della composizione chimica delle acque oceaniche per effetto delle variazioni di salinità dovute alla formazione di un'estesa coltre di ghiaccio a livello planetario, è probabilmente una minor emissione vulcanica, fanno sì che l'oceano divenga il principale deposito di CO2, si aggiunga la forte riduzione di carbonio organico, della nuvolosità e del metano (anch'esso intrappolato negli estesi strati di permafrost) e che la temperatura scenda progressivamente fino a 18mila anni fa, in cui la calotta glaciale ha il suo massimo (non ha caso parliamo di Last Glacial Maximun - LGM). Il successivo aumento delle temperature, probabilmente per effetto astronomico, innescò fenomeni che favorirono il progressivo incremento dell'anidride carbonica e altri gas nell'atmosfera intensificando i fenomeni di miglioramento climatico.
Questa monografia si conclude riflettendo sull'oggi. Sul contributo antropico odierno all'incremento della CO2 e sugli effetti che ciò potrà produrre, oltre a dare delle linee sulle iniziative atte a ridurre l'azione climalterante antropogenica viene speditamente esposta anche la potenzialità di "sequestrare geologicamente la CO2", ossia di replicare artificialmente quei fenomeni di sottrazione dell'anidride carbonica dall'atmosfera e un suo stoccaggio nei gli oceani e nel sottosuolo, ovviamente una possibilità che potrebbe consentire, assieme alla riduzione delle emissioni, un repentino mutamento degli scenari futuri.
E' vero, la CO2 non è l'unico gas serra, e non è nemmeno l'unico fatto climalterante, ma è sicuramente tra i  più importanti ed è sicuramente uno su quelli su cui ci sono le maggiori potenzialità d'intervento.

martedì 24 settembre 2019

Perché Greta ha ragione

Non staremo qui a fare l'agiografia della Thumberg, ne a fare dietrologie su questa giovane, strumentalizzata o meno, ci piace che dica "date retta agli scienziati", aggiungiamo noi, "quelli seri". Ha ragione a essere incazzata. Ha ragione ad avercela con quelli che decidono in questo tempo, ha ragione ad avercela con gli adulti di oggi. Sì perché il nostro tempo, questo lampo d'Olocene (sapete che aborriamo l'uso del termine Antropocene), è un momento della storia dell'Umanità che si caratterizza per un difetto enorme: il "presentismo", ossia tra l'uovo oggi e la gallina domani, qui tutti preferiscono l'uovo, meglio se grosso, meglio se più d'uno e si fotta la gallina. Di quello che succede dopo, del domani, del peso di quello che facciamo frega poco. Dobbiamo soddisfare i nostri bisogni e desideri adesso. Non siamo disponibili a compromessi, a rinunce, a fatiche. Come fossimo bambini viziati. Irresponsabili ed egoisti. Quelli che vengono dopo si arrangino. Peccato che quelli che vengono dopo siamo sempre noi e la generazione immediatamente successiva. 
Non vogliamo fare la fatica della comprensione, dell'approfondimento, della razionalità, preferiamo affidarci al pensiero magico, a credere a chi ci promette che non ci saranno rinunce, ma solo diritti. Non vogliamo cambiare gli stili di vita, deridiamo chi ne parla, non affrontiamo pragmaticamente gli argomenti come l'energia, i rifiuti, la demografia, il clima. Ci rifugiamo in ciarlatani, in soluzioni ideologiche, così rassicuranti perché così impraticabili o perché sostanzialmente a spese altrui (facile buttare i soldi nel biodinamico se tanto paga pantalone tanto per fare un esempio). 
Pensiamo a noi italiani, che spendiamo più in pensioni che in istruzione. Che facciamo debiti sulla pelle del futuro. E guai a chi ci fa discorsi di rigore. Perché la colpa non è nostra. E' degli altri. Ma gli altri chi? Gli altri chi? L'Homo sapiens è l'unico ominide rimasto sul pianeta. Non abbiamo altri. 
Siamo la specie dominante del pianeta. Ma ne siamo la più responsabile?
Greta ha ragione a incazzarsi.

giovedì 5 settembre 2019

Sedimentologia delle microplastiche

Il tema della dispersione della plastica nell'ambiente, e della trasformazione in microplastiche,  è ormai di estrema attualità, si ritiene che la pervasività ormai raggiunta dalle microplastiche, sia il principale connotato di quello che impropriamente viene definito come una nuova unità della scala del tempo geologico, ossia l'Antropocene. Oggi le principali politiche per il contrasto del fenomeno si basano sul tentativo di sostituire la plastica con altri materiali, che per lo meno siano più facilmente degradabili se dispersi nell'ambiente. Ma sostituire la plastica, data la sua duttilità, l'elevatissmo numero di settori in cui è applicata e la sua innegabile poliedricità, è tutt'altro che impresa facile. Si stima che negli ultimi 65 anni siano stati prodotti 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, di cui almeno 6,3 miliardi sono diventati rifiuti. La produzione mondiale annua si aggira oggi attorno ai 300milioni di tonnellate. Si stima che tra i 5 e i 13 milioni di tonnellate di rifiuti plastici siano finiti negli oceani. Notissimi sono i fenomeni delle "trash islands", isole formate dalla correnti oceaniche che generano piattaforme flottanti di spazzatura plastica. Le dimensioni di queste isole arrivano a quelle di stati come la Francia. Uno dei grandi temi nella stima della plastica diffusa negli ambienti marini, ha riguradato a lungo la "massa mancante", similmente alla materia oscura per la cosmologia, infatti, le stime della plastica flottante risultavano sempre in difetto rispetto alle ipotesi, anche prudenziali, relativamente alla plastica presente negli ambienti marini. La risposta alla domanda è arrivata dagli ambienti profondi e dal record sedimentologico, come evidenzia un recente studio inglese, che si è posto il tema della dispersione delle microplastiche e del loro accumulo negli ambienti marini profondi. Sì perché, ormai, di microplastiche se ne trova anche nella fossa delle Marianne.
Intanto è bene chiarire che le microplastiche si dividono prevalentemente in due tipologie:
- le microfibre di lunghezza compresa tra pochi mm e i 50 micron e spessore inferiore ai 10 micron;
- i frammenti plastici di pezzatura inferiore al mm.
Le prime derivano principalmente dallo scarico degli impianti di depurazione, che captano ovviamente le acque di lavaggio, da cui provengono le microfibre, che si generano per la disgregazione dei tessuti sintetici durante le operazioni di pulitura.
I secondi si devono ai fenomeni di disgregazione cinetica e foto termica dei corpi plastici scaricati in ambiente idrico e derivano per lo più dai processi di dilavamento e veicolazione operati dai corsi d'acqua rispetto ai rifiuti dispersi a terra.
Apriamo una parentesi: qui si conferma che il primo mezzo di contrasto alla contaminazione da plastica è un'impiantistica adeguata e un sistema di raccolta efficiente, nonché impianti di depurazione ammodernati per affrontare il tema specifico. Chiusa parentesi.
Lo studio del comportamento delle microplastiche, in tema di loro modalità di dispersione in ambiente marino, e accumulo per sedimentazione, si fa complesso, dato che la sedimentologia si avvale delle modellizzazioni attuali, ma va considerato per esempio, che la plastica più densa oggi presente ha, comunque una densità del 40% inferiore al più leggero sedimento minerale naturalmente presente.  I comportamenti sono diversi e richiedono una ricalibrazione delle modellistiche matematiche che descrivono i peocessi sedimentazione. Lo studio si occupa per tanto di analizzare i vari ambienti in cui è suddiviso l'ambiente marino (piattaforma, margine, scarpata etc etc) in funzione della batimetria, e diversi casi in funzione della morfologia presente, per esempio si rileva che la presenza di un canyon sottomarino, laddove sbocchi un corso d'acqua, facilita la formazione delle microplastiche, poiché il canyon facilita i processi di digrezione per cinetismo delle plastiche scaricate da terra. La diversa densità delle plastiche determina poi diversi tempi per l'affondamento e il deposito e questo è influenzata dalla distanza dalla scarpata continentale eppoi vi è il ruolo degli organismi bentonici, i quali nutrendosi di sedimento, facilitano poi la penetrazione a fondo, anche fino a 40cm, nel substrato tramite i loro rilasci fecali. Non sono ancora ben chiari gli effetti dei processi diagenetici sulle microplastiche che finiscono tra i sedimenti, data la recenza del fenomeno, sappiamo che talora, per diagensi precoce si formano rocce di tipo conglometarizio, i soprannominati "plastigomerati", in cui parte dei grani sono costituiti da plastiche, ma ovviamente non ci è dato sapere ancora, come agisca il tempo su di essi. Ad oggi per l'uomo il problema principale è la contaminazione degli ecosistemi e delle catene trofiche. Da geologi il campo si fa interessante e richiederebbe un sforzo di tipo sperimentale e teorico per rinnovare i manuali di sedimentologia, per consentire di elaborare modelli che non solo descrivano i processi di sedimentazione delle microplastiche, ma forniscano anche elementi su come si possa intervenire per invertire la situazione.

mercoledì 7 agosto 2019

Dieta&sostenibilità: Hakunamatata?

Una delle grandi sfide del nostro tempo è la così detta questione demografica. Siamo 7 miliardi e mezzo oggi, si prevede saremo più di 10 fra 30 anni. L'Occidente sarà mediamente più vecchio, mentre Africa e Asia alimenteranno la crescita con popolazione giovane. Mediamente miglioreranno le condizioni di vita, grazie alla tecnologia e ai piani di sviluppo, di converso si porrà  ancor di più il tema delle risorse di cui necessiteremo per sostentarci. Orbene, abbiamo già in passato riflettuto sul grosso problema alimentare che rischia di profilarsi all'orizzonte per il combinato disposto dell'incremento demografico umano, il cambiamento climatico e gli stili alimentari. Per sfamare questa popolazione e per soddisfare il crescente bisogno di carne, che sempre più diventa frequente nell'alimentazione di fette più ampie di popolazione anche in paesi come Cina e India, serviranno più spazio, più colture e più allevamenti. Con tutto ciò che ne consegue un termini di deforestazione, riduzione degli habitat naturali, consumo di suolo, contaminazione delle matrici ambientali. Basti pensare che secondo uno studio statunitense la produzione di un kg di carne bovina richiede fino a 84 volte più terra di quanto richiedano le altre carni. Almeno stando alle metodiche di produzione USA. Servono soluzioni alternative. Serve, quindi, , una nuova agricoltura, che produca di più con meno.
La produzione di un kg di carne bovina richiede circa 15 mila litri di acqua in media, secondo la FAO, pur con le dovute cautele su come si compone tale tale dato e:
  • Tra il 2000 e il 2014, la produzione mondiale di carne è aumentata del 39%; la produzione di latte del 38%.
  • Si prevede che la produzione globale di carne dovrebbe aumentare del 19% nel 2030 rispetto al 2015-2017; che la produzione di latte aumenterà nello stesso periodo del 33%.
  • La produzione di bestiame rappresenta il 40% della produzione agricola totale nei paesi sviluppati e il 20% della produzione agricola totale nei paesi in via di sviluppo.
Dovremo necessariamente ridurre globalmente il consumo di carne (lo dico con la morte nel cuore), in particolare bovina, sia per ragioni etiche (oggi per soddisfare la domanda di carne sono necessari allevamenti intensivi intollerabili dal punto di vista igienico sanitario, ma anche etico) e ripensare una dieta che tragga altrove le proprie proteine. Tenendo conto che nemmeno la dieta vegan è sostenibile, per la necessità di suolo e acqua che richiederebbe per soddisfare 11 miliardi di terrestri, specie se abbinata a deliri bio. Sarà quindi, necessario ricorrere alle opportunità delle biotecnologie, abbandonando molte ipocrisie e ricorrendo con attenzione alle nuove tecnologie disponibili per l'agrotecnica. Fortunamente anche l'UE sta rivedendo, pur se con un gradualismo snervante, talune sue posizioni dettate più da ideologismi e interessi corporativi. Già ora si tentano approcci tecnologici per realizzare un'alternativa sintetica alla carne soddisfacendo contemporaneamente esigenze nutrizionali e palato. 
Ma sarà anche necessario rivedere i nostri schemi culturali, approcciando il tema dell'entomofagia. Ovverosia l'inserimento di insetti nel nostro regime alimentare. Gli insetti possono essere una fonte importante di proteine, producibili a basso impatto, con scarse emissioni di CO2 e altri gas, di fatto nessuna produzione di scarti di macellazione. Le istituzioni europee hanno già iniziato a vagliare pragmaticamente la regolamentazione delle produzione finalizzata al consumo umano, ovviamente siamo ancora lontani da un consumo su larga scala, almeno in occidente, ma le prospettive sono promettenti, gli ostacoli sono più culturali che tecnici. Anzi da un punto di vista alimentare, la dieta entomofoga permette di accedere a calorie con pochi grassi e una buona dose di sali minerali e antiossidanti come rivela uno studio italiano e le cellule da insetto risultano promettenti da un punto di vista dell'ingegnerizzazione per produrre alternative sintetiche alla carne, comparabili da un punto di vista proteico. Esistono già per altro esperimenti culinari, più tradizionali, con l'utilizzo di farine derivanti da insetto e fuori dal continente europeo, o per necessità o per tradizione l'entomofagia è già pratica diffusain Italia, come troppo spesso accade su temi che riguardano un cambio dei nostri costumi e consumi in ottica di maggior sostenibilità ambientale, vuoi per ragioni di ridotta apertura mentale, vuoi per mancanza di strumenti culturali, vuoi per più bassi interessi economici, volti a non compromettere attuali rendite e mercati si sono già levate polemiche e strumentalizzazioni e posizioni di chiusura ovviamente nel nome della grande cultura alimentare italiana e per la salute dei consumatori.
Se il dibattito rimarrà su questi toni, come accaduto in altri ambiti, rischiamo di rimanere indietro anche su questo frangente. E non è solo una questione economica, ma riguarda la nostra sostenibilità ambientale, quindi, la quantità di risorse che avremo disponibili. Tra l'altro fa un po' sorridere un approccio simile, per due ragioni:
- la prima: gli insetti sono ARTROPODI e noi ne consumiamo già abbondatemente, e sono pure prelibatezze, si trattadei CROSTACEI. Rispetto a questi, gli INSETTI hanno meno problematiche allergeniche.
- la seconda: è una contraddizione rispetto alla tradizione culinaria italiana da sempre aperta a nuovi ingredienti e nuove soluzioni, proprio nel nome di una maggior creatività e salubrità della dieta. Pensiamo che pomodoro e mais, così importanti nella nostra cucina, li dobbiamo a Colombo, se in allora ci fossero stati dei pasdaran delle "radici alimentari", oggi alcuni dei nostri piatti nazionali sarebbero assai meno appetibili.
Oggi il tema non é solo quello del palato è quello più globale di rendere sostenibile la nostra presenza sul pianeta, possiamo fare spallucce e dire Hakunamatata (non ci pensare) come Pumba e Timon (che però sono gourmet entomofagi) e per poi dolerci nel  ritrovarci in un pianeta spoglio, sovraffollato e... affamato.

lunedì 11 marzo 2019

Troppa fede in Bio. Meglio l'Agricoltura Tecnica che Teologica

Ci viene spesso chiesto, perché l'Agricoltura sarebbe tema da Geologi. Come abbiamo ricordato già in un altro intervento la pratica agricola ha un impatto enorme sulle matrici ambientali, e una valenza enorme nel favorire o prevenire processi di dissesto idrogeologico, erosione del suolo, tutela della qualità ambientale. L'agricoltura è la prima pratica con cui l'uomo ha trasformato l'ambiente e alterato gli ecosistemi (sì perché passare da un paesaggio naturale, a un bucolico panorama agreste significa ridurre la biodiversità vegetale e animale - non aumentarle) e a tutt'oggi, col crescere della popolazione globale, il fenomeno è in incremento. Per questo, come l'uomo deciderà di impostare l'attività agrotecnica nel futuro, non è indifferente, visti i tassi demografici, per l'uomo stesso e per l'ambiente. Ecco perché non può lasciarci indifferenti il dibattito parlamentare di questi giorni sul DDL 998, già approvato alla Camera e in arrivo al Senato dedicato all'agricoltura biologica, che diventerebbe centrale nella strategia agricola nazionale. Un dato su tutti, oggi è coltivato a biologico il 15% della superficie agricola disponibile e si produce il 3-3,5% del prodotto immesso sul mercato. già qui capiamo che c'è un problema, in un mondo affollato e affamato serve una produzione che richieda meno risorse (terra, acqua, concime) e non di più, e soprattutto che renda di più e non di meno. Giustamente la senatrice Cattaneo lancia l'allarme sul provvedimento, anche perché vi è in esso una pericolosa commistione tra biologico e biodinamico (pratica esoterica questa, purtroppo sdoganata da politici insipienti e accademici compiacenti). Il rischio è di avere un'agricoltura con bassa resa, che ci renda ancora meno "sovrani" in termini alimentari, aumentando l'import, ma soprattutto gli impatti ambientali. La Senatrice Cattaneo, cerca di rompere un tabù, parlare con franchezza dei limiti del biologico, significa andare contro il mainstream, quello per cui basta mettere il prefisso "bio-" e tutto diventerebbe buono e sostenibile, ma non è così. Già lo scorso anno fu protagonista di uno scontro in punta di penna con Michele Serra, difensore, un po' interessato del biologico, che ovviamente si basava su molto luogocomunismo e moralismo e assai poco su pragmatismo e argomenti concreti e che la Cattaneo ha puntualmente smontato. Sulla questione si è mossa tanta parte del mondo scientifico e tecnico agrario, con appelli e documenti inviati al parlamento, di cui il più recente è quello inviato al Senato. Sul sito della Società Italiana di Genetica Agraria e su Agrarian Sciences trovate ampia documentazione su tutta la discussione. Cosa preoccupa maggiormente i vari esperti:
- che passi la sostanziale equiparazione del biodinamico al biologico (cosa su cui si dovrebbe risentire anche chi pratica biologico), ossia una pratica senza efficacia e valore scientifico, poiché questo significherebbe distogliere risorse utili all'agricoltura e sprecare finanziamenti;
- che passi l'idea di percorsi universitari specifici per la sola pratica biologica. Questo porterebbe a tecnici agrari con una specializzazione di nicchia e soprattutto privi delle competenze necessarie alla complessità dell'agrotecnica moderna;
- che sostanzialmente si accentri sul biologico, che si ricorda copre solo 3% della produzione, la strategia agricola nazionale, marginalizzando di fatto il 97% delle produzioni italiane;
- che passi l'idea che il biologico non usi fitofarmaci, in realtà il biologico ammette ampie dosi di piretrine (insetticidi), lo spinosad e il solfato di rame. Quest'ultimo in dosi massicce. Tutte sostanze che hanno impatto anche sugli insetti "buoni" come le api e che hanno, nel caso del solfato di rame, elevata persistenza ambientale e ricadute ecotossicologiche, specie sugli ambienti idrici. Vi è poi il forte impiego di concimi organici, con tutto il tema del loro impatto e soprattutto del fatto che derivano da animali alimentati per lo più a OGM (che per chi scrive non è un problema e nemmeno per tanta parte del mondo Agricolo che la ragiona, ma lo è per chi pratica biologico il cui primo vanto sarebbe l' essere OGM FREE);
- che passi l'attività sementiera "creativa", che nelle intenzioni del legislatore vorrebbe sottrarre alle lobbies delle multinazionali la vendita dei sementi per lasciare al fai da te degli agricoltori, che si troverebbero meno tutelati in materia di qualità delle sementi e soprattutto più esposti a fitopatologie (si veda il caso della gestione "creativa e partecipata" della fase iniziale dell'epidemia di Xylella nel salento - un successone), in particolare con la promozione di varietà sementiere vecchie, come i celeberrimi "grani antichi", che non solo non hanno valori aggiunti in termini nutrizionali, ma hanno rese per ettaro anche di 10 volte inferiori a quelle normalmente coltivate.
Ovviamente alla presa di posizione delle varie associazioni di Scienze Agrarie ha replicato la Feder Bio, l'associazione di categoria degli agricoltori biologici, il cui presidente non ha usato sempre toni urbani, attaccando più su una presunta "questione morale" che genererebbe il pregiudizio della comunità tecnica, che nel merito dei rilievi fatti. La replica delle Federbio ha eluso alcune delle questioni essenziali:
- la richiesta di più terra del Biologico, a fronte di meno rese per ettaro
- l'uso massiccio di concime organico derivato da animali alimentati a farine OGM (lo è la stragrande maggioranza di quelle usate nel nostro paese), a fronte di una dichiarazione di OGM FREE
- il meccanismo quanto meno incestuoso dei controlli nel biologico (controllore pagato dal controllato)
- le maggiori emissioni di CO2 dell'agricoltura biologica rispetto all'integrata
- il maggior costo dei prodotti biologici, senza nessuna particolare miglioria nutrizionale, che li rende "socialmente" meno accessibili.
Orbene è certo vero che la necessità di rendere l'agricoltura integrata meno dipendente dai fito farmaci  e sopratutto meno impattante è altrettanto fondamentale, basti rilevare il problema della presenza di pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee come evidenziate anche dal recente rapporto ISPRA sul tema; ma questo non si persegue attraverso visioni ideologiche o bucoliche e pratiche agricole che richiedono ancor più risorse e sono meno efficienti.
Le previsioni demografiche ci danno verso i 10 miliardi di esseri umani nel 2050. Con i trend del cambiamento climatico le terre agricole disponibili saranno in calo, per cui avremo bisogno di una agricoltura che ottimizzi gli spazi e le risorse, in termini di acqua e nutrienti, questo per garantire la sicurezza alimentare, evitare carestie e migrazioni bibliche e sopratutto il dover aumentare la deforestazione per reperire nuove terre da coltivare. Piaccia o meno ciò non è possibile con pratiche agricole che rifuggono la tecnologia e le posizioni scientifiche, ha ben ragione quindi la mitica Deborah Piovan  quando ricorda che la pratica agricola è questione complessa e  a dichiarare "Io voglio poter accedere a tutti gli strumenti che l’innovazione ci mette a disposizione per migliorare la qualità del nostro processo produttivo." , e coraggiosamente discute su Glifosate e OGM, argomentando come una gestione emotiva di questi due temi rischia di essere estremamente controproducente per la nostra agricoltura sia in termini ambientali che economici, rendendola meno sostenibile e meno redditizia. 
Il DDL 998 va purtroppo in questa direzione, un approccio superato, ideologico e preconcetto sulla pratica agricola, una visione bucolica e fideistica sul biologico, il rifiuto di tecnologie e innovazione in nome di un "naturale" che non esiste più dal giorno in cui un anonimo nomade mesopotamo decise di smettere di migrare e iniziò a selezione delle spighe selvatiche in base al numero di semi che producevano.

giovedì 10 gennaio 2019

RIPARIAMO L'ITALIA o forse è TROPPO TARDI?


Piccolo post con consigli di lettura, utile per fare un paio di considerazioni di livello più generale. Il libro "Troppo Tardi" del noto metereologo Luca Mercalli, affronta il tema del cambiamento climatico, delle scelte che dobbiamo fare come società per evitare il peggio e dei comportamenti che ciascuno dovrebbe adottare, a parte qualche scivolata un po' fricchettona e qualche ripetizione di troppo, il libro tocca temi concreti e questioni che sono sotto gli occhi di tutti. In primis la questione culturale, manca una consapevolezza profonda nei cittadini, particolarmente in noi italiani, su quello che possiamo fare come singoli e come società, viviamo come se il domani non fosse un problema nostro, mentre lo è, vi è un forte gap culturale anche nelle prevenzione delle calamità, si insegue l'emergenza e non si lavora per evitarla, manca una cultura diffusa di protezione civile, nonostante gli straordinari talenti nel nostro paese in tal senso. Vi è forse un limite nel discorso di Mercalli quando affronta il tema demografico, ritenendoci troppo numerosi (intesi come esponenti delle specie umana) ritiene positivo il fatto che nel 2050, fatti salvi imprevisti, come italiani saremo 6 milioni in meno rispetto a oggi, a seguito della denatalità. Non saremmo particolarmente rallegrati dal fatto, poiché saremo mediamente anche molto più vecchi, quindi, meno inclini a quei cambi di paradigma, sociali, comportamentali, economici, che per Mercalli, a ragioni, sono necessari intraprendere per moderare il tasso di riscaldamento globale. Particolarmente interessanti i passaggi circa le potenzialità che le ristrutturazioni degli edifici possono avere in termini di risparmio energetico e riduzione di CO2. 
Sul tema ristrutturazione degli edifici si concentra molto anche Erasmo de Angelis, giornalista, già
direttore di Italia Sicura, autore di Ripariamo L'Italia, dove ripercorre la storia degli eventi sismici in questo paese, evidenziando come da sempre siamo di memoria corta, piangendo morti durante le tragedie, ma facendo poco successivamente per prevenire gli effetti, perché, come più volte ricorda De Angelis, nei terremoti sono gli edifici il problema più che la terra.  Sono circa 560 i miliardi di euro spesi nella gestione post emergenza, ossia per ricostruzioni, secondo l'autore negli ultimi 60anni. Circa 60 quelli degli ultimi 10 anni. Con 100 si metterebbe in sicurezza da un punto di vista sismico l'intero patrimonio edile, compreso quello storico. Nonostante gli incentivi questo, sopratutto per ragioni culturali - si preferisce la Madonna, alla prevenzione - non avviene. Quando si parla di fascicolo del fabbricato o assicurazione sismica immediatamente la politica rivela la sua debolezza, visto che se si catalogasse lo stato di sicurezza del patrimonio immobiliare italiano, probabilmente crollerebbero i prezzi. E pensare che potremmo combinare la riqualificazione energetica degli edifici alla messa in sicurezza sismica, con contributi statali e con ovvi benefici per i cittadini, l'ambiente e l'economia, anche perché sarebbe l'occasione per riconvertire buona parte del settore edile nazionale, che non può più sperare di campare con l'urbanizzazione del territorio, visto i drammatici dati del consumo di suolo in questo paese, con tutti i problemi connessi. E anche nel caso della prevenzione sismica diventa fondamentale l'educazione della popolazione, alla gestione delle emergenze fin dall'infanzia. Applaudiamo quando vediamo nelle scuole giapponesi i bambini essere rigorosi e preparatissimi nelle simulazioni di calamità, salvo poi essere estremamente refrattari a importare e implementare una cultura e pratica simile nel nostro paese. Peccato che quelli che abitano in un pezzo di crosta terrestre per lo più scosceso, stretto tra due placche in collisione, con una attività vulcanica di rilievo, soggetto a eventi climatici intensi e affetto da un urbanizzazione spesso disordinata e con un patrimonio immobiliare con una significativa componente vetusta e obsoleta siamo noi.