martedì 1 giugno 2021

Non facciamo Economia della Geologia

V'era un tempo in cui esisteva la Geologia Economica. E c'è ancora. Ma questa disciplina è solitamente legata ai concetti di quantificazione delle risorse, sopratutto di tipo minerario. Oggi con le necessità di metalli pregiati per le nuove tecnologie siamo a una sorta di seconda giovinezza, dopo i fasti del boom petrolifero. Il rapporto, quindi, tra Geologia ed Economia fino ad oggi è stato di tipo utilitaristico. La Geologia come strumento di quantificazione di beni e utilità. Oggi questo rapporto potrebbe, ma sopratutto dovrebbe, cambiare, verso una sorta di "collaborazione" tra le due discipline per l'elaborazione di un modello di sviluppo economico diverso, in particolare di nuovi parametri economici che tengano conto della sostenibilità ambientale. Ossia la Geologia che rielabora gli indici economici per legarli anche al costo ambientale da essi rappresentato, in termini di emissioni di CO2, consumo di matrici ambientali...

Se solitamente si ritiene di rappresentare il modello economico capitalista come il più ambientalmente rapace, poiché si ritiene, correttamente o meno votato alla massimizzazione del profitto a scapito del benessere sociale e ambientale e ovviamente a favore di un gruppo ristretto è pur vero che la situazione  è più complessa. Un'analisi delle economie pianificate, rileva come l'impatto delle stesse sull'ambiente sia stato e sia tutt'altro che modesto, basti pensare al contributo alle emissioni di CO2 dato dalla Cina con l'avvio massiccio dell'uso del carbone, o il degrado ambientale generato dalle attività industriali sovietiche. Ciò si è dovuto sia spesso alla scarsa tecnologia adottata, sia una sostanziale necessità di ottenere determinati standard produttivi a prescindere dalle ricadute ambientali e sociali aggiungiamo. Riteniamo che ciò si debba, però, per lo più al fatto che i regimi con economia pianificata sono stati e sono NON democratici, per cui non vi è possibilità che l'opinione pubblica possa in qualche modo operare in tal senso, così come organi a ciò preposti.  Nelle più democratiche società capitaliste alla fine scatterebbero dei meccanismi legati alla presenza di informazione libera e di organi indipendenti, che andrebbero a bloccare le attività economiche eccessivamente ambientalmente negative (spesso, però, ciò avviene con la mera delocalizzazione delle stesse, proprio in contesti governativi più "duttili"). Ciò è vero fino a un certo punto, poiché non mancano anche nei paesi a economia di mercato esempi di modelli economici ambientalmente perniciosi e di politiche di fatto portanti al peggioramento globale per l'ambiente. Vedi il recente esempio delle politiche di Trump che certo socialista non era.

Infatti, nelle economie di mercato è il PIL l'indicatore che misura il benessere generale e un buono stato dell'economia. Ma è questo indice corretto rispetto alle esigenze odierne? Non trascura  la misurazione di taluni indicatori di sviluppo che sono oggi fondamentali? Il Pil per come è concepito oggi, può serenamente certificare che un determinato stato sta pompando sulla produttività, ma questo potrebbe avvenire con estremi impatti ambientali. Vedi il caso di molti dei paesi "in via di sviluppo". Che fare quindi? Ripensare il modello economico? Abbracciare l'utopica decrescita felice e abbandonare il mito della produttività? Dubitiamo che ciò porterebbe al mantenimento della sostenibilità degli Stati sociali nel medio lungo termine anche negli stati più floridi. Va quindi ripensato il PIL. Agli attuali parametri di calcolo vanno aggiunti anche elementi come le tonnellate equivalenti di CO2 emesse e il differenziale delle stesse rispetto agli anni precedenti, i danni da eventi meteorici estremi, i costi per il contrasto all'erosione costiera gli oneri pluriennali per la bonifica dei siti contaminati e la gestione post mortem delle discariche, gli impatti della transizione energetica. Insomma, va impostasta una "nuova contabilità ambientale". E i Geologi devono iniziare a studiare Economia. E ripensarla.