giovedì 18 luglio 2013

Il Veneto e i rifiuti nel 2012

Pubblicato il Rapporto 2012 sulla produzione e gestione rifiuti urbani nel Veneto da parte di Arpav (ecco il link http://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/rifiuti/file-e-allegati/ru-2012/RelazioneRU_2012_rev0.pdf). Da un lato nulla di nuovo sotto il sole, il Veneto si conferma regione ad alta percentuale di raccolta differenziata , 62,50%,  cala la produzione pro capite di rifiuti 447kg/abitante. -3,9%, e la produzione totale, -4,0%, più x le vacche magre del momento, che per la messa i pratica di stili di vita più virtuosi (siamo realisti), cala il conferimento in discarica -25,2% e aumenta l'avvio a impianti di recupero, +30,0% delle frazioni secche riciclabili e dei rifiuti da spazzamento, segno dell'importanza della presenza impiantistica, aumenta anche l'incenerimento di tal quale +10,2%, dato un po' ambivalente (sarebbe opportuno esperire preferenzialmente vie di recupero di materia e lasciare la termovalorizzazione come forma complementare).
Un quadro, tutto sommato, positivo si direbbe. Un quadro un po' edulcorato però. Infatti, andando a osservare i dati presentati si osserva come nel caso della produzione di CDR, ovvero sia la trasformazione dell'indifferenziato/scarti del processo di recupero delle frazioni secche, vi sia un'eccedenza di produzione, rispetto alla domanda, questo perché solo la centrale ENEL di Fusina  - Ve, in quota parte usa CDR al posto del carbone nei processi termoelettrici, questo sia per motivi tecnologici che per richiesta energetica (si privilegiano fonti come l'idroelettrico), risulta necessario potenziare questo settore (dico un nome.... Porto Tolle) e rivedere la pianificazione energetica (regionale  e non solo), al fine di ottimizzare lo sforzo per la produzione di CDR di qualità, evitando di mandare in giro a costo, ciò che potrebbe restare in ambito veneto in pareggio se non a ricavo. E parlo non solo in termini economici, ma anche e soprattutto ambientale, giusto perché non mi si accusi di bieco materialismo capitalista (sono un ambientalista pragmatico, di solito quello che economicamente non è sostenibile, raramente lo è ambientalmente).
Rimane, poi, in piedi la questione della valutazione delle Raccolte Differenziate, gli indicatori oggi sono molto "a peso" e non tengono conto dei conferimenti improprio, ovverosia delle frazioni estranee presenti nelle varie filiere, che obbligano a selezioni e raffinazioni aggiuntive, per conseguire l'effettivo recupero, visto anche il sempre maggior peso dell'aspetto qualitativo per il recupero di materia da rifiuti (il che obbligherebbe ad avere un approccio un po' più "industriale" al tema e meno leguleo), se differenzio il 90%, ma ho un 20% di materiale in proprio.... beh non è proprio che sto facendo un grandissimo lavoro. L'Osservatorio Arpav ha avviato un tavolo tecnico sul tema, che spero si velocizzi un po' a partorire qualcosa, magari coinvolgendo gli operatori del settore, come sembrava dalle premesse.
Insomma si è fatto e molto, ce n'è, però, da fare e molto, e soprattutto ci sono alcune criticità, come la dotazione impiantistica e l'approccio normativo, che se non affrontate per tempo e col dovuto pragmatismo, posso rapidamente far cortocircuitare il sistema.

martedì 9 luglio 2013

Si fa presto a gridare al lupo


In questo paese, ormai si fatica e non poco a ragionare. Leggo dell'ennesima campagna ambientalista, per così dire, fondata, secondo me, su una visione fortemente ideologica e prevenuta della realtà. Guarda caso il sasso lo lancia il Fatto quotidiano, che si sa, brilla per onestà intellettuale, e lo riprende il blog di Grillo, che si sa, essere notoriamente obbiettivo. Mi riferisco alla contestazione della prima parte dell'art 41 del decreto del fare, promosso dal governo Letta. Non entro nel merito di un giudizio sul governo o sul decreto in toto, mi soffermo solo su quanto asserito dal Fatto & co.
L'articolo dice quanto segue, è un po' burocratese, ma leggetelo, altrimenti saltate sotto, direttamente alla mia magistrale filippica.
 
Art. 41 
(Disposizioni in materia ambientale)
1. L’articolo 243 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, e’ sostituito dal seguente: 
«Art. 243. (Gestione delle acque sotterranee emunte) 1. Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalita’ generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti dalla parte terza. 
2. Gli interventi di conterminazione fisica o idraulica con emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate sono ammessi solo nei casi in cui non e’ altrimenti possibile eliminare, prevenire o ridurre a livelli accettabili il rischio sanitario associato alla circolazione e alla diffusione delle stesse. Nel rispetto dei principi di risparmio idrico di cui al comma 1, in tali evenienze deve essere valutata la possibilita’ tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito stesso o ai fini di cui al comma 6. 
3. Ove non si proceda ai sensi dei commi 1 e 2, l’immissione di acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura deve avvenire previo trattamento depurativo da effettuare presso un apposito impianto di trattamento delle acque di falda o presso gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali esistenti e in esercizio in loco, che risultino tecnicamente idonei. 
4. Le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuita’ il punto di prelievo di tali acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla parte terza. 
5. In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 104, ai soli fini della bonifica delle acque sotterranee, e’ ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte. Il progetto previsto all’articolo 242 deve indicare la tipologia di trattamento, le caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalita’ di reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione di acquifero interessato dal sistema di estrazione e reimmissione. Le acque emunte possono essere reimmesse, anche mediante reiterati cicli di emungimento e reimmissione, nel medesimo acquifero ai soli fini della bonifica dello stesso, previo trattamento in un impianto idoneo che ne riduca in modo effettivo la contaminazione, e non devono contenere altre acque di scarico ne’ altre sostanze. 
6. In ogni caso le attivita’ di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 devono garantire un’effettiva riduzione dei carichi inquinanti immessi nell’ambiente; a tal fine i valori limite di emissione degli scarichi degli impianti di trattamento delle acque di falda contaminate emunte sono determinati in massa.». 

L'articolo del Fatto (ecco il link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/07/inquinamento-col-decreto-del-fare-bonifica-dei-siti-se-economicamente-sostenibile/648062/), che riporta il pensiero del WWF abruzzese, asserisce che nel decreto (ecco il link al testo completo:
http://www.lagazzettadeglientilocali.it/pf/articolo/21043/Decreto-del-fare-pubblicato-in-GU-IL-TESTO), sarebbe scritto che viene meno l'obbligo del "chi inquina paga", sancito dalla norma europea e ripreso da quella italiana tramite il D.Lgs 152/06  in realtà non è esattamente così, caso mai si sancisce il principio che chi inquina non deve fallire. Non stiamo a sindacare se  l'inquinamento sia stato doloso, colposo o altro, in quanto ciò rimane materia dell'eventuale indagine della magistratura, limitiamoci all'analisi del fatto, che al momento del riscontro di un fenomeno d'inquinamento di acque di falda causato da terreni contaminati si deve decidere come operare ai fini della bonifica, le tecniche sono  di varia natura e certo, si cerca sempre di rimuovere la fonte dell'inquinamento se fattibile, e le tecniche di rimozione sono varie, a seconda di estensione della contaminazione, tipologia d'inquinante e condizioni geologiche e idrogeologiche. Ci possono essere tecniche in situ, ovvero tratto il materiale sul posto o ex situ ossia lo porto via e lo tratto in impianto dedicato, chiaro che le tecniche in situ  (una di queste è appunto quella di emungere le acque di falda, rimuoverne i contaminanti e reimmeterle in falda in continuo, sottraendo via via contaminanti dai terreni) sono il più delle volte preferibili, in primis perché evitano la movimentazione di materiale inquinato e poi perché costano mediamente meno. Certo, sono sicuramente di decorso più lungo rispetto alle seconde. In caso di quantitativi superiori a determinati volumi, difficilmente la completa rimozione di terreni inquinati  è economicamente sostenibile da parte del privato che ha causato l'inquinamento, questo perché l'operazione può avere costi esorbitanti, in funzione dei volumi di scavo e del tipo di contaminazione e sopratutto per l'assenza di un'adeguata impiantistica a distanze ragionevoli dal sito contaminato, per la gestione dei terreni. Questo è tipico (l'assenza di impiantistica per tali tipologie di rifiuti) in Italia, spesso per l'opposizione proprio di signori come quelli che si levano indignati contro al decreto. Vorrei vederli, se gli si dicesse di costruire un impianto con tutti i crismi per il trattamento di terreni inquinati da sostanze pericolose... Griderebbero contro, allo scempio della salute e della natura, preferendo che quei terreni facessero (come, purtroppo capita, in molti casi in questo paese),  kilometri su kilometri, magari verso l'estero, a costi esorbitanti per la collettività. Si perché se non si permette l'accesso a tecniche di bonifica, meno invasive e magari più lunghe, ma meno care, il risultato è che il privato inquinatore, dichiara fallimento e poi ti voglio a far la bonifica, alla fine tocca pagare allo Stato, cioè a tutti, dopo tempi lunghissimi, nel mentre il sito inquinato è rimasto lì beatamente sozzo. Il decreto, sostanzialmente, in questo articolo introduce un principio di buon senso e cautelativo per la collettività, poiché in realtà permette agli enti di controllo maggior pragmatismo nella valutazione di piani di bonifica e toglie alibi ai soggetti responsabili dell'inquinamento, che così si possono sottrarre con meno facilità ai propri obblighi.