mercoledì 21 dicembre 2016

PICCOLI organismi, GROSSI problemi: E. Huxleyi e il clima

Tempo fa ci siamo occupati anche su questo blog del problema della crisi ecologica delle comunità delle Api: è, infatti, in corso la cosidetta sindrome da svuotamento degli alveari, in varie parti del mondo, Italia compresa, si assiste al tracollo di intere colonie, inizialmente si è dato colpa agli pesticidi a base di neonicotinoidi, ma la situazione è più complessa e attualmente sotto il monitoraggio dell'EFSA (European Food Safey Agency) per capire se vi siano altre cause per la moria della Api. Api di cui, oltre alla proverbiale laboriosità e organizzazione, degna della miglior economia collettivista, riconosciamo l'importanza ecologica, essendo i principali impollinatori, senza di loro la produzione agricola crollerebbe, con pesantissime ripercussioni anche su noi esseri umani, che verso le api ci comportiamo come i peggiori capitalisti... orbene, c'è un altro organismo, ancor più piccolo delle api, ma altrettanto importante negli equilibri degli ecosistemi su scala globale. E' un coccolitoforide. I coccoliforidi, sono del fitoplancton, ossia alghe fotosintetiche, che costruiscono una sorta di guscio, fissando la calcite derivante dai processi di fotosintesi, costituito da più elementi lamellari, detti appunto coccoliti, di una eleganza e complessità che non si può non rimanerne affascinati. Hanno anche un'iportanza capitale nella biostratigrafia, ossia la scienza che si occupa di datare le rocce attraverso l'uso dei fossili, sono infatti, mircrofossili guida molto importanti. La specie in questione  è Emiliania Huxleyi, di fatto è il coccolite tipo, se cercate su google immagini di coccolitoforidi le più numerose sono quelle, appunto, di E. Huxleyi. Dedicata a Thomas Huxley, sì proprio il "mastino di Darwin", è la specie più abbondante attualmente, è utilizzata in studi per la temperatura delle acque, ecologia e paleocologia e anche nel campo della biotecnologia medica, per alcune sue proprietà "farmacologiche". E' anche rilevante negli studi di biostratigrafia, definendo una biozona,  Numerosi studi dimostrano una stretta correlazione tra il grado di salute di tale specie e il tema dell'acidificazione delle acque ocenaniche. Fino ad oggi si riteneva che tale specie riuscisse ad adattarsi all'incremento del tenore di CO2 ocenica, conseguente all'incremento atmosferico, continuando a regolare la CO2 nei processi di fissaggio della calcite; un recente articolo  presenta dati preoccupanti, che confermano alcune osservazioni già fatte, ossia che l'incremento di CO2 negli oceani, possa dare problemi alla lunga alla  EHUX (nomignolo della specie), infatti si è simulato un progressivo trend di acidificazione delle acque durante le "infiorescenze", "bloom", stagionali dell'alga, rilevando che progressivamente gli individui perdono di massa e le placchette risultano più gracili (si veda foto),  ciò significa che alla lunga questa potrebbe entrare in crisi effettiva, con in primis una crisi degli ecosistemi marini di cui è alla base. Ma non solo, come che non bastasse il problema della plastica  oceanica (altra cosa di cui abbiamo parlato), il declino della EHUX potrebbe avere ulteriori effetti sul clima, infatti, l'attività metabolica rilascia in atmosfera Solfato Dimetile,  in forma gassosa, tale gas ha effetti sulla temperatura atmosferica (oltre che ripercussioni sul ciclo del Fosforo, elemento non secondario per molti cicli geochimici a rilevanza ecologica) effetti di tipo mitigante. Se l'attvità metabolica dell'alga si riduce per una sua crisi ecologica ciò risulterebbe accompagnato da una minor capacità dell'oceano di "sequestrare" CO2 dall'atmosfera e a una riduzione di produzione di Solfato dimetile, con effetti atti a favorire l'incremento delle temperature.
Insomma la scomparsa di un organismo di pochi micron, potrebbe davvero farci sudare sette camicie.

sabato 10 dicembre 2016

Quanti soldi fanno i Paleontologi?

Qualche settimana fa vi ho riportato un articolo in cui si dibatteva se l'investire in ricerca Paleontologica fosse o meno uno spreco di denaro, trovo giusto chiudere il cerchio riportandovi questo articolo, che mi sono permesso di tradurvi a modo mio, che ho reperito sul portale Paleontology World, blog statunitense di appassionati e studiosi della Paleontologia, non proprio accademico, ma vi potete trovare ottimi spunti e sopratutto buon materiale grafico. Ovviamente i Dinosauri sono il pezzo forte. L'articolo che riporto, propone un po' di statistiche sulla realtà professionale dei paleontologi... negli USA, se ci fossero dati disponibili sulla UE, o sul nostro paese, penso che la situazione sarebbe ben diversa (e in Italia alquanto deprimente). emerge chiaramente come negli USA il comparto Scienze della Terra, sia uno di quelli strategici per lo sviluppo dell'economia del paese. Strano a dirsi.

I paleontologi studiano fossili trovati in formazioni geologiche per determinare le età di piante, microrganismi, animali e antiche civiltà. La datazione di fossili è ricavabile  dall'età degli strati di roccia sopra e sotto i livelli con i fossili, tramite il processo chiamato datazione radiometrica, così come riporta l'Università della California, Berkeley. Mentre molti paleontologi lavorano nei musei e laboratori di ricerca universitari, altri danno supporto a recuperare fossili nelle industrie del carbone e del petrolio. I paleontologi guadagnano stipendi in media più di $ 100.000 all'anno.

Stipendio e qualifiche

La US Bureau of Labor Statistics classifica paleontologi come Scienziati in Scienze della Terra, definizione che comprende anche geologi, geochimici e sismologi. Hanno guadagnato stipendi medi annui di 106.780 $ a partire da maggio 2012, secondo il BLS. Più del 25% del gruppo ha guadagnato più di $ 130.330 all'anno. La maggior parte dei paleontologi hanno master o dottorati di ricerca in paleontologia. I dottorati di solito sono necessari per la ricerca di alto livello e l'occupazione come professori nei college e nelle università. Per avere successo nel loro campo, i paleontologi devono essere informati circa molte scienze diverse, tra cui la biologia, la chimica, la geologia e la fisica. Altri requisiti essenziali sono la matematica, il pensiero critico, problem-solving, interpersonale, parlare, scrivere e competenze informatiche.

Stipendio per Stato

Lo stipendio di un paleontologo può variare notevolmente da Stato a Stato. Nel 2012, secondo il BLS, hanno avuto gli stipendi annuali più alti (circa $ 153.120) in Oklahoma . Inoltre sono risultati stipendi relativamente alti in Texas e Washington, DC, a $ 146.800 e $ 128.040 per anno, rispettivamente. I paleontologi che hanno lavorato in Alaska hanno guadagnato $ 111.670 all'anno, mentre quelle in Colorado avuto retribuzioni più vicine alla media nazionale a $ 106.030. Quelli in California e Pennsylvania hanno percepito gli stipendi più bassi di $ 95.670 e $ 67.300, rispettivamente (però vuoi mettere vivere in California GP).

Stipendio per settore

Oltre l'esperienza e l'area geografica, i guadagni dei Paleontologi dipendono anche, ovviamente, dal settore d'impiego. Sempre secondo il BLS, hanno percepito gli stipendi più alti, media $ 155.830 all'anno, nel produzione di petrolio e carbone, al secondo e terzo posto tra gli stipendi più alti troviamo i settori dell'estrazione di petrolio e gas e le attività di supporto alla gestione mineraria - $ 149,750 e $ 140,520. Coloro che hanno lavorato per le agenzie governative federali e statali hanno percepito $ 96.820 e $ 64.970 per anno, rispettivamente (poveri statali anche qui, tutto il mondo è  paese GP) . Inoltre, i paleontologi che insegnano nelle università guadagnano da $ 40.000 a $ 60.000 per nove mesi di lavoro, secondo The Paleontologic Society.

Prospettive professionali

La BLS indica che i posti di lavoro in ambito Scienze della Terra, includendo quindi i paleontologi, aumenteranno del 21% nel prossimo decennio, che è più alto rispetto al tasso di crescita del 14% previsto per tutti gli altri i lavori (ci rendiamo conto? GP). Molte opportunità di lavoro per i paleontologi saranno favori dalla domanda di esperti per la gestione responsabile dei territori e delle risorse. Si prevede anche, che  un gran numero di geologi e paleontologi vada in pensione entro i prossimi 10 anni (Geologi con la pensione, siamo proprio in un altro continente GP), cosa che dovrebbe liberare posti di lavoro per nuovi operatori del settore.

giovedì 24 novembre 2016

Induzione Sismica. Tra fantasie e realtà

Il pericolo corre sul filo, o meglio sulla faglia. I recenti sismi del centro Italia e quelli in Giappone e Nuova Zelanda, ci hanno ricordato come il nostro sia un pianeta dinamico, sotto la cui superficie - qualche km sotto i nostri piedi - forze potentissime mettono in moto masse enormi, accumulando stress nelle rocce soprastanti che si scarica nei terremoti. In occasione dei sismi del centro Italia di quest'anno, si sono di nuovo manifestate alcune teorie "originali". Qualcuno ha rispolverato alcune recenti polemiche, appena assopite dopo il referendum "sulle trivelle" dello scorso aprile. Di nuovo si sono tirate fuori le oscure trame delle compagnie petrolifere, si sono collegate le perforazioni in mare alla sequenza sismica del centro Italia, si è riparlato di fracking, ossia la tecnica di frantumazione delle rocce sotterranee per aumentare l'estrazione di idrocarburi e, addirittura, qualcuno ci ha visto un attacco tramite armi supersegrete capace di scatenare terremoti, da parte degli USA, per dare una regolata al nostro paese e in particolare al nostro sanguigno premier. Insomma colpa della linguaccia di Renzi se la terra trema. Non è mancata Radio Maria a dir la sua, collegando i sismi ad alcuni giramenti dell'Altissimo per tutti sti Gay che ci sono in giro. Ho visto amici sismologi stramazzare al suolo. Ovvio che siamo nell'assurdo.
Orbene i terremoti che hanno colpito il centro Italia, sono ben  connessi al movimento della placca africana verso quella europea, cosa che ha riattivato una buona parte di grandi faglie appenniche (kilometriche). E' una situazione nota e ben studiata, come chiaramente delineato nel rapporto steso sulla sequenza sismica in questione dal parte dell'IGNV, a cui vi rimando per approfondimenti. Eliminata la Cia, quindi,  dalla rosa dei mandanti, e tolto d'ufficio il francking perché, ripetiamolo per l'ennesima volta, tale pratica non si "pratica" in Italia, in priomis, perché vietata, in secundis, seppur più importante, forse, non abbiamo depositi di idrocarburi idonei. Nemmeno volendo, quindi, la potremmo usare. Scartando anche l'Altissmo, avendo la Santa Sede escluso suo inplicazioni, restano quelle maledette compagnie petrolifere. Orbene, quelle maledette, che secondo qualcuno lavorano sempre in gran segreto, mentre come dissi altrove, è più facile trovare informazioni sulle concessioni di prospezione idrocarburi che sui finanziamenti di talune rinomate associazioni ambientaliste, si stanno impegnando in studi per comprendere gli effetti della rimmissione di fluidi nei giacimenti in coltivazione. E', infatti, pratica diffusa, sia per ottimizzare la produttività che per ridurre il rischio di fenomeni di collasso, andare a inniettare fluidi - acqua di strato, estratta con gli idrocarburi e fanghi di perforazione nei serbatoi geologici. Ciò si è sempre ritenuto elemento potenzialmente critico in termini di sismicità indotta, che per taluni poteva e può essere su media/ampia scala, ossia in grado di scatenare terremoti forti e su vaste aree. Varie compagnie petrolifere si stanno impegnando sul tema in collaborazione con enti pubblici per chiarire l'entità del fenomeno. Un recente studio prodotto dall'IGNV, l'Università di Roma, in collaborazione con l'ENI, autori M. Buttinelli, L. Improta, S. Bagh & C. Chiarabba, pubblicato su Scientific Report, rivista del gruppo Nature, ha riportato interessanti elementi sulla questione. Lo studio si è svolto in Val d'Agri, in Basilicata, in corrispondenza del più grande giacimento di terraferma d'idrocarburi d'Europa, quindi, le evidenze emerse hanno una rappresentatività e una valenza piuttosto significativa. Si è evidenziato che la reinniezione di fluidi ha comportato la riattivazione di piccole faglie, lunghe tra i 100 e i 200m, con produzione di sismi a 2-5km di profondità e di magnitudo max di 2.2. gradi della scala Richter. La causa si ritiene stia nell'aumento della pressione dei fluidi presenti nel serbataio per via dell'iniezione di acqua. I sismi sono risultati, comunque, limitati all'intorno del pozzo. E quindi, che le prospezioni a largo delle coste Adriatiche, possano generare sismi potenti come quelli che si sono avuti, nel centro Italiua non è proponibile. Anche l'ultimo indiziato cade e per spiegare la sequenza sismica, ancora in corso, non resta che la tettonica a placche. Lo studio IGNV è importante, in quanto non concluso, ma prevede un monitoraggio costante pluriennale, la comprensione di tali fenomeni è, infatti, fondamentale, per garantire le conoscenze adeguate a rendere sicura per i territori e i lavoratori l'attività estrattiva, a cui, piaccia o meno,  non possiamo ancora rinunciare.

lunedì 14 novembre 2016

La Paleontologia è uno spreco di denaro pubblico?

Così titola un interessante articolo del TheGuardian, che mi sono permesso di tradurvi. Autore è Mark Carnall, direttore delle collezioni Zoologiche presso il Museo di Storia Naturale dell'Università di Oxford. Carnall tra le altre cose si occupa di comunicazione scientifica e delle implicazioni sociali della Scienza. Tra i suoi interessi c'è anche la comunicazione del dietro le quinte delle ricerche paleontologiche. Nell'articolo di cui vi riporto traduzione - ma che v'invito a leggere anche in orginale, anche per poterne apprezzare i link, l'autore tra il serio e il faceto esprime le sue convinzioni in merito alla rilevanza della ricerca paleontologica, sia come strumento per la comprensione della vita e delle sue dinamiche, sia come strumento per trarre conoscenze utili da impiegare nei campi della conservazione naturale  e miglioramento della salute umana, ma sopratutto come mezzo per soddisfare l'ancestrale domanda sul da dove veniamo e che ci stiamo a fare qui. Sottolineando come la Paleontologia costi, alla fine , assai meno di altre attività, per lo meno altrettanto "folkloristiche".


 
Spiccioli e ammonoide Fonte Mark Carnall
In questi tempi di austerità, perché dovrebbe essere finanziata la Paleontologia rispetto alla ricerca sanitaria, sport di squadra e dello spettacolo?
La settimana scorsa in occasione del lancio del  Network di Ricerca Biologica e relativo sito, all'University of Anthropology di Oxford, sono stato ad una tavola rotonda denominata Antropologia Biologica: futuri possibili. Il gruppo di esperti del mondo accademico, non solo ha raionato sul futuro della disciplina, ma anche riflettuto sul passato difficile della materia. L'Antropologia Biologica o Antropologia Fisica è la disciplina scientifica che studia gli aspetti biologici e comportamentali degli esseri umani. Può anche essere stata l'ispirazione per la hit del 2005 delle Girls Aloud 2005 (girl band di indubbio vaore estetico G.P.), "Biology".
Ci sono stati periodi altalenanti della materia nelle università, i dipartimenti di Antropologia Biologica e i corsi sono andati e venuti, per poi tornare di nuovo. Si tratta di un argomento interessante, ma che si estende in varie discipline, a tal punto che spesso si fatica a costruire un gruppo adeguatamente numeroso di Studiosi puri di Antropologia Biologica per formare un dipartimento. Di conseguenza, è anche una materia in cui le iscrizioni sono in eccesso, producendo più studenti di quanto siano impiegabili nel campo dell'Antropologia Biologica stessa.
Questo mi ha fatto pensare alla Paleontologia, che come disciplina scientifica, ha molte analogie con l'Antropologia Biologica ed è una delle materie che la riguardano. A seconda degli interlocutori, la Paleontologia è considerata una disciplina ai margini della Scienze della Terra o come parte della Geologia. Insieme a Rischi Geologici, la Paleontologia può essere il lato più sexy della Geologia. Sebbene i più attraenti tra gli strati letincolari (strati a forma di lente G.P.) non catturino i titoli (dei media G.P.) come fanno  dinosauri, vulcani o terremoti, tuttavia si tratta di un argomento in cui una, relativamente piccola, comunità di persone può farsi una carriera professionale.
Ciò solleva un'altra preoccupazione: visto che siamo ben addentro nell'Età degli Stupidi (memorabile film del 2009, in cui in un futuro ambientalmente devastato, gli uomini di domani si interrogano su come gli uomini di oggi abbiano prodotto quel futuro senza fare nulla per impedirlo - tra gli attori l'indimenticabile Pete Postlethwaite G.P.), il cosidetto Anidridocarbonifero (abbiamo superato stabilmente i 400ppm di CO2 in atsmofera G.P.), ovvero nella Sesta estinzione di massa, con la fondata speranza di diventare noi stessi specie a rischio estinzione, perché dovremmo continuare a studiare, finanziare e comunicare la Paleontologia?  
In prima istanza, non sarebbe meglio per gli scienziati con inclinazione biologica, che stanno perseguendo una carriera in Paleontologia, passare invece al campo più pressante e maggiormente redditizio della conservazione biologica? Secondariamente, perché dovrebbe essere finanziata la Paleontologia quando evidentemente tutti i finanziamenti dovrebbe andare al cancro, ai vaccini e alla ricerca di antibiotici?
I tassi di estinzione dei coralli rugosi hanno davvero un così alto impatto per la società, come i progressi della medicina? Chi se ne frega da dove la vita è venuta, visto che sappiamo che ormai  è qui? Forse la Paleontologia dovrebbe smettere del tutto di cercare di competere per i fondi con le altre Scienze e diventare una materia umanistica?
Queste non sono proprio preoccupazioni solo ipotetiche. Altri hanno sentito il bisogno di spiegare  perché la Paleontologia è rilevante, in risposta alla proposta di tagli ai finanziamenti federali americani per il sostegno alla ricerca paleontologica o alla domanda se la disciplina si stia estinguendo (Prothero, 2009 G.P.) - estinzione non tanto in senso zoologico, ma in termini di obsolescenza come nel caso dei dischi in vinile.
Per fortuna, ho le risposte pronte. Da utilizzare in modo adeguato per risolvere dibattiti di nicchia in cene e  feste o per trovare la formula adatta per giustificare il motivo per cui è necessario il prossimo assegno di ricerca, ecco un elenco completo del perché la Paleontologia dovrebbe essere finanziata:

Si può migliorare la moderna conservazione biologica, perché lo studio di resti fossili frammentari, danneggiati e di difficile identificazione di lontani parenti che vivevano milioni di anni fa in un clima diverso, è comunque modello più attendibile per la conservazione delle specie moderne.

Si può migliorare la moderna medicina umana, in quanto lo studio dei resti fossili frammentari, schiacciati e difficili da identificare di lontani parenti che vivevano milioni di anni fa in un clima diverso, è comunque il modello più attendibile per comprendere la salute umana.

Un miglior rapporto qualità-prezzo rispetto alla costosa guerra dell'astronomo. Il mese scorso ha visto l'ennesimo tentativo fallito degli sforzi in corso degli astronomi per scatenare una guerra interplanetaria. L'ultimo razzo lanciato da pianeta a pianeta, chiamato Schiaparelli, per una semplice ammaccatura si è schiantato sulla superficie di Marte. Nonostante decine di centinaia di milioni di sterline al colpo, questi missili non sembrano essere molto inefficaci; se c'è vita intelligente là fuori, il nostro bombardamento occasionale è più fastidioso che minaccioso. Lo stesso costo potrebbe finanziare la ricerca sui blastoidi per sempre. Io so quale ipotesi preferisco.
 
La curiosità è fondamentale per essere umani. Gli psicologi, filosofi e autori di libri benessere, allo stesso modo, hanno notato che la curiosità, la sete di conoscenza, è una caratteristica umana fondamentale. Questo è il motivo per cui tutti gli esseri umani sono infinitamente curiosi sulla Paleontologia. Va bene, non tanto per la sedimentologia o l'anatomia delle rostroconche (molluschi del Cambriano G.P.), quanto piuttosto per come nel 19esimo secolo dovesse sembrare un Brontosauro. E' una curiosità che non sapreste trattenere!

Un miglior rapporto qualità-prezzo rispetto alla maggior parte della roba culturale. Ricordate a settembre, quando è stato appiccato il fuoco a quel modello di Londra lungo 120m e ridotto insoddisfacentemente in cenere, per commemorare il 350° anniversario del grande incendio di Londra? Probabilmente, con i costi sostenuti, si sarebbe potuto finanziare un intero dottorato di ricerca sugli Acritarchi (microfossili precambriani G.P.), con escursioni sul campo, e si sarebbe avuto un impatto ambientale inferiore.

Oh le ricerche umanistiche! Dr Eurovision (commentatore del festival dell'Eurovisione G.P.), Vivere come una capra o essere pagato per soggiornare a Glasgow per un anno? Ebbene queste sono tutte cose che hanno ricevuto finanziamenti per la ricerca che non sono Paleontologia. Lo stesso finanziamento avrebbe potuto essere usato per scoprire tre nuove specie di mammiferi Mesozoici, un nuovo Lagerstätte (giacimento fossilifero G.P.) e almeno Quattro nuove prospettive sui  graptoliti dendroidi dell'Ordoviciano (O gettando nuova luce sui... Questi sono gli unici due titoli accettabili per un articolo di giornale nel campo della scienza).

Investigare
per accumulare. I Paleontologi possono fare alcune scoperte sorprendenti che potrebbero sembrare non significare molto ora, ma possono avere, presto, un'importanza imprevedibile come il  polyoxybenzylmethylenglycolanhydride o la Play-Doh.

Qualcuno deve guastareil divertimento. Potete immaginare in che delirio felice saremmo tutti se non ci fosse il sottofondo di pedanteria dei paleontologi che lamentano le imprecisioni in Jurassci World, o che i pterosauri non sono dinosauri, o che gli uccelli sono dinosauri, o che non si dovrebbe usare il termine fossile vivente? Non importa nemmeno che i paleontologi ci abbiano detto la maggior parte di queste cose, sin da subito. Se non fossimo tenuti sotto controllo, saremmo tutto il tempo così felicemente ignoranti e fiduciosi, senza paura di sbagliare. Sarebbe orribile.

Ispirare le future generazioni. E 'importante per ispirare la prossima generazione di paleontologi in modo che anche loro possano perseguire una carriera da rockstar (l'avete capita?) in Paleontologia. Noi non vogliamo essere troppo ispiranti, però, perché poi non ci sarebbero abbastanza persone instancabilmente corrette nel dare informazioni astruse (vedi sopra).

E 'importante capire la provenienza della nostra specie. Così importante che è necessario essere pronti a studiare tre lauree per ottenere una buona conoscenza della matrice corrente di teorie sovrapposte e contrastanti su da dove le nostre "specie" derivino.

La vita è troppo breve. Sapete, abbiamo un numero limitato di battiti cardiaci in questo mondo, quindi se siete veramente felici solo cercando fossili e potete farlo diventare il vostro lavoro, fatelo. Se non vi rende felici allora trovate qualcosa che faccia e non vi preoccupate di quello che gli altri stanno facendo tra oggi e la morte termica dell'Universo.

sabato 8 ottobre 2016

Fossili di Microbi & Avventure Spaziali

Immaginate un pianeta con un'intensa attività vulcanica. L'aria è un mix di gas, quali Anidride Solforosa, Anidride Carbonica, Azoto, Metano, poco Ossigeno, Polvere, Cenere, l'atmosfera è squassata da violenti temporali, le terre emerse, laddove non è in corso  un'eruzione, sono tutte rocce scabre, scure e taglienti, non c'è vegetazione alcuna. I mari sono salati il doppio di quelli odierni, ma con pochi solfati e saturi di silice, fa caldo, molto, troppo. E' davvero un postaccio, sembrebbe impossbile che ci possa essere vita su un pianeta simile. Ostile, inospitale. Benvenuti sulla Terra. Già, questo è il panorama che avremmo incontrato sul nostro pianeta nell'Archeano (da 2 miliardi e 500 mlioni di anni fa a 3 miliardi e 800 milioni di anni fa), secondo Eone del Precambriano. E' questo il tema di un interessante articolo presente nell'ultimo numero del Bollettino della Società Paleontologica Italiana, dal titolo "L’origine della vita e la Paleontologia Microbica: il punto di vista dell’autore", di Frances Westall, Geologa, che attualmente si occupa di Astrobiologia - la Scienza che studia la vita sugli altri pianeti - con vasta esperienza internazione - ha lavorato anche nella nostra Bologna - e che oggi è Direttrice di Ricerca al CNR Francese ed è coinvolta nei progetti per la missione Marziana Euro-Russa prevista per il 2020.
Nell'articolo si riepilogano lo stato delle conoscenze sulle più antiche tracce della Vita sul nostro pianeta. E stiamo parlando di vita molto piccola. Microbi, già, siamo nel campo della Paleontologia Microbica. Per chi come me nasce micropaleontologo - la micropaleontologia studia i fossili di organismi dimensionalmente dell'ordine dei millimetri o dei micron - ed ha visto per anni lo sguardo di compassione  dei paleontologi dei vertebrati (non parliamo di quelli che studiano i dinosauri...) - guardare alla Paleontologia Microbica, significa finalmente provare l'ebbrezza di sentirsi grossi. Ma la Paleontologia Microbica è uno strumento utilissimo e potentisismo per capire  quando e come sia apparsa la vita sulla Terra e sopratutto come si sia progressivamente evoluta. Ovviamente per gli studi paleontologici servono i fossili, e se già è faticoso per un brontosauro preservarsi allo stadio fossile, figuratevi per dei microbi. Ancor di più se i microbi sono archeani. Infatti, di rocce archeane ne sono rimaste pochine, qualcosa in nord America, poco in America del sud e antartide, poco di più in Africa, e Australia - anche se qui si trova il Pilbara Craton che è un po' la mecca della Paleontologia Microbica  - e poi troviamo terreni Archeani in Asia e Russia. Da queste rocce vanno poi eliminate quelle che hanno subito metamorfismo (i processi di "trasformazione" che le rocce subiscono se sottoposte a forti calori o pressioni), che ovviamente obliterano i fossili; è chiaro che il materiale su cui lavorare sia davvero poco e perciò prezioso.
Da questi studi sappiamo che sicuramente la Vita era presente già almeno 3 miliardi e 600 milioni di anni fa, negli oceani archeani con forme procariotiche anossiche (non necessitavo di ossigeno, anche perché non ce n'era) autotrofe (ossia in grado di sintetizzare autonomamente i nutrienti a partire da materiale inorganico). Già diversificate in forme fototrofiche - es: stromatoliti -  cioé batteri che utilizzano la luce per i loro processi metabolici, e forme chemiotrofiche -es. i batteri che vivono vicino alle emissioni sulfuree marine (questi nell'Archeano avevano nicchie assai limitate, visto la scarsità di solfati nelle acque). Il fatto di trovare così indietro forme di vita microbiche, già di una certa "complessità" e in habitat diversi, può far ritenere che la vita sia comparsa già nell'Adeano, ossia il tumultuoso Eone che vide la formazione della Terra, almeno nellafase in cui la Terra era già potenzialmente abitabile (circa 600milioni di anni prima dell'inizio dell'Archeano), ma non esistono più rocce adeane e, quindi, al nostro libro mancano delle pagine.
Ma come è possibile riconoscere dei microbi fossili e sopratutto come dei microbi possono diventare fossili?
Ovviamente si parte da studiare i microbi odierni per capire che tipo di "impronta" cercare,  e si dovrà utilizzare il microscopio a scansione. Vi è poi l'utilizzo della Geochimica Isotopica, in quanto l'attività biologica emette elementi con precise "impronte" isotopiche. Poi la fossilizzazione si può ottenere grazie a due processi. Nel caso delle stromatoliti, queste sono strutture carbonatiche che si formano per la precipitazione di carbonato di calcio a seguito dell'attività fotosintetica (di trasformazione della CO2  tramite la luce) da parte di Cianobatteri. Nel caso di altri microbi, come i chemiotrofi, come abbiamo detto gli oeceani archeani erano saturi di silice, per cui la precipitazione della stessa era un processo comune e piuttosto rapido, tipici dell'archeano sono infatti dei depositi di selce piuttosto estesi. Al loro interno si sono rinvenuti importati resti di fossili microbici.
Studiare questa fase dell'evoluzione della vita consente di comprendere come il passaggio dall'abiotico al biotico, almeno nel senso di vita che abbiamo noi, basato su carbonio e acqua (ma nulla vieta di ipotizzare altrove sistemi diversi, basati per esempio su silice e azoto, o metano e altro), sia un processo complesso  in cui il tempo è fondamentale.
Tale tipo di studi è assai interessante se alziamo lo sguardo al cielo: condizioni simili alla Terra primordiale si sono avuti  in diversi pianeti e satelliti sia nella fase di "giovinezza" del sistema solare che anche ai giorni d'oggi. E' possibile, quindi, che la Vita si sia sviluppata anche in altre parti del sistema solare, tipo Marte, o Venere, o Encelado e Europa -  Satelliti di Saturno e Giove - e nel record roccioso di questi pianeti si potrebbero celare tracce di questa storia. Le prossime missioni su Marte potrebbero riportare campioni utili, frattanto l'affinamento degli studi archeani, può consentire di sviluppare forme sempre più sofisticate di investigazione, applicabili anche per pianeti diversi dal nostro. Se ciò avvenisse, se si confermasse che in presenza di condizioni similari si ha l'insorgere della Vita, questo potrebbe indicare la presenza di una sorta di "concatenazione chimica", nei processi di evoluzione planetaria, che inevitabilmente portano alla comparsa di forme biologiche. Come a dire che, la Vita, sarebbe nel DNA dell'Universo.


Bibliografia
"Microbial palentology and the origin of life: a personal approach", Westall, Bolletino SPI n.55(2), 2016.

mercoledì 31 agosto 2016

Rapporto rifiuti speciali 2014 - Veneto, non dormire sugli allori.

Recentemente, ricordavo qui, in un precendente Post, che Ispra ha  pubblicato il Rapporto 2015 (dati 2014) sulla gestione Rifiuti Speciali in Italia. Parimenti l'Arpa di ogni regione ha pubblicato specifico rapporto sul proprio territorio. Così anche Arpa Veneto, che ha divulgato il Rapporto sulla Produzione e Gestione Rifiuti Speciali in Veneto anno 2014
Dal rapporto emerge naturalmente un buon livello di capacità gestionale in ambito regionale, con alcuni aspetti da rimarcare e che richiedono una capacità pianificatoria per il futuro a medio lungo termine, per continuare a garantire adeguati standard operativi. Insomma mai dare per acquisito nulla, un modello che oggi funziona, per continuare a farlo deve essere costantemente migliorato.
Dal Rapporto emerge che nel 2014 sono stati gestite 13.685.662 tonn di rifiuti speciali, di cui 902.272 pericolosi, rilevando un -1% sul 2013. sostanzialmente stabili, quindi. I settori con maggior produzione sono la Costruzione e Demolizione (attvità di cava fa la parte del leone), ovviamente impianti di trattamento rifiuti e la metallurgia.
Il livello di export è di 3.600.000 , mentre l'import è di 4.300.000tonn, rispetto al 2013 osserviamo un ulteriore calo dell'export, e ormai stabilmente importiamo più di quanto esportiamo. Va detto, però, che per i pericolosi, l'export supera l'import, anche se in riduzione rispetto al 2013. I settori che più producono rifiuti speciali sono il settore da C&D, in cui ricade il settore cave, il settore del trattamento rifiuti e depurazione e poi le lavorazioni metalliche e l'autodemolizione.  L'import riguarda per lo più rifiuti metallici, per attività connesse al recupero metalli, mentre si rileva un export prevalente di plastica, carta e sovvalli, nel caso dei pericolosi predominano i rifiuti da processi chimici, trattamento acque e olii esausti. Se è vero che vi sono contrazioni dell'export, va detto che i dati di tale settore, ci devono comunque far riflettere. Il fatto che rifiuti semilavorati di plastica e carta viaggino verso l'estero, ha svariati effetti:
- perdiamo materiale utilizzabile come materia prima, che va rimpiazzato, purtroppo ciò riduce la disponibilità di materia da riciclo del nostro paese, ciò ci rende più dipendenti dall'estero, per talune materie, che avremmo in disponibilità qui.
I rifiuti da C&D sono stabili, indice anche del periodo di stasi del comparto, ma comunque in termini assoluti sempre preponderanti, segnale del peso che l'attività di cava ha nella nostra regione, nonostante da tempo si ritenga si debba andare verso un ridimensionamento/ottimizzazione del settore, visto i suoi impatti sul territorio. In particolare risulta insufficiente la capacità di recupero su base regionale degli inerti, che potrebbero sostituire, se recuperati, materia vergine in ambito edile/infrastrutturale, mentre vengono per lo più gestiti con discarica/export (la capacità di recupero in Veneto è meno di un terzo di quanto gestito).
Si osserva una difficoltà di gestire i rifiuti da processi chimici, pericolosi e non, sopratutto per assenza di idonea impiantistica, il che è anche dovuto alla demonizzazione degli impianti a ciò destinati, e quindi alla scarsa volontà politica in merito, la gestione e la movimentazione di tali rifiuti è costosa e, quindi, gestirle altrove comporta costi per tutto il sistema regionale.
Non parliamo poi dei processi di recupero energetico/termodistruzione, il recupero energetico è dato, non solo da processi di combustione, per esempio in cementifici, ma anche dell'uso di combustibile da rifiuto come nel caso della centrale Enel di Fusina (VE) o dall'uso di biogas e biomasse. Il settore segna un +1%, cioé è fermo, mentre il ricorso a discarica è cresciuto dell'11%, anche stavolta. Anche questo a mio avviso, si deve molto a carenze impiantistiche e scelte politico-istituzionali. Tra l'altro questo, spesso obbliga operatori a portare all'estero rifiuti per una loro gestione tramite recuper energetico, al fine di ridurre i propri costi (paradossalmente lo smaltimento in discarica in Veneto, per talune tipologie di rifiuto, è economicamente svantaggioso rispetto a una loro termovalorizzazione, che so, in Ungheria).
Si rileva poi come talune filiere di rifiuti dipendano, in termini di gestione, da impiantistiche ridotte, il che espone a una loro intrinseca debolezza, sopratutto in termini di prospettiva.
Il quadro è positivo per la riduzione della produzione di rifiuti, dovuta anche al cambio di normativa sulle terre e rocce da scavo, tendente a ridurre al minimo la loro gestione come rifiuti e alla riduzione di produzione dei terreni da bonifiche (elemento non positivo, poiché non indica che le bonifiche sono concluse, ma semplicemente che non si stanno facendo - vedi per esempio, il caso eclatante del Vallone Moranzani, per citarne uno),  e per l'incremento complessivo di quanto avviato a recupero tra materia e energia e la riduzione dell'export (che bisogna, però, ascrivere in parte anche a una riduzione della produzione industriale, per crisi della stessa, più che per ottimizzazione).
Desta preoccupazione l'incremento del ricorso a discarica, per i costi e perché indice di una certa incacità tecnica di gestioni diverse, così come il dato dei flussi di export dei pericolosi.
Sostanzialmente il quadro veneto è migliore che altrove, ma denuncia una certa asfissia, è necessario un rilancio dei cicli impiantistici, innovazione tecnologica e visione industriale del tema rifiuti, capacità di socializzare il tema e lungimiranza istituzionale.
Questioni che vanno affrontate prima che le fragilità del sistema si possano manifestare in tutta la loro evidenza.

giovedì 25 agosto 2016

24 agosto, sisma nel centro Italia.


Dettagli tecnici sul terremoto li trovate sul sito dell' INGV. Per il resto poche polemiche e facciamo quel che possiamo, anche così:


lunedì 25 luglio 2016

Rapporto Ispra Rifiuti Speciali 2016. Senza tecnica il senso civico non basta.


Il 6 luglio è stato presentato l'edizione 2016 del Rapporto ISPRA Rifiuti Speciali, che presenta i dati aggiornati al 2014, in questo post trovate le infografiche Ispra di riepilogo. Trovate una documentata sintesi del rapporto sull'ASTROLABIO.
Ricordiamo che i Rifiuti Speciali sono:
  • I rifiuti da lavorazione industriale
  • i rifiuti da attività commerciali
  • i rifiuti derivanti dall"attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti da trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi
  • i rifiuti derivanti da attività sanitarie
  • i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti
  • i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti
Tali rifiuti possono essere ovviamente pericolosi oppure no.
Nel 2014, la produzione italiana di rifiuti speciali è stata di  130,6 milioni di tonnellate. Rispetto al  2013 nel 2014, si rileva un aumento  pari al 5%, corrispondente a oltre 6,1 milioni di tonnellate, per lo più speciali non pericolosi. Va segnalato che un aumento di produzione di questi rifiuti può essere un indicatore positivo, sia della ripresa di attività produttive, sia dell'aumento del trattamento a riciclo di rifiuti urbani (sono speciali anche i rifiuti derivanti dai cicli di riciclaggio).

Dal rapporto si evince che  rifiuti speciali non pericolosi,  (93% del totale), derivano per il 42,3% dal settore delle costruzioni e demolizioni, cui seguono attività trattamento di rifiuti e di risanamento (27,2%) e quelle manifatturiere (19,2%).
I rifiuti speciali pericolosi,  sono ripartiti in un 39% dal settore manifatturiero, 29,9% dalle attività di trattamento rifiuti e  risanamento, 20,7% dal settore dei servizi, del commercio e dei trasporti.
 Risulta che per tali rifiuti il recupero di materia sia al 62,4%, lo smaltimento in discarica l’8,5%, il recupero di energia l’1,6%, l’incenerimento l’1%.
Tra il 2013 e il 2014, l'export all'estero è calato del 4,7%, passestandosi a 3,2 milioni di tonnellate, mentre si sono importate, circa 6,2 milioni di tonnellate, con un aumento del 7,6% rispetto al 2013. Qui si può già fare una prima considerazione. Il grosso dell'import è dato da rifiuti metallici, che servono per alimentare le nostre siderurgie. Nel comparto dei metalli, il livello di recupero materia supera in vari comparti ormai il 90%. Per un paese in cronica necessità di materie prime è un buon indicatore.


Per ciò che riguarda le direttrici di esportazione, 889.000 ton di speciali (27,7%) vanno in Germania e sono prevalentemente pericolosi: derivano da trattamento dei rifiuti, delle acque reflue, della potabilizzazione dell’acqua, dalle operazioni di costruzione e demolizione. Destinazione sono le miniere di sale dove sono utilizzati per la messa in sicurezza delle cavità a seguito dell'attività estrattiva. L'export verso la Cina, invece,  pari a 278.000 tonnellate, è costituita dai soli rifiuti non pericolosi. In particolare la Cina tende ad approvvigionarsi di rifiuti di carta, di rifiuti plastici e in generlae di quelli  prodotti dal trattamento meccanico di rifiuti. Questi sono usati sia per scopi industriali che di produzione energetica o anche per formare stock, specia la carta, per operazioni speculative a livello internazionale. Di rilievo e non scontata anche l’esportazione dei rifiuti verso la Grecia, oltre 242.000 tonnellate, costituite per il 98% da “ceneri leggere di carbone” destinate ai cementifici, dove vengono utilizzate, al posto della sabbia, per creare materiali edili cementizi. Da segnalare che in Italia, invece, questo tipo di attività risulta piuttosto ostica dall'essere praticata sia per le normative che per l'atteggiamento degli Enti di Controllo. Va detto che sopratutto per gli inerti vari, in particolare da costruzione&demolizione, una larga parte finisce in discarica, non essendo praticabili realisticamente altri usi. In tal senso la normativa italiana risulta meno favorevole a tali pratiche, pur proclamando l'opposto negli intendimenti. Nella pratica risulta di difficile gestione, sfavorendo nei fatti il ricorso a tali rifiuti per la produzione di materiali riciclati da reimpiegarsi nel campo edile in senso lato, mantenendo una predominanza dell'uso di materia naturale vergine, con tutti gli svantaggi ambientali (attività di cava, perdita paesaggio, dissesto idrogeologico, emissioni di CO2) conseguenti. Sarebbe tempo che ci fosse in tal senso, anche per motivi di competitività economica un'armonizzazione delle norme europee in tal senso - da tempo si attendono i regolamenti UE per l"end of waste" degli inerti da C&D - sopratutto per ciò che concerne le norme tecniche per il recupero del rifiuto.
 Andando a considerare invece i dati su base regionale, ovviamente si osserva che il grosso della produzione dei rifiuti speciali avviene al nord - essendo connesso a processi di recupero e tessuto industriale. Va altresì riscontrato, però, un aumento nel sud, segno che qualcosa si sta muovendo. La crescita del Sud è stata maggiore del Centro. Però, si riscontra ancora una forte dipendenza impiantistica del Sud verso nord e estero (se parlassimo di urbani lo sarebbe ancor di più). Indice che le Istituzioni meridionali prediligono ancora - anche al fine di evitare scontri sociali - la movimentazione rifiuti altrove - con tutti i costi e le diseconomie che ne conseguono. Da dire che l'impiantistica settentrionale comincia a dare segni di affanno. Risulta quindi, ben evidente come il sistema industriale della gestione rifiuti in Italia, non sia ancora affatto compiuto, e come non vi sia ancora una visione economica del tema rifiuti, depauperando così, di materia, risorse, energie e opportunità un Paese che ne ha disperatamente bisogno.





domenica 17 luglio 2016

Quando un paese perde il lume della ragione: il caso Xylella

Sulla questione Xylella, ossia il batterio responsabile del disseccamento degli Ulivi Salentini, sono stato più volte  chiamato a esprimermi da alcuni dei miei contatti. Il più delle volte in modo provocatorio, anche inviandomi prima i post e i filmati degli eroici agricoltori salentini e ambientalisti locali che si battevano contro il taglio degli ulivi e poi con le notizie delle prodi gesta della magistratura e del presidente della Regione Puglia (Emiliano), che finalmente perseguivano i ricercatori asserviti ai poteri economici e alla UE. Le mie posizioni "pragmatiche", infatti, sono più spesso interpretate da taluni miei "aficionados" come una mia connivenza, per lo meno etico-morale, con le varie lobby e i gruppi che manovrerebbero la società a scapito dei popoli. Non essendo un agronomo o un biologo, ho sempre rimandato l'espressione di una mia posizione fino a quando non avessi avuto il tempo di capirne di più. Ciò è stato letto come una mia mancanza di argomenti, almeno per una volta, a sostegno dei biechi poteri forti e una sostanziale ammissione delle ragioni degli oppositori alle posizioni ufficiali. Ovviamente non era, ed è, così.  Ho acquisito sufficienti informazioni per poter dire la mia sul tema. Credo che la questione Xylella sia esempio emblematico di cosa succeda quando un paese perde il senso della ragione, sia a livello d'Istituzioni che di Società civile. Sul sito delle Scienze, una delle poche testate che ha strenuamente difeso il rigore scientifico durante tutta la vicenda, trovate precisa cronistoria. Sostanzialmente la questione Xylella nasce nel 2013, quando risulta evidente la Sindrome da Disseccamento degli ulivi, il problema assume immediatamente una valenza europea, tanto che l'EFSA, l'Autorità Europea per la sciurezza alimentare, inzia a emanare precise indicazioni e a creare una task force di esperti per seguire la questione evitare che il problema esca dal Salento e attacchi anche altre colture. Viene nominato un commissario per l'emergenza, Giuseppe Silletti, che avvalendosi di vari tecnici qualiticati elabora il "piano Silletti", che prevede anche il doloroso, ma necessario, abbattimento di alcune piante. 
Abbiamo tutti gli ingredienti che ci servono. La "cattiva Europa" che vuole falcidiare una nostra coltura tradizionale, magari per favorire gli interessi di qualche multinazionale e un commissario, che antidemocraticamente, sfidando la saggezza e la volontà del popolo, ordina lo sdradicamento degli alberi. Ma per fortuna arrivano i nostri, inizia una diatriba tra gli studiosi di Lecce e Bari,  (il commissario si avvaleva del supporto tecnico dell'Università di Bari - che aveva puntato decisamente su Xylella come causa della malattia degli Ulivi), i Leccesi danno spago alle teorie degli agricoltori locali e degli ambientalisti, e in loro soccorso arriva la cavalleria pesante, prima il Presidente Emiliano, difensore degli oppressi e la magistratura che indaga Silletti e tutti i suoi tecnici, bloccando l'attuazione del piano, cosa che comporterà l'ampliamento dell'area colpita dalla malattia. I ricercatori baresi sono anche accusati di aver diffuso loro un ceppo di Xylella, proprio per attaccare l'Ulivicultura salentina. A nulla valgono gli appelli della comunità scientifica. 
Nel frattempo, le evidenze che il problema è Xylella, che Xylella è stata importata probabilmente dal sudamerica, che l'eradicazione era, al momento, l'unica cosa sensata da fare, si moltiplicano. L'EFSA preme perché si riprenda il piano Siletti, i tecnici della procura danno ragione ai tecnici indagati, molti ricercatori leccesi, di fronte a nuove evidenze, convergono sulle conclusioni dei colleghi baresi. Il tutto avviene con la "Società civile" che se ne frega dei fatti, continua a seguire emotività e "opinioni" e a parteggiare comunque per posizioni smentite dai fatti; purtroppo, tra questi troviamo di nuovo il Presidente Emiliano (ma già sulla questione referedum trivelle ricordiamo il suo proverbiale "pragmatismo"). Ovviamente in compagnia degli immancabili "5 Stelle", che in simili vicende non possono mancare.
Di tutto ciò si occupa anche l'Accademia dei Lincei, che di fatto, con il suo rapporto pone fine a ogni discussione. O almeno così dovrebbe essere, se fossimo un paese "normale".
Nel documento si ricostruisce la vicenda e si  danno alcune indicazioni di sperimentazione in campo da eseguirsi per trovare modalità di trattamento delle piante ancora recuperabili - rammaricandosi che ciò non sia ancora stato fatto. Va ricordato che il problema è ben lungi dall'essere risolto. Viene ribadito che la causa del disseccamento è un particolare ceppo di Xylella fastidiosa, e non altro, probabilmente giunto con olenadri d'importazione, si conferma che la malattia, per effetto di ricombinazine genetica tra ceppi diversi del batterio potrebbe diffondersi ad altre colture e estendersi nel continente europeo, con forti conseguenze per l'agricoltura, sostanzialmente avvalorando le preoccupazioni dell'EFSA. I Lincei rimarcano come i ricercatori leccesi (fatto salvo qualcuno) abbiano rivisto le loro posizini visto le evidenze scientifiche. Viene anche segnalato come le fonti di finanziamento tra i gruppi di ricerca Baresi e Leccesi, fossero in parte gestite dalla Regione Puglia. Orbene, qui i Lincei affermano che  la radicalizzazione dello scontro da i due poli potrebbe avere avuto proprio come causa l'accesso ai fondi. Noi che siamo maligni potremmo pensare che "Non è che qualcuno a Lecce abbia voluto priviliegiare tesi che dessero credito alle posizioni  più popolari e sopratutto seguite da chi governa la Regione, per accapararsi più fondi?" Sarebbe una strategia contraria all'etica scientifica, che ha fatto sprecare tempo e denaro pubblico, ma siamo dei cinici e non ci stupiamo di nulla. Oppure c'è stato anche da parte di taluni ricercatori un approccio idelogico alla questione, ugualmente deleterio e ugualmente contrario all'etica della ricerca. 
Ciò suffraga ancor di più chi sostiene che il finanziamento delle ricerche scientifiche debba essere tolto dal controllo di enti soggetti a umori "politici".
Inoltre, desta preoccupazione che anche la Magistratura (guarda caso Emiliano è pure un ex magistrato - sarà un caso?) abbia prestato credito a posizioni non supportate da evidenze, a tal punto da indagare e bloccare chi davvero stava cercando di contenere il problema. Su questo i Lincei sono stati ambigui, il loro rapporto è uscito in due versioni, nella prima tale questione era stata stigmatizzata, nella definitiva non ve n'è traccia. Un atteggiamento un po' pilatesco. Serve una comunità Scientifica autorevole, che sappia parlare con voce chiara e sappia contestare le Istituzioni quando abbandonano la via della razionalità verso perigliose derive ideologiche, che sono  potenziali anticamere dall'autoritarismo.
Un passaggio del rapporto dei Lincei è emblematico "registra la presenza di posizioni ideologiche locali che si oppongono al possibile trasferimento di conoscenze scientifiche, che rifiutano modelli agricoli tecnologicamente avanzati e che sono state estese al caso Xylella. Sarebbe, invece, urgente abbassare l'eccesso dialettico che confonde lo sviluppo di possibile esperimenti e la definizione di conclusioni scientifiche, necessarie e preliminari a decisioni normative e operative", purtroppo quest'ultima affermazione potrebbe essere riferita a numerose questioni italiane. Questioni su cui il paese e gli italiani stanno perdendo la sfida per l'innovazione, per un progresso più ecocompatibile, insomma, dove si sta perdendo il Futuro.

lunedì 11 luglio 2016

a proposito di Deep Water Horizon

Operazioni di "capping" del pozzo - the Telegraph
Ricordate tutti la fuoriscita di petrolio dalla piattaforma Deep Water Horizon, nel golfo del Messico. Nell'aprile 2010 dal pozzo Macondo, a seguito di una rottura nelle valvole di raccordo e nelle condutture, 5milioni di barili di petrolio almeno, fuoriuscirno dal pozzo (in pressione), prima che la falla fosse chiusa. 
La vicenda fu usata strumentalmente e maldestramente duranta la recente campagna per il nostrano "referendum sulle trivelle". Bene, mentre qui si chiacchera nel Golfo del Messico si sta facendo ancora la conta dei danni e si sta cercando di capirne di più sul comportamento del greggio in ambito oceanico; infatti i modelli di dispersione del greggio, per le particolari condizioni chimico fisiche del golfo, hanno reso molto complesso non solo il suo  recupero, ma anche il capire come si sia disperso. Su Geology Page è apparso questo articolo , che mi sono permesso di tradurvi, circa gli ultimi sviluppi sulla situazione. Risulta bene evidente quanto complessa sia la situazione e quanto inopportuno il paragone con i depositi e le piattaforme mediterranei.

Di seguito l'articolo: A seguito della portata senza precedenti del disastro ambientale, la valutazione del danno causato nel 2010 dalla fuoriuscita di greggio dalla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico è stata una sfida. Un puzzle irrisolto è la posizione di 2 milioni di barili di petrolio sommerso che si pensa per essere intrappolati nelle profondità dell'oceano.
L’Unità Costiera Santa Barbara di David Valentine e colleghi del Woods Hole Oceanographic Institute (WHOI) e Unità Costiera Irvine sono state in grado di descrivere il percorso che l'olio ha seguito per creare un impronta sul fondo dell'oceano profondo. I risultati appaiono oggi negli Atti della National Academy of Sciences.
Per questo studio, gli scienziati hanno utilizzato i dati del processo di valutazione dei danni alle risorse naturali condotto dal National Oceanic and Atmospheric Administration. Il governo degli Stati Uniti stima scarico totale del pozzo Macondo - dalla fuoriuscita di aprile 2010 fino a che il pozzo è stato ricoperto nel successivo luglio – in 5 milioni di barili.
Analizzando i dati provenienti da più di 3.000 campioni raccolti presso 534 sedi oltre 12 spedizioni, hanno identificato un’area di 1.250 miglia quadrate del fondale profondo sul quale è stato depositato da 2 a 16 per cento del petrolio scaricato. La ricaduta di olio sul fondo del mare ha creato un sottile strato, più spesso a sud-ovest del pozzo di Macondo. L'olio si è maggiormente concentrato all'interno del primo mezzo pollice deal fondo marino, mentre era presente in modo discontinuo anche alla scala di alcuni piedi.
L'indagine si è concentrata principalmente sull’Hopano, un idrocarburo non reattivo, che è servito come un marker per l'olio scaricato. I ricercatori hanno analizzato la distribuzione spaziale dell’hopano nel nord del Golfo del Messico, rilevandolo più concentrato in uno strato sottile al fondo del mare, entro 25 miglia dal pozzo guasto, implicando chiaramente Deepwater Horizon come fonte.
"Sulla base delle prove, i nostri risultati suggeriscono che questi depositi provengano dal petrolio del pozzo Macondo, che è stato prima in sospensione in profondità nell’oceano e poi si è depositato sul fondo del mare, senza mai raggiungere la superficie dell'oceano", ha detto Valentine, professore di Scienze della Terra e biologia University of California. "Il modello è come un'ombra delle minuscole goccioline di olio che sono stati inizialmente intrappolate in profondità dell'oceano circa 3.500 piedi e spinte in giro dalle correnti profonde. Una combinazione di chimica, biologia e fisica in ultima analisi, ha fatto piover quelle gocce  per altri 1.000 piedi andando a depositarsi sul fondo del mare. "
Valentine e i suoi colleghi sono stati in grado di identificare gli hotspot di ricaduta di petrolio in prossimità di coralli di acque profonde danneggiati. Secondo i ricercatori, questi dati confermano il risultato, in precedenza contestato, che questi coralli siano state danneggiati dalla fuoriuscita di Deepwater Horizon.
"L'evidenza sta diventando chiara che le particelle oleose piovevano intorno a questi coralli di acque profonde, ciò fornisce una spiegazione convincente per il danno che hanno sofferto", ha detto Valentine. "Il modello di contaminazione che osserviamo è pienamente coerente con l'evento Deepwater Horizon, ma non con filtri naturali -. L'alternativa suggerita"
Mentre lo studio ha esaminato un'area specifica, gli scienziati sostengono che l'olio riscontrato rappresenta una minima parte del fuoriuscito. Essi ritengono che la deposizione di petrolio sia avvenuta anche al di fuori dell'area di studio, ma finora non ne sia avvenuto il rilevamento a causa della sua discontinuità.
"Questa analisi ci fornisce, per la prima volta, un po’ di conclusioni sulla questione “Dov'è finito l'olio uscito e come?" Ha dichiarato Don Rice, direttore del programma nella divisione del National Science Foundation di Ocean Sciences. "E ci avverte anche che questa conoscenza rimane in gran parte provvisoria fino a che non potremo spiegare completamente che fine abbia fatto il restante 70 per cento."
"Questi risultati dovrebbero essere utile per valutare i danni causati dalla fuoriuscita di Deepwater Horizon, nonché pianificare futuri studi per definire ulteriormente la portata e la natura della contaminazione", ha concluso Valentine. "Il nostro lavoro può anche aiutare a valutare il destino di idrocarburi reattivi, modelli di prova del comportamento di petrolio nell'oceano e il piano per le fuoriuscite future."

Reference:
David L. Valentine, G. Burch Fisher, Sarah C. Bagby, Robert K. Nelson, Christopher M. Reddy, Sean P. Sylva, and Mary A. Woo. Fallout plume of submerged oil from Deepwater Horizon. PNAS, October 27, 2014 DOI: 10.1073/pnas.1414873111

Note : The above story is based on materials provided by University of California - Santa Barbara. The original article was written by Julie Cohen.

Read more : http://www.geologypage.com/2014/10/where-did-all-oil-go.html#ixzz4E5CrXrnv
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