martedì 18 dicembre 2018

Carboni Ardenti

Un recente articolo pubblicato sull'International Journal of Coal Science&Tecnology, rivista tecnica del gruppo Springer, specializzata sulle tecnologie di estrazione e lavorazione del carbone, esplora il tema della contaminazione da metalli pesanti nelle aree ospitanti industrie per la raffinazione del carbone. L'articolo, redatto da un gruppo di studiosi cinesi dell'Università di Pechino, si concentra sul caso di un impianto di raffinazione del carbone nella regione autonoma di Ningxia, situata nella Cina centro settentrionale, e riporta le valutazioni fatte in merito alla concentrazione, nell'area dell'impianto e limitrofe, nel suolo dei metalli pesanti Piombo (Pb), Arsenico (As), Cromo esavalente (CrVI), Mercurio (Hg) e Cadmio (Cd), tutti elementi che se in concentrazione eccessiva nelle matrici ambientali sono dannosi per gli ecosistemi e cancerogeni per l'uomo. Lo studio si propone di elaborare una modellizzazione che possa prevedere la distribuzione spazio temporale nei prossimi 20anni della concentrazione dei metalli pesanti citati. 
La regione di Ningxia è relativamente pianeggiante, con clima continentale soggetto a monsoni. L'impianto, esteso per una superficie di 47 ettari circa, è caratterizzato dalla presenza di tre camini, una stazione per la produzione energetica, una discarica interna per i fanghi di lavorazione e una rete ferroviaria per il trasporto materiale, e varie strutture per lo stoccaggio e la lavorazione delle varie fasi del ciclo, compresa la gassificazione.  Lo studio ha previsto il campionamento dei primi 20cm di suolo - top soil - secondo una griglia 50x50m. Oltre alla determinazione delle concentrazioni degli elementi ricercati entro l'area e rispetto all'ambiente esterno, si è proceduto a valutare la loro mobilità sottoponendo i campioni di suolo a una "precipitazione" di 0,4ml/s di acqua per 15 gg,  al fine di verificare la tendenza alla lisciviazione. Applicando i dati raccolti a un modello di capacità ambientale nel suolo si è concluso che la concentrazione del gruppo di metalli pesanti ricercati aumenterà presso il sito indagato di almeno il 90% nel prossimo decennio, con picchi ben superiori al 100% per taluni.
Andando a visionare singolarmente gli esiti dell'indagine, e collocandoli spazialmente attraverso l'uso di un software GIS, si è così potuto appurare che:
  • il Pb risulta avere maggiori accumuli in prossimità degli accessi, camini e viabilità del sito, risultando correlato con le emissioni dei mezzi di movimentazione e l'uso di lubrificanti, il Pb evidenzia la tendenza a spostarsi poi negli strati inferiori del sottosuolo, mantenendo una concentrazione costante nel topsoils;
  • il Cd risulta anch'esso avere maggiori concentrazioni in prossimità delle vie di movimentazione del carbone e lungo le vie di transito del personale, risultando in relazione alle emissioni dei mezzi di trasporto, l'usura dei pneumatici e l'emissione delle polveri di carbone;
  • l'Hg mostra maggiori concentrazioni, tendenti a un rapido aumento nel primo quinquennio, in prossimità dei punti di emissione dell'unità di produzione energia e di gassificazione
  • L'As, sostanzialmente palesa tendenze all'accumulo, seppur con diversi andamenti, similari a quelli del mercurio, risultando correlato con le zone di emissione corrispondenti alle unità di gassificazione e produzione energetica;
  • il CrVI mostra importanti accumuli in prossimità della discarica di accumulo dei fanghi delle unità di produzione energia e gassificazione, con rapidi incrementi e persistente contaminazione nel corso del tempo.
Tali evidenze forniscono elementi utili per pianificare in impianti di questo tipo adeguati accorgimenti per ridurre o prevenire la contaminazione dovuta a questi metalli pesanti, consentendo di ridurre l'impatto sulle aree limitrofe agli impianti e mitigare i rischi per la salute dei lavoratori. Monitorare i punti di emissione, contenere e trattare i fanghi di scarico, rivedere il parco mezzi e le modalità di trasporto e movimentazione del carbone sono alcune delle indicazioni che emergono.

Rilevare che la Cina stia compiendo studi in tal senso, potrebbe indurre a ritenere che via sia una positiva volontà di prevenire la contaminazione delle matrici ambientali e ridurre i rischi per la salute della popolazione e dei lavoratori, riducendo l'impatto ambientale degli impianti di raffinazione del carbone. 
Dall'altro lato, anche alla luce degli esiti della recente conferenza sul clima di Katowice, dove la tematica della produzione di energia usando fonti fossili, in particolare nei paesi emergenti come la Cina, unitamente alla necessità di abbandono dell'uso del carbone, il peggiore dei combustibili per emissioni di CO2, porta a valutare con preoccupazione studi come questo, in quanto potenziali indici della volontà cinese di continuare per diversi decenni a venire ad avvalersi in modo massiccio del carbone come fonte energetica.

domenica 2 dicembre 2018

Scusi anche ora è l'Antropocene?

Ormai viene usato correntemente il termine Antropocene per definire il nostro tempo. Sostanzialmente, questa sarebbe l'Epoca geologica in cui staremmo vivendo oggi. Battezzata così in onore dell'Uomo, ormai assurto a forza geologica, in grado di alterare le dinamiche climatiche a tal punto da poter produrre sconvolgimenti tali, da determinare una sesta estinzione di massa, in cui lo stesso genere umano potrebbe essere coinvolto.  Molti studiosi si concentrano sulla rilevazione di quegli   elementi   che consentirebbero di demarcare effettivamente questa nuova era e definirla anche appunto in termini geologici. Tra cui per esempio le rocce e i minerali di origine antropogenica. Tra le rocce va ricordato il "plastigomerato", di cui abbiamo già parlato,  ossia dei conglomerati che inglobano frammenti plastici di chiara origine antropica; la questione dei minerali è più complessa, e riguarda sopratutto quei minerali che si formano per lisciviazione/ossidazione di strutture tecnologiche umane e da attività come le perforazioni, l'attività mineraria, la costruzione di gallerie. 
La questione è così dibattuta che l'inizio dell'Antropocene avrebbe anche una data, sarebbe quella del primo esperimento nucleare, per altri si dovrebbe fissarlo con l'invenzione del motore a scoppio, per altri ancora con la rivoluzione agricola, per altri più prosaicamente con la comparsa dell'uomo sulla Terra, per taluni la scoperta dell'America - indubbio punto di svolta nella storia umana e planetaria - e via così ciascuno con la sua posizione. Questo tipo di dibattito ci pare poco proficuo, se da un lato cercare di comprendere gli effetti dell'attività umana sulle varie matrici ambientali ha un indubbio senso, meno lo hanno le diatribe sull'avvio o meno di una nuova unità di tempo geologico. Non a caso l'ultima revisione della scala cronostratigrafica - qui a fianco - ci dice che siamo ancora ben saldamente nell'Olocene, iniziato circa 10mila anni fa ocn la fine dell'ultima glaciazione; in questo senso ci pare molto più sensato quanto leggiamo su Theropoda, circa questa questione, ritenendo l'Antropocene una forzatura dal sapore mediatico e Antropocentrica, che più che un'Epoca geologica è un EVENTO geologico, dato il suo rapporto con il tempo profondo (pensare a una epoca geologica il cui avvio è fissato in termini di anni unitari, fa sorridere), un evento, quindi, ossia un istante della storia della Terra - tipo meteorite nello Yucatan - caratterizzato da intensi fenomeni e contraddistinto dalla proliferazione di un mammifero bipede. Si badi questo non significa sminuire il tema del contributo antropico al mutamento climatico e agli altri mutamenti dei fenomeni della geosfera, indubbiamente legati all'antroposfera, significa inserirlo adeguatamente da un punto di vista cronostratigrafico e voler ricondurre il dibattito a più concrete questioni e non a stucchevoli disquisizioni nomenclaturali che lasciano il tempo che trovano.
Perché è di questo che stiamo parlando, indubbiamente il clima, l'assetto della litosfera, l'atmosfera, l'idrosfera nel corso del tempo geologico sono più volte mutati e ciò dipende da molteplici fattori, che possono spaziare dai cicli astronomici dei movimenti dell'asse terrestre, piuttosto che della posizione della Terra rispetto al Sole e forse del Sistema Solare rispetto alla Via Lattea, non che dei cicli Solari, a fenomeni endogeni legati alle dinamiche del mantello e del nucleo terrestre, basti pensare all'effetto dei vulcani sul clima, o delle correnti oceaniche, non che alle interazioni tra biosfera e geosfera - basti ricordare come si debba alla comparsa delle cellule vegetali la respirabilità - per noi - dell'atmosfera terrestre. Ma non si può non rilevare come l'azione umana, dovuta alle trasformazioni prodotte sulla superficie terrestre e all'interferenza con le dinamiche atmosferiche per via delle emissioni di vari gas, CO2 su tutti, in questo contesto si inserisca pesantemente, maggiormente nell'ultimo secolo, andando ad accelerare e magnificare processi che, forse, avverrebbero comunque, ma con intensità e tempistiche ben diverse e con altri effetti.
E qui sta il tema, tale interferenza e i suoi effetti sono palesi, assistiamo a una progressiva tropicalizzazione di zone prima caratterizzate da clima temperato, alla progressiva estremizzazione dei fenomeni meteorici, che, per esempio nel nostro paese, così idrogeologicamente fragile, producono devastazioni ad ogni evento, nonostante i meccanismi di allerta e previsione si facciano sempre più efficaci. Alcuni effetti poi sono assolutamente inattesi, segno di quanto ancora c'è da comprendere nelle complesse interazioni intraplanetarie, basti quanto evidenziato nel recente studio del CNR-Università di Venezia, relativamente alla dissoluzione dei sedimenti carbonatici per l'acidificazione delle acque marine, conseguente all'incremento della CO2 disciolta, che provoca il degrado di zone litoranee caratterizzate da sabbie calcaree con connessi fenomeni di erosione costiera.  Il Professor Coccioni non parla di Antropocene, ma di Sinforocene, l'età delle catastrofi e forse il nome, che Coccioni usa più in termini esplicativi e non in senso cronostratigrafico è la definizione più adeguata della fase Olocenica che stiamo vivendo. La situazione è seria, a tal punto che l'IPCC nel suo recente rapporto ha lanciato un forte allarme, chiedendo un'accelerazione per il conseguimento del contenimento del riscaldamento globale, proponendo di mantenere l'aumento di temperatura da qui al 2100 entro il  grado e mezzo e non due, ritenendo i 2°C, obbiettivo fissato nella COP21 di Parigi, una soglia ormai non sicura per il la riduzione di tutti quei fenomeni di cambiamento climatico quali l'estremizzazione degli eventi climatici, innalzamento eustatico, scioglimento calotte polari, etc etc.
Va ricordato come il cambiamento climatico abbia un impatto fortissimo sulle popolazioni umane, i "migranti climatici" a dispetto delle convinzioni dei vari governanti mondiali - italici compresi - sono una realtà e lo diventeranno sempre più, così come i costi collegati alle calamità naturali e ai dissesti indotti, a prescinde se i governi assumano o meno consapevolezza di questo. Qualcuno ritiene che le misure richieste per conseguire gli obbiettivi degli scienziati dell'IPCC non siano economicamente sostenibili, il prossimo vertice sul clima di KATOWICE, dove si dovrebbe tornare a discutere di come rivedere gli obbiettivi di Parigi, appare in salita, sostanzialmente sembra che le ragioni del presente siano più forti di quelle del futuro, come se quello che succederà non riguardasse noi, ma fosse una prospettiva lontana, invece non è così, la stiamo vivendo noi e ancor di più la prossima generazione. Il cambio di modello di sviluppo, di cambiamento tecnologico, di stile socio-economico di sicuro ha dei costi, ma probabilmente meno insostenibili e preoccupanti delle prospettive che si avrebbero senza fare nessun deciso cambio di marcia, che deve avvenire, non attraverso poco credibili decrescite felici o una sorta di autoflagellato pauperismo, ma con un deciso ricorso alla tecnologia, per la riduzione di emissioni di CO2, per il suo stoccaggio, perla riduzione dei consumi di matrici ambientali e con un deciso investimento nella messa in sicurezza del territorio, quindi con interventi strutturali, per andare a intervenire concretamente nella riduzione del dissesto idrogeologico.
Questo sempre se come specie decidiamo davvero di prendere per mano il nostro destino e cercare di rimanere su questo pianeta in modo decoroso per qualche altro milione di anni, prima di diventare un marker stratigrafico, a meno che il nostro interesse sia quello di contemplare il Titanic che affonda. Peccato che sul Titanic ci siamo tutti e scialuppe non ce ne sono per nessuno.