Geologia Proletaria
per la rivoluzione geologica e razionale
lunedì 30 dicembre 2024
Fossili e Far West
lunedì 18 novembre 2024
I bei vecchi tempi Geologici
Il mondo di H. Sapiens, però, negli ultimi decenni si sta
facendo ancor più frenetico e anche la Geologia, volente o nolente sembra
dovervisi adeguare, perdendo di flemma (talvolta ahimé di autorevolezza),
entrando con tutto il suo peso nei tempi della Storia, financo a quelli della
Cronaca.
Le sempre più frequenti sciagure climatiche richiedono
nodelli previsionali traguardati al decennio o giù di lì ed ai Geologi si
chiedono spesso spiegazioni pressoché immediate degli accadimenti, questo porta
ad un aumento sempre più marcato della risoluzione delle analisi sul record
geologico per reperire elementi utili ai modelli previsionali sugli scenari
futuri e corrispondenze con i fenomeni attuali (e se il supporto dei dati
tratti dallo studio del libro della Terra non è adeguato, gli sfondoni clamorosi
sono dietro l’angolo).
Oggi come non mai la fortuna di uno Stato o di un Governo
può dipendere dalla disponibilità di risorse (che siano per la green o per la
grey economy cambia poco), dalla capacità di gestirle e di controllarne di
ulteriori o dalla vulnerabilità ad essere soggetto a eventi
calamitosi/catastrofici di varia tipologia e dalla resilienza agli stessi.
Le politiche ambientali sono, però, per definizione politiche
di medio lungo termine – ovviamente sempre a scala Sapiens – richiedendo scelte
di tipo strutturale che dovrebbero nascere da un robusto supporto di conoscenze
tecnico scientifiche, verificabili, e dovrebbero essere accompagnate da modelli
previsionali e di monitoraggio in itinere, al fine di adeguare i processi mano
a mano che i modelli si affinano.
Questo non si sposa, però, dobbiamo dirlo, benissimo con la
Democrazia, avendo questa nell’alternanza dei governi una sua peculiarità
fondamentale e, direi, imprescindibile.
Diviene pertanto essenziale che su tutta una serie di questioni, in
particolare, per quanto riguarda l’oggetto di questo sproloquio, le questioni
ambientali ed in generale quelle a carattere tecnico-scientifico vi siano delle
condivisioni di base e soprattutto approcci non discontinui e ideologici.
La Democrazia odierna ci mostra, invece, che così non è, ed
anzi è un problema. Posizioni dogmatiche, demagogiche, financo francamenteirrazionali tendono ad avere ampio consenso, generando anche rappresentanzapolitica e di governo. Il caso, ovviamente, più rappresentativo al momento è
quello di Trump e del suo governo, ove vi sono le posizioni antiscientifiche
più perniciose non mancano e ove vi è quella geniale contraddizione vivente di
Munsk, straordinario innovatore da un lato, terribile dogmatico su altri.
Sicuramente la nuova presidenza Trump non potrà non avere ripercussioni pesantisulla questione climatica, ma anche sulle questioni agrotecniche, energetiche e
mediche in un mix di avventurismo e negazionismo.
Se aggiungiamo che comunque su posizioni simili, magari in
modo meno parossistico e più sottotono vi sono i governi di molti paesi
democratici, più o meno, e francamente NON democratici non c’è da essere sereni
rispetto alle grandi questioni ambientali del nostro tempo.
Bisogna, però, riflettere profondamente sul perché dalla
società nel suo complesso questi temi non sono adeguatamente percepiti e
condivisi, anzi, sono spesso invisi e oggetto di strumentalizzazione di parte.
Sicuramente, e non è complottismo, vi è la mano di grandi portatori di
interessi economici che produce questo effetto attraverso – purtroppo efficaci
– campagne mirate di propaganda più o meno complesse e talvolta di vera e
propria disinformazione, ma non solo. C’è oggettivamente una sorta di egoismo sociale
di fondo che fa sì che siamo profondamente restii, se non ostili, a mettere in
discussione la sostenibilità del nostro attuale modello di sviluppo, perché
significherebbe rinunce più o meno immediate per benefici relativamente lontani
nel nostro orizzonte temporale (ma non in quello della prossima generazione per
esempio) e questo, tornando alle considerazioni sulla democrazia, non genera
consenso elettorale, tutt’altro. C’è anche da dire, invero, che una qualche –
anzi più di qualche – “mea culpa” lo dovrebbero fare diversi soggetti del mondo
ambientalista, in fondo se alla causa ambientale, spesso si è rivolta più
ostilità che supporto, qualche riflessione sul proprio operato sarebbe più che
opportuna.
Infatti, un approccio altrettanto dogmatico e fondamentalista,
anche nei modi a volte, ha portato a decisioni altrettanto irrazionali e non
adeguatamente ponderate con effetti negativi sull’ambiente, o comunque non
positivi, e controproducenti sul piano economico, con ricadute spesso sulle
fasce deboli della società. Questo è particolarmente evidente in UE, dove non
avremo magari le parossistiche espressioni trumpiane, ma su temi quali
l’energia (la questione del nucleare, piuttosto che l’approccio sul gas…) o
l’agrotecnica (la questione OGM su tutte), l’auto elettrica l'assunzione di posizioni poco
pragmatiche ha portato alla sofferenza di importanti fette di economia e con
esse di società, senza che vi fosse sufficiente sensibilità e prontezza verso il disagio e la marginalizzazione di queste, redendole estremamente vulnerabili alle sirene demagogiche
populiste e più o meno antiscientifiche. Stendiamo un velo pietoso sulla
questione nel nostro paese.
Il così detto “ecosocialismo” così come coniugato fino ad oggi in UE è stato un mezzo fiasco, visto che si è perso le masse per strada. I movimenti che vogliono, giustamente, un progresso sostenibile hanno un grande lavoro da fare adesso, che è quello di ricreare un ampio consenso trasversale su tali questioni, supportando la comunicazione e l’informazione scientifica attraverso una divulgazione onesta, trasparente, accessibile e partecipata, denunciando le scelte e posizioni non basate su criteri razionali, non assecondando le emotività del momento e nemmeno tentando di cavalcarle e senza nessun ammiccamento a posizioni preconcette o ideologiche. L'Europa deve continuare ad essere coraggiosamente alfiere della battaglia dello sviluppo sostenibile, ma deve essere più concreta nel farlo.
Dare oggi dell’orco a Trump e dei buzzurri ai suoi elettori,
e fare altrettanto coi populisti nostrani, non solo non serve, ma è, anzi
deleterio. Si deve opporre il ragionamento, si deve smontare l’emotività, si
deve rivolgersi alla testa delle masse e si deve riportarle alla partecipazione
alla vita pubblica. L’affermarsi di posizioni come quelle del Tycoon d’oltreoceano,
di Orban qui in UE o di altri sovranisti vari, si deve anche alla disaffezione
popolare alla partecipazione democratica, fenomeno che oltre a produrre gli
effetti che già vediamo indebolisce progressivamente la democrazia stessa,
facendola diventare gradualmente qualcos’altro di tutt’altro che desiderabile.
E anche questo non sta avvenendo in “tempi geologici”.
lunedì 4 novembre 2024
Naturalmente Antropico
Recenti studi archeologici mostrano come anche la parte interna dell'Amazzonia avesse una cospicua popolazione umana, stimata in decine di milioni di individui, socialmente complessa e con realtà "urbane" ragguardevoli. L'arrivo dei conquistadores e con loro delle malattie ha determinato lo sterminio di queste popolazioni e la loro regressione a gruppi tribali isolati, creando l'illusione successivamente che fosse sempre stato così e che il bacino del Rio delle Amazzoni fosse una sorta di Eden dove l'uomo non si era inoltrato. Tolta la grande foresta sudamericana cosa resta? Forse qualche abisso oceanico. Forse.
Orbene questo non vuol essere un lamento sull'invasività e pervasività della nostra specie, è un dato di fatto, e oggi siamo di fronte alla sfida di renderci più "sostenibili" per il pianeta, ma lo facciamo in primis per noi, diciamocelo (non c'è nulla di male ad essere intellettualmente onesti, anche nell'ambientalismo), se poi la biosfera planetaria ne trae beneficio è un po' un effetto collaterale, stavolta positivo.
Riconoscere, però, che parlare di "ambiente naturale" e "rinaturalizzazione" in molti contesti è solo retorica e ha poco senso, a mio avviso, consentirebbe di partire più pragmaticamente nei ragionamenti su come tutelare davvero alcuni ambienti e soprattutto con rendere meno impattante la nostra presenza. Così come iniziare a vedere il concetto di "equilibrio naturale" per quello che è... ossia, spesso, una mera mistificazione comunicativa. In tutti le aree della Terra, abbiamo evidenze dirette o indirette degli effetti della presenza umana, la cui intensità varia in modo direttamente proporzionale alla vicinanza col più vicino insediamento della nostra specie e con la densità della sua popolazione in quell'areale.
Dire, quindi, in molti casi, che si ha un obbiettivo di "ripristino degli equilibri naturali", nel concreto dovrebbe tradursi con un allontanamento delle comunità dalla zona su cui si vuol operare e una minimizzazione degli effetti su scala planetaria di origine antropica. Puro velleitarismo. Più utile ad azioni efficaci di tutela sarebbe lavorare a tutte quelle soluzioni che consentono una miglior coesistenza tra i vari ambienti e la nostra specie, attraverso tutte quelle misure che consentano un reciproco adattamento.
Piccola parentesi, lo stesso concetto di "equilibrio naturale" - come evidenzia anche il prof. Rinaldo nel suo libro, è fuorviante e mistificatorio. Si esprime questo concetto, come se l'equilibrio degli ecosistemi fosse uno stato stazionario e duraturo, mentre è in realtà uno stato dinamico con continui aggiustamenti ai cambiamenti dei parametri di fondo (clima, fisica atmosferica, dislocazione continentale...), che appunto variano con intensità e velocità variabili nel tempo in funzione della contingenza.
Azioni di tutela volte a ritornare al concetto di equilibrio naturale, nella sua accezione di staticismo perfetto, significa, realtà, applicare una forzosa cristallizzazione a un dato sistema ambientale, che prima o poi genererà effetti imprevedibili e raramente positivi.
Ne consegue la necessità di strategie di adattamento che abbiano il coraggio di applicare anche interventi diretti di trasformazione territoriale, se necessari, e l'uso delle possibilità che la tecnologia offre: la tecnofobia che si respira in tanta parte del movimento ambientalista, che vagheggia un ritorno ad una fase più spartana e bucolica del rapporto uomo - natura, spesso ha prodotto iniziative che hanno generato costi sociali pesanti per le popolazioni più deboli, interventi inadeguati che si sono rivelati inefficaci alla bisogna, o peggio controproducenti e alimentato l'idiosincrasia verso la necessità di sensibilità ambientale.
lunedì 8 luglio 2024
Il falò delle innovazioni
domenica 9 giugno 2024
PENSIERI ATOMICI
https://astrolabio.amicidellaterra.it/node/3256
lunedì 13 maggio 2024
QUANTO SONO CRINGE GLI STRATIGRAFI (O NO?)
Definire una unità cronostratigrafica richiede particolari criteri, tra cui la presenza di marker precisi e inequivocabili, l'esistenza di sezioni tipo e la possibilità di cronocorrelazioni su larga scala. L'Antropocene manca di molto di questo e spesso quelli che dovevano essere marker inequivocabili, per esempio la presenza di plastiche, sono piuttosto equivoci. La commissione stratigrafica preposta ha fatto il suo lavoro. All'antica. E molto meticolosamente, come solo gli stratigrafi sanno essere.
Eppure si è gridato allo scandalo, si è denigrato il lavoro della commissione e anzi, si è dichiarata addirittura complicità con i negazionisti del climate change e connivenze con Big Oil. La decisione è stata vista come pericolosa, poiché contro il mainstream ambientalista del momento, che permea anche molte istituzioni scientifiche e perciò laddove non è stata criticata è stata comunque quasi ridicolizzata. Anche il nostro SNPA, suo malgrado non ha saputo sottrarsi a ciò, quasi ci fosse il bisogno di prendere le distanze da questi ottusi o collusi stratigrafi.
Si è così, però, di fatto, negato il fondamento stesso del metodo scientifico. Non aver introdotto l'Antropocene nella tavola cronostratigrafica significa negare l'impatto antropico odierno a scala globale sull'ambiente? No, significa, però, che il nostro impatto non è tale da generare una discontinuità nel record geologico tale da individuare un nuovo capitolo nella Storia della Terra. Storia che deve essere registrata nella roccia e non nella chiacchera. E direi, che è giusto così. Le Scienze della Terra hanno da sempre smantellato l'egocentrismo della nostra specie. Prima dimostrando che la Terra aveva una storia ben più lunga della nostra, e che noi siamo ben gli ultimi arrivati, poi con Darwin palesando che la vita non ha avuto come fine la generazione della nostra specie, la cui comparsa di deve ad una serie di fattori diversi e che il nostro successo è ben lungi da essere certificato, poiché la nostra presenza su questo sasso alla periferia di una galassia periferica è piuttosto effimera se paragonata a quella dei Dinosauri, o degli squali o dei millepiedi...
La verità è che l'Antropocene è un'altra manifestazione in negativo del nostro antropocentrismo, anche nell'esecrare il nostro impatto sul pianeta, sentiamo comunque il bisogno di eternarlo nella storia geologica, al pari dell'asteroide dello Yucatan, le glaciazioni, la catastrofe del ferro, l'orogenesi alpina, il disastro del Permo-Trias. La verità è che sparissimo oggi. Tempo qualche decina di migliaia di anni, un battito di ciglia geologico, di noi non ci sarebbe traccia. E questo ci rode immensamente.
Gli stratigrafi ci hanno, di nuovo, rimesso apposto. Invece di disquisizioni sull'antropocene, sarebbe opportuno recuperare sano pragmatismo su come ridurre la nostra voracità verso le matrici ambientali, praticare uno sviluppo più equo verso le varie popolazioni del mondo e verso le altre specie presenti, su come far sì che il green new deal non sia retorica o un nuovo dogmatismo o peggio una nuova forma mascherata di sfruttamento globale, ma un orizzonte compatibilità ambientale e sociale
Dobbiamo essere consci del fatto che tutto il bailamme per una maggior sostenibilità della nostra presenza sulla Terra, non serve alla Terra, serve alla nostra sopravvivenza. Il più possibile comoda.