lunedì 18 novembre 2024

I bei vecchi tempi Geologici

    Un’espressione che, almeno fino a non troppo tempo fa, si usava per significare che una data cosa era piuttosto vetusta, era attribuirla a “ere geologiche fa” e i “tempi geologici” erano quelli dei processi che si voleva definire lentissimi, per esempio quelli burocratici. Non erano locuzioni premianti, semmai il contrario. Ma come Geologi non ce la siamo mai presa, perché la vastità del tempo geologico è sempre stato uno dei concetti tra i più affascinanti della materia. Declinato rispetto ai tempi ben più brevi dell’orizzonte umano assume un significato indubbiamente diverso.

    Il mondo di H. Sapiens, però, negli ultimi decenni si sta facendo ancor più frenetico e anche la Geologia, volente o nolente sembra dovervisi adeguare, perdendo di flemma (talvolta ahimé di autorevolezza), entrando con tutto il suo peso nei tempi della Storia, financo a quelli della Cronaca.

    Le sempre più frequenti sciagure climatiche richiedono nodelli previsionali traguardati al decennio o giù di lì ed ai Geologi si chiedono spesso spiegazioni pressoché immediate degli accadimenti, questo porta ad un aumento sempre più marcato della risoluzione delle analisi sul record geologico per reperire elementi utili ai modelli previsionali sugli scenari futuri e corrispondenze con i fenomeni attuali (e se il supporto dei dati tratti dallo studio del libro della Terra non è adeguato, gli sfondoni clamorosi sono dietro l’angolo).

    Oggi come non mai la fortuna di uno Stato o di un Governo può dipendere dalla disponibilità di risorse (che siano per la green o per la grey economy cambia poco), dalla capacità di gestirle e di controllarne di ulteriori o dalla vulnerabilità ad essere soggetto a eventi calamitosi/catastrofici di varia tipologia e dalla resilienza agli stessi.

    Le politiche ambientali sono, però, per definizione politiche di medio lungo termine – ovviamente sempre a scala Sapiens – richiedendo scelte di tipo strutturale che dovrebbero nascere da un robusto supporto di conoscenze tecnico scientifiche, verificabili, e dovrebbero essere accompagnate da modelli previsionali e di monitoraggio in itinere, al fine di adeguare i processi mano a mano che i modelli si affinano.

    Questo non si sposa, però, dobbiamo dirlo, benissimo con la Democrazia, avendo questa nell’alternanza dei governi una sua peculiarità fondamentale e, direi, imprescindibile.  Diviene pertanto essenziale che su tutta una serie di questioni, in particolare, per quanto riguarda l’oggetto di questo sproloquio, le questioni ambientali ed in generale quelle a carattere tecnico-scientifico vi siano delle condivisioni di base e soprattutto approcci non discontinui e ideologici.

    La Democrazia odierna ci mostra, invece, che così non è, ed anzi è un problema. Posizioni dogmatiche, demagogiche, financo francamenteirrazionali tendono ad avere ampio consenso, generando anche rappresentanzapolitica e di governo. Il caso, ovviamente, più rappresentativo al momento è quello di Trump e del suo governo, ove vi sono le posizioni antiscientifiche più perniciose non mancano e ove vi è quella geniale contraddizione vivente di Munsk, straordinario innovatore da un lato, terribile dogmatico su altri. Sicuramente la nuova presidenza Trump non potrà non avere ripercussioni pesantisulla questione climatica, ma anche sulle questioni agrotecniche, energetiche e mediche in un mix di avventurismo e negazionismo.

    Se aggiungiamo che comunque su posizioni simili, magari in modo meno parossistico e più sottotono vi sono i governi di molti paesi democratici, più o meno, e francamente NON democratici non c’è da essere sereni rispetto alle grandi questioni ambientali del nostro tempo.

    Bisogna, però, riflettere profondamente sul perché dalla società nel suo complesso questi temi non sono adeguatamente percepiti e condivisi, anzi, sono spesso invisi e oggetto di strumentalizzazione di parte. Sicuramente, e non è complottismo, vi è la mano di grandi portatori di interessi economici che produce questo effetto attraverso – purtroppo efficaci – campagne mirate di propaganda più o meno complesse e talvolta di vera e propria disinformazione, ma non solo. C’è oggettivamente una sorta di egoismo sociale di fondo che fa sì che siamo profondamente restii, se non ostili, a mettere in discussione la sostenibilità del nostro attuale modello di sviluppo, perché significherebbe rinunce più o meno immediate per benefici relativamente lontani nel nostro orizzonte temporale (ma non in quello della prossima generazione per esempio) e questo, tornando alle considerazioni sulla democrazia, non genera consenso elettorale, tutt’altro. C’è anche da dire, invero, che una qualche – anzi più di qualche – “mea culpa” lo dovrebbero fare diversi soggetti del mondo ambientalista, in fondo se alla causa ambientale, spesso si è rivolta più ostilità che supporto, qualche riflessione sul proprio operato sarebbe più che opportuna.

    Infatti, un approccio altrettanto dogmatico e fondamentalista, anche nei modi a volte, ha portato a decisioni altrettanto irrazionali e non adeguatamente ponderate con effetti negativi sull’ambiente, o comunque non positivi, e controproducenti sul piano economico, con ricadute spesso sulle fasce deboli della società. Questo è particolarmente evidente in UE, dove non avremo magari le parossistiche espressioni trumpiane, ma su temi quali l’energia (la questione del nucleare, piuttosto che l’approccio sul gas…) o l’agrotecnica (la questione OGM su tutte), l’auto elettrica l'assunzione di posizioni poco pragmatiche ha portato alla sofferenza di importanti fette di economia e con esse di società, senza che vi fosse sufficiente sensibilità e prontezza verso il disagio e la marginalizzazione di queste, redendole estremamente vulnerabili alle sirene demagogiche populiste e più o meno antiscientifiche. Stendiamo un velo pietoso sulla questione nel nostro paese.

    Il così detto “ecosocialismo” così come coniugato fino ad oggi in UE è stato un mezzo fiasco, visto che si è perso le masse per strada. I movimenti che vogliono, giustamente, un progresso sostenibile hanno un grande lavoro da fare adesso, che è quello di ricreare un ampio consenso trasversale su tali questioni, supportando la comunicazione e l’informazione scientifica attraverso una divulgazione onesta, trasparente, accessibile e partecipata, denunciando le scelte e posizioni non basate su criteri razionali, non assecondando le emotività del momento e nemmeno tentando di cavalcarle e senza nessun ammiccamento a posizioni preconcette o ideologiche. L'Europa deve continuare ad essere coraggiosamente alfiere della battaglia dello sviluppo sostenibile, ma deve essere più concreta nel farlo.

    Dare oggi dell’orco a Trump e dei buzzurri ai suoi elettori, e fare altrettanto coi populisti nostrani, non solo non serve, ma è, anzi deleterio. Si deve opporre il ragionamento, si deve smontare l’emotività, si deve rivolgersi alla testa delle masse e si deve riportarle alla partecipazione alla vita pubblica. L’affermarsi di posizioni come quelle del Tycoon d’oltreoceano, di Orban qui in UE o di altri sovranisti vari, si deve anche alla disaffezione popolare alla partecipazione democratica, fenomeno che oltre a produrre gli effetti che già vediamo indebolisce progressivamente la democrazia stessa, facendola diventare gradualmente qualcos’altro di tutt’altro che desiderabile. E anche questo non sta avvenendo in “tempi geologici”.

 

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