giovedì 29 giugno 2023

Nemmeno l'Alluvione lava la testa ai somari.

C'è un antico proverbio che dice "a lavare la testa all'Asino, si perde tempo, acqua e sapone". Esiste anche una variante che aggiunge "e si infastidisce la bestia". Un modo per dire che per quante argomentazioni buone si abbiano, ogni discussione è inutile con gli ostinati nel pregiudizio, alla fine se ne ricava sangue amaro o liti. Mi è venuto in mente ascoltando taluni dibattiti o leggendo alcuni articoli all'indomani della terribile alluvione emiliana.

Non saprei come altro commentare altrimenti talune uscite. In primis è ampiamente criticabile la strumentalizzazione politica del post alluvione, che si traduce in farraginosità delle azioni di intervento post evento, basti pensare alla lunghissima gestazione per la nomina di una struttura commissariale, quanto mai necessaria, ma preda dei veti e controveti delle varie forze politiche, e l'organizzazione dei soccorsi e delle riparazioni. Il Governo in carica fatica a collaborare con le istituzioni locali di colore diverso dal suo. Vi è poi la stigmatizzazione del "modello emiliano" circa la gestione del territorio, come se altrove, da nord a sud, da un colore all'altro, si sia fatto di meglio, come se l'antropizzazione bulimica degli spazi non fosse bipartisan.

Altra insensatezza, figlia anch'essa dello scontro ideologico preconcetto, della logica di fazione e di una pervicace assenza di conoscenze di base, è la contrapposizione manichea tra chi ritiene il disastro figlio del cambiamento climatico e chi del consumo di suolo. Ciascuno argomentando a modo suo. 

Come se le due cose non fossero entrambe manifestazioni esteriori del medesimo modello di sviluppo divoratore e insostenibile. In ambo i casi le risposte sono ideologiche, non razionali e controproducenti.

Il problema è, infatti, che questo tipo di dibattito e le campagne ambientaliste per un Transizione Ecologica "hard", fatte a suon di misure draconiane, alla fine paiono favorire proprio il pensiero avverso al ripensamento del nostro modello socio economico.

E' evidente che politiche di transizione energetica, basate su inni alla catastrofe che impongono misure onerosissime, pesanti, in lassi di tempi ristretti e rifiutando determinati supporti tecnologici, senza adeguata contezza delle ricadute sociali che esse hanno, generano fortissimi malumori proprio nelle fasce più deboli.

Face deboli della società che spesso vivono sia in ambiti urbanizzati degradati, soffrono gli effetti del cambiamento climatico e si ritrovano a pagare il dazio di sopportare taluni effetti delle misure di transizioni ecologica, qui la propaganda delle destre clima-negazioniste  ed antiambientaliste attecchisce molto; questo porta la questione ambientale a diventare socialmente invisa e a tirare la voltata proprio ai movimenti no euro e "no Greta" per semplificare.

Si rischia che l'UE che uscirà dalle europee 2024 sia a maggioranza euro-tiepida e sostanzialmente molto poco green friendly, il che significherebbe un sostanziale arretramento sia nel campo dell'integrazione europea che nel processo di trasformazione verso un modello socio-economico più sostenibile. Un trionfo.

Lo sviluppo urbano ha portato all'impermeabilizzazione di ampi porzioni di suolo, alterato la rete idrografica, acuendo fenomeni di dissesto ed il rischio idraulico, non che favorito la creazione negli ambiti urbani di microclimi insalubri; il cambiamento climatico - reso più repentino dall'alterazione antropica della composizione atmosferica - comporta l'estremizzazione dei fenomeni metereologici ed un cambiamento profondo nei regimi pluviali. Il mix di questi fattori in una situazione di oggettiva lentezza ed incertezza nella messa in atto di misure per l'adattamento climatico e la riduzione dell'impatto antropico, porta a effetti catastrofici.

Bisogna riguadagnare le masse alla causa ambientale, ma non si può farlo con la retorica, l'ideologia, l'estremizzazione delle misure. Serve dialogo, informazione, attenzione alle dinamiche territoriali, grande pragmatismo, capacità tecnologica, coinvolgimento del mondo produttivo, fortissima attenzione ai ceti deboli. Rigore scientifico. 

Se si pensa di fare la svolta ambientale con la propaganda, sarà solo la Reazione a trarne vantaggio. E tutti noi a perdere.


lunedì 5 giugno 2023

Schizofrenia Geologica


Non saprei, onestamente, e prego di non volermene, davvero, come altro definire il Consiglio Nazionale dei Geologi, viste le sue ultime dichiarazioni se non Schizofrenico. Certo l'organo è borghese e reazionario, ma formalmente è pur sempre la voce dei Geologi in Italia, per cui, sebbene per me sia come ascoltare la voce del Vaticano,  quando, per bocca del Presidente fa certe affermazioni, non posso non sentirmene coinvolto. 

Come può essere che a distanza di pochi giorni si riesca a fare importanti affermazioni circa il dissesto del territorio e ai rischi indotti dall'artificializzazione spinta in talune aree, quali cause predisponenti a eventi calamitosi, che mixate con gli effetti del progressivo mutare dei trend delle precipitazioni, porta a esiti disastrosi come quelli recenti in Emilia Romagna, richiamando la necessità di un radicale cambio di rapporto con il territorio, anche attraverso la sua deartificializzazione laddove possibile e di poco appresso si vada, cinguettando con uno dei ministri alle infrastrutture, meno idonei al ruolo della storia repubblicana, discettando sulla volontà di voler dare ampia disponibilità nel processo che porterà alla realizzazione di un'opera estremamente impattante come il Ponte sullo Stretto di Messina? Il problema del Ponte non è tanto la questione sismica, non ho dubbi che ingegneristicamente la cosa sia fattibile, quanto l'artificializzazione di territorio che sarà necessaria per l'opera. I piloni si mangeranno ettari di aree oggi sgombre e la viabilità connessa segnerà un'ulteriore pesante impermeabilizzazione. in due regioni che si trovano ad avere fenomeni di dissesto pesanti, gestione idrica e ambientale in seria difficoltà, siti inquinanti ben lontani dalla bonifica ed interessate da processi incipienti di desertificazione. Per non parlare di una serie ormai cronica di criticità socio economiche. 

Orbene, davvero crediamo che i fondi che il ponte assorbirà non potrebbero trovare più proficuo ed efficace impiego? Davvero ci serve il Ponte per reclamare un ulteriore successo di un modello di sviluppo che fa delle infrastrutture spesso delle armi di distrazione di massa, anziché elementi di sviluppo sostenibile?  Queste sarebbero Sentinelle del Territorio? Mi sembrano più i secondini.

I Geologi vogliono davvero essere parte di ciò? Crediamo che dia autorevolezza stare "nella stanza dei bottoni" da commensali? Oppure crediamo al cambio di paradigma nel rapporto col territorio? Da quale parte stiamo? 

Forse è meglio se andiamo a farci vedere da uno bravo.