lunedì 11 novembre 2013

memorie d'ecomondo 2013

Anche quest'anno, sebbene un po' "obtorto collo" sono stato ad ECOMONDO a Rimini, la fiera annuale della così detta green economy.  Da un punto di vista tecnologico non ho visto grandi innovazioni tra gli espositori, sono convinto che, per vedere qualcosa di nuovo del settore, uno debba recarsi ogni 2-3 anni, si apprezza meglio la spinta innovatrice dell'ambito. Ho, però, partecipato a un interessante incontro promosso da FEDERAMBIENTE, sul confronto tra varie realtà italiche operanti nel settore del riciclo. E alcune riflessioni mi sono sorte. Da italiani, quando parliamo di gestione rifiuti, tendiamo ad assimilarci più al terzo mondo che ai paesi europei. Visti sempre come cime nel settore. Cosa che in parte e vera, però, in tal maniera buttiamo alle ortiche buona parte degli sforzi fatti. Infatti, dobbiamo rilevare che:
- nel riciclo di talune filiere di materiale (carta, metalli, olii per esempio) siamo sempre trai primi tre riciclatori europei;
- buona parte della tecnologia del settore recupero materia, è di aziende italiane (magari ahimè la impiegano all'estero, più che in patria);
- quando computiamo il riciclato, nel resto del vecchio continente considerano anche inerti etc etc "drogando" di fatto le loro prestazioni. E considerano anche quello che "bruciano", soprattutto se bruciato "tal quale".
 
Il quadro italico non è perciò così fosco, certo la china è ancora lunga da risalire, ricorriamo ancora, per quasi il 50% alla discarica, valutiamo le raccolte differenziate ancora essenzialmente a "peso" senza badare troppo alla qualità (se raccogli il 90% sei un grande, ma se poi si scopre che in quel 90% c'è un 20-30% di impurità?), spesso si fanno dei "porta a porta" spinti per che è la panacea di tutti i mali, ma poi per contenere i costi di servizio, si compatta  a tutta manetta riducendo drasticamente le percentuali dell'effettivo recuperato, insomma ci sono ancora dei falsi miti che vanno sfatati, poiché impediscono al paese il salto di qualità. E qualche norma da rivedere, poiché in nome della tutela ambientale spesso si sono partorite norme controproducenti. Oltre che un quadro normativo in continuo cambiamento, il che rende ardua una programmazione seria.
 
E' chiara la necessità di dare una prospettiva industriale alla gestione dei rifiuti, trasformandoli davvero in risorsa, che consenta di rendere semplice e efficace la raccolta al cittadino, ottimizzi i costi del servizio e ottimizzi il recupero e questo si fa solo con impianti, ossia con un vero apparato industriale, i rifiuti vanno visti, ne più ne meno, come sostanziali risorse, non a caso si inizia a parlare di miniere urbane, riferendosi alla produzione di rifiuti delle città. Ma va anche valorizzato il lavoro di chi davvero recupera ed evita la discarica, un modello va valutato nel suo complesso, con sistemi premianti per chi tratta il materiale e penalizzanti per chi ricorre alla discarica come primo sistema di gestione dei rifiuti (se si può definirla gestione). E va considerata la problematicità che i trattatori di rifiuti oggi hanno relativamente alla qualità, i riutilizzatori finali pretendono che il materiale da recupero abbia le stesse caratteristiche delle materie prime e, perciò, le raccolte differenziate vanno valutate con un parametro più complesso di quello oggi in uso, la normativa deve favorire l'innovazione tecnica del settore (certo tutelando la trasparenza e la tracciabilità - punto d'orgoglio, un certo Gruppo Veritas ha presentato a Rimini, il suo progetto sulla tracciabilità di filiera del vetro e di altri materiali), l'impiantistica necessaria non va demonizzata, anzi e non si possono permettere cali della guardia da parte delle istituzioni. In tal senso il nuovo accordo ANCI-CONAI, valevole per il prossimo triennio, deve avere lo scopo di incentivare le raccolte di qualità, favorire la nascita di un sistema industriale dove non presente e il suo rafforzamento dove c'è già, e non quello di favorire burocrazie consortili o mercati falsati, cosa che produrrebbe come unico risultato, non un aumento di recupero, ma solo di costi ambientali ed economici per la collettività.

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