martedì 16 gennaio 2018

foraminiferi e metalli pesanti

I foraminiferi sono uno straordinario gruppo di eucarioti. Per più di uno studioso rappresentano l'apice dell'evoluzione delle forme unicellulari. Quando mi dedicavo, in anni universitari, agli studi di micropaleontologia, ricordo bene la domanda frequente di colleghi di altri indirizzi geologici (petrografi maledetti, idrogeologi spocchiosi etc) non che di qualche esterno cui spiegavo la mia Tesi di laurea: "ma a che cosa servono ste bestioline morte?" Vagli tu a spiegare con pazienza, resistendo all'impulso di spaccargli il microscopio in testa, che hanno una importante valenza nel record geologico, sono utilizzati in biostratigrafia, ricostruzioni paleoambientali, paleoecologiche, paleoclimatiche e ricostruzioni stratigrafiche. sia le forme bentoniche e che planctoniche producono gusci dalle forme disparate e di straordinaria bellezza. Con i nummulites, raggiungono dimensioni davvero impressionanti, ci sono forme con gusci di dimensioni centimetriche, tanto da costituire vere e proprie "barriere coralline" nell'Eocene (si veda scala del tempo geologico a lato nella pagina). Sono fondamentali nella ricerca petrolifera, poiché consentono di individuare le aree più promettenti per fare prospezione, memorabile resta il tomo "Foraminiferi Padani" redatto da ENI. Era tempo perso. Ma il tempo, i geologi ben lo sanno, è galantuomo.
Ormai, infatti, si è consolidata anche un'altra applicazione del loro studio. Si sono rivelati utilissimi bio-indicatori per la presenza di particolari inquinanti negli ecosistemi acquatici, in particolare le forme bentoniche. In vari studi su faune viventi si è osservato come  in presenza di determinate tipologie di contaminazione, forse per protezione, sviluppino inspessimenti o sovrastrutture nel guscio.
Un recente studio di Frontalini et alii (1), pubblicato su Marine Micropaleontology, conferma ulteriori aspetti, legati agli effetti di un eccesso nella presenza di metalli pesanti -  in particolare, correlati a contaminazioni di Zinco, Mercurio e Piombo su faune bentoniche - quali danneggiamenti a livello cellulare, con forme di degrado a livello di citoplasma e di organelli vari, oltre che appunto irregolarità nel guscio. Si sono simulate diverse situazioni di esposizione, testando due generi di foraminiferi: l'Ammonia parkinsoniana, già oggetto di diversi studi come bioindicatore, per esempio degli effetti del Pb - Frontalini et alii (2), e Pseudotriloculina rotunda, rilevando come a vari livelli di contaminazione corrispondano varie forme di danneggiamento cellualre, fino al caso massimo di morte della cellula.
Ciò permette di poter utilizzare i foraminiferi bentonici come indici biologici, sia per rilevare la presenza di contaminazioni da metalli pesanti, sia per stabilire quanto queste siano prolungate e valutare quale sia il grado di degrado dell'ecosistema, sia  come indice per verficare l'efficacia degli interventi di biorisanamento. Su questi c'è da dire che vi è una corposa letteratura ormai, e un importante ruolo di ricercatori italiani.
Inoltre, avvalendosi del principio dell'attualismo di Hutton, imparando a correlare le aberrazioni dei gusci ai fenomeni di contaminazione, analizzando il record fossile si può arrivare a riconoscere fenomeni di "inquinamento" del passato, che in questo caso non avranno origine antropica, ma diversa. E questo può servire per prevedere gli effetti che un evento di contaminazione può avere su un ecosistema attuale.
Ecco un caso evidente di applicazione pratica della micropaleontologia. Alla faccia di chi me lo chiedeva.

riferimento
(1) Benthic foraminiferal ultrastructural alteration induced by heavy metals,  Frontalini F., Nardelli M.P., Curzi D., Martín González A., Sabbatini A., Negri A., Losada M.T., Gobbi P., Coccioni R., Bernhard J.M, Marine Micropaleontology, Volume 138, January 2018, Pages 83-89
(2)  Effects of lead pollution on Ammonia parkinsoniana (foraminifera): ultrastructural and microanalytical approaches,  F. Frontalini, D. Curzi, F.M. Giordano, J.M. Bernhard, E. Falcieri, R. Coccioni, European Journal of Histochemistry 2015; volume 59:2460

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