Sul blog dell'Università di Berkeley, è stato pubblicato un interessante post dal titolo: "Il record fossile, può aiutare a indirizzare la conservazione in un mondo che cambia?" L'autore è Robert Sanders, dell'ufficio comunicazione dell'Università. L'articolo, di cui sotto riporto traduzione, raccoglie gli esiti di un workshop che ha portato alla nascita di un gruppo di lavoro internazionale che si pone l'obbiettivo di tradurre in indicazioni concrete spendibili per la conservazione degli ecosistemi attuali, o meglio per la loro preservazione in salute, intesa in particolare, come capacità di reagire al cambiamento climatico e alla presenza antropica, partendo dal record fossile, ossia dalla ricostruzione degli ecosistemi del passato. Capire come si evolvono gli ecosistemi e come reagiscono a determinati fattori e cosa scatena un determinato evento su un ecosistema, non è facile basandosi solo su modelli matematici e sull'osservazione dell'attuale, ma potendo conoscere nel tempo la storia dei paleoambienti si possono trarre elementi indubbiamente utili, se adeguatamente ricostruiti. A mio avviso l'articolo è interessante sopratutto per l'approccio allo studio paleontologico, che non è più un elemento fine a se stesso, una sorta di contemplazione della complessità della vita sulla Terra, ma un elemento concreto e utile nella preservazione del medesimo. All'Università una delle domande che venivano poste più spesso a noi dell'indirizzo Paleontologico era "ma a che c... serve la Paleontologia" e noi a cercar giustificazione più che dar risposte (poi uscì Jurassic Park e nessuno più fiatò...) ecco, con questo approccio credo si cambi anche il modo d'intendere la Paleontologia. Cosa che in Italia almeno male non farebbe.
La traduzione è mia per cui può avere tutti i limiti del caso.
La traduzione è mia per cui può avere tutti i limiti del caso.
Gli
scienziati stanno unendo avvocati, politici e scrittori per sollecitare la preservazione, non solo per salvare le specie, ma anche per
preservare una gamma diversificata di strutture degli ecosistemi e delle
funzioni di fronte alla crescita della popolazione (umana) e cambiamento climato. Questo potrebbe significare anche accettale la scomparsa di alcune specie da
alcune zone se ciò significa (ottenere) un ambiente più resiliente, ossia, in grado di reagire meglio a temperature in aumento e perdita di habitat.
Fondamentale per valutare la salute degli ecosistemi in rapida evoluzione di oggi è capire la loro storia, che può essere conosciuta solo dai reperti fossili, o dalla paleobiologia della regione, come sostengono gli scienziati."In passato, biologia della conservazione cercava di tenere tutto statico, per salvare tutto solo così come è, come si trattasse di una collezione museale di specie", ha detto l'autore senior Anthony Barnosky, professore emerito di biologia integrata presso la UC Berkeleye che ora è direttore esecutivo dello Stanford University Jasper Ridge Biological Preserve. "Ma stiamo cambiando il pianeta così tanto che non ci si può aspettare di mantenere le vecchie norme. Già oggi ci sono nuovi contesti, e in futuro ci saranno ulteriori contesti nuovi. Quindi la domanda è: come facciamo biologia della conservazione in quello scenario di cambiamenti così rapidi "?La risposta sta nel ripensare le modalità di gestione degli ecosistemi, sia uno selvaggio come il Parco Nazionale di Yellowstone o un campo di fragole, per promuovere il cambiamento sano nel corso del tempo."Stiamo sostenendo in questo lavoro che dobbiamo preservare la capacità di rispondere ai cambiamenti in un modo che mantenga l'ecosistema sano, che probabilmente comporterà vedere specie che vanno e vengono, osservando cambiare le combinazioni delle specie, e in qualsiasi luogo, ciò che noi consideriamo come un ecosistema tipico oggi, non sarà necessariamente lo stesso tra 20 o 30 anni ", ha detto Barnosky.Queste considerazioni provengono da un workshop che ha coinvolto 41 studiosi provenienti da tutto il mondo riunito presso la UC Berkeley da un gruppo internazionale di collaboratori nel mese di settembre 2015 per discutere il futuro della conservazione. Il gruppo, che comprendeva ecologi, biologi della conservazione, paleobiologi, geologi, avvocati, politici e scrittori, ha pubblicato le sue conclusioni in uno studio che appare nel numero del 10 febbraio della rivista Science."Avere collaboratori provenienti da parti in via di sviluppo del mondo, ci ha aiutato a concretizzare le nostre idee", ha detto Elizabeth Hadly, professoressa di biologia alla Stanford University e co-autrice dello studio. "Le nostre idee sono ben motivate nel campo della scienza, ma devono tener conto delle realtà che quotidianamente sperimentano le personoe che vivono in questi territori."
Fondamentale per valutare la salute degli ecosistemi in rapida evoluzione di oggi è capire la loro storia, che può essere conosciuta solo dai reperti fossili, o dalla paleobiologia della regione, come sostengono gli scienziati."In passato, biologia della conservazione cercava di tenere tutto statico, per salvare tutto solo così come è, come si trattasse di una collezione museale di specie", ha detto l'autore senior Anthony Barnosky, professore emerito di biologia integrata presso la UC Berkeleye che ora è direttore esecutivo dello Stanford University Jasper Ridge Biological Preserve. "Ma stiamo cambiando il pianeta così tanto che non ci si può aspettare di mantenere le vecchie norme. Già oggi ci sono nuovi contesti, e in futuro ci saranno ulteriori contesti nuovi. Quindi la domanda è: come facciamo biologia della conservazione in quello scenario di cambiamenti così rapidi "?La risposta sta nel ripensare le modalità di gestione degli ecosistemi, sia uno selvaggio come il Parco Nazionale di Yellowstone o un campo di fragole, per promuovere il cambiamento sano nel corso del tempo."Stiamo sostenendo in questo lavoro che dobbiamo preservare la capacità di rispondere ai cambiamenti in un modo che mantenga l'ecosistema sano, che probabilmente comporterà vedere specie che vanno e vengono, osservando cambiare le combinazioni delle specie, e in qualsiasi luogo, ciò che noi consideriamo come un ecosistema tipico oggi, non sarà necessariamente lo stesso tra 20 o 30 anni ", ha detto Barnosky.Queste considerazioni provengono da un workshop che ha coinvolto 41 studiosi provenienti da tutto il mondo riunito presso la UC Berkeley da un gruppo internazionale di collaboratori nel mese di settembre 2015 per discutere il futuro della conservazione. Il gruppo, che comprendeva ecologi, biologi della conservazione, paleobiologi, geologi, avvocati, politici e scrittori, ha pubblicato le sue conclusioni in uno studio che appare nel numero del 10 febbraio della rivista Science."Avere collaboratori provenienti da parti in via di sviluppo del mondo, ci ha aiutato a concretizzare le nostre idee", ha detto Elizabeth Hadly, professoressa di biologia alla Stanford University e co-autrice dello studio. "Le nostre idee sono ben motivate nel campo della scienza, ma devono tener conto delle realtà che quotidianamente sperimentano le personoe che vivono in questi territori."
La Preservazione è come la conservazione degli esemplari da museo?Barnosky ha osservato che i biologi della conservazione si sono divisi tra chi vuole mettere a fuoco la preservazione degli ecosistemi come
aree naturali-incontaminate, escludendo gli esseri umani, e coloro che vogliono
manipolare ciò che essi chiamano "nuovi ecosistemi", che derivano da
attività umane.Il gruppo del workshop ha convenuto che sono necessarie entrambe le prospettive. Storicamente ecosistemi intatti, come alcune parti dell'Amazzonia,
potrebbero essere gestite massimizzanso contemporaneamente
biodiversità, una rete alimentare equilibrata e servizi degli ecosistemi, come lo stoccaggio di carbonio o la depurazione dell'acqua, per tutto il
tempo mantenendo una sensazione di selvaggio.Altri ecosistemi, come i campi agricoli, potrebbero essere gestiti per
massimizzare la produttività, senza distruggere la biodiversità che li
circonda, come spesso accade con le monocolture di mais, grano o soia."Facciamo
affidamento sulla natura per quasi tutto: acqua pulita, cibo, materiali
per la costruzione e produzion dei computer e telefoni", ha detto il
co-autore Allison Stegner, un ex studente laureato dell'Università di
Berkeley che ora è un socio di ricerca post-dottorato presso
l'Università di Wisconsin- Madison. "Il ritmo del cambiamento globale di oggi è così veloce che ci troviamo a perdere tutte quelle cose da cui dipendiamo. Trovare nuovi approcci alla conservazione (ambientale) è essenziale per mantenere la vita umana. "Che
si tratti di ecosistemi storicamente intatti o nuovi - il 47 per cento
del territorio libero dai ghiacci della Terra è stato alterato dagli
esseri umani - gli scienziati hanno bisogno di ricostruire la paleobiologia della regione, vale a dire, capire com'era l'ecosistema prima che gli esseri umani lo modificassero, e cercandoo di riportarlo in una certa misura verso quel equilibrio naturale, spiefa Barnosky.In molti casi, questo può comportare il tentativo di conservare un membro
della comunità (ecologica) che svolge un ruolo cruciale, come un carnivoro superiore,
anche se le specie svolge quel particolare ruolo può variare nel tempo."Una
delle cose su cui stiamo discutendo è, decidiamo ciò che stiamo cercando
di preservare e poi utilizziamo il record paleobiologico per dirvi come
preservarla. I reperti fossili stanno diventando fondamentali nel guidare la natura nel futuro ", continua Barnosky.Per
i nuovi ecosistemi, il record paleobiologico è essenziale perché
potremmo dover ricostruire artificialmente un ecosistema sano, il che
significa conoscere ruoli di ogni specie, e quindi, ci dobbiamo assicurare di avere il giusto numero di grandi mammiferi, per
esempio, o il giusto equilibrio tra carnivori e erbivori."Bisogna conoscere i pezzi, i ruoli funzionali e come mettere insieme
le specie per fare un ecosistema che è destinato a durare e mantenere se
stesso e rimanere in buona salute", ha detto Barnosky."Siamo
di fronte enormi sfide per conservare la natura e soddisfare le
esigenze degli esseri umani nel 21° secolo, a fronte della crescita
della popolazione e del drammatico cambiamento ambientale", ha detto il co-autore David Ackerly, professore di biologia integrata dell'UC
Berkeley.
"I reperti fossili forniscono intuizioni uniche sul modo in cui gli ecosistemi cambiano in risposta al clima. Questa prospettiva è davvero preziosa per equilibare i diversi
obiettivi di conservazione, e sviluppare approcci e obiettivi in grado
di adattarsi al cambiamento imprevisto nel futuro. "
Nell'articolo trovate poi l'elenco completo dei partecipanti e finanziatori del Workshop.
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