lunedì 31 agosto 2015

Geologia Agraria chi è costei?

Tra le branche poco note della Geologia, almeno in Italia, merita sicuramente un accenno la Geologia Agraria. Di corsi universitari me ne risulta solo uno, a Udine, il cui programma sembra più da Geologia Generale per Agrari, mentre i testi sono rari, ve n'é uno del 1905 del Vinassa de Regny, e uno degli anni '90 del Geologo Scaglioni, ormai esauriti. Qui sopra trovate un estratto della monumentale opera "Geologia Applicata all'Ingegneria" (oltre 1000 pagine) del mitico Ardito Desio, in cui vi è, ad avviso di chi scrive, una precisa definizione di cosa sia questa materia. L'attività agricola ha ovvie interconnessione con elementi geologici:
- il suolo, indispensabile per l'attività, un'agricoltura che non sia attenta alla risorsa suolo, può inevitabilmente depauperarla, favorendo l'erosione o la contaminazione da nitrati e solfati, o precessi di calcinazione, oppure altri inquinamenti derivati dall'uso di agrofarmaci.
- l'acqua, l'agricoltura e l'agrozootecnia sono tra i principali attori nel consumo di questa risorsa, che se ne va sia per irrigazione, che per processi di contaminazione, come quelli sopra elencati, la scelta di una coltura rispetto a un'altra non è secondaria, poiché per esempio le rese e le necessità idriche variano non poco.
- il paesaggio e l'irregimazione delle acque, l'agricoltura è legata anche a riassetti del territorio, con bonfiche e irregimazioni, che se non governati adeguatamente posso portare a incrementi del rischio idraulico e del dissesto idrogeologico, con riduzione degli alvei o interferenze con le dinamiche di falda.
Basti pensare che a livello mondiale l'agricoltura è responsabile del 70% del consumo di acqua dolce disponibile (dato destinato a crescere - la FAO stima che il fabbisogno dei paese emergenti crescerà del 20% entro il 2030) e che il 40% dell'inquinamento delle riserve idriche deriva dall'attività agrotecniche. E vi è un ovvio impatto col clima, in termini di emissione di C02, si pensi che 14,5% (FAO 2013) del totale annuo da attività umane, deriva dalle attività agro e zootecniche. L'agricoltura è fondamentale per il sostentamento della popolazione e, quindi, i suoi impatti e la sua efficienza pesano non poco nella sostenibilità o meno della presenza umana sul pianeta. Per cui quali strategie, quali politiche, quali soluzioni tecniche segua l'economia agricola sono aspetti di primaria importanza in un ottica di sviluppo ecosostenibile.
Molti sono i Geologi che operano in questi ambiti, e per lo più sono tutti autodidatti, fondendo le proprie nozioni di Geologia con conoscenze Agrarie e Forestali, in questo senso un agrario o forestale è avvantaggiato, poiché nei loro percorsi di studio trovano possibilità di frequentare corsi in ambito geologico, cosa che non avviene nel senso opposto per uno studente di Scienze Geologiche, mentre la possibilità sarebbe utile e fruttuosa, specie per chi, poi, si trovi a operare in regioni a forte vocazione agricola, come il Veneto da cui si sta scrivendo e più in generale il nordest. Insomma, magari rivedere un po' i piani di studio...
(i dati citati provengono da "CIBO - La Sfida Globale, P. De Castro, Donzelli Editore, 2015)

giovedì 20 agosto 2015

Scorie di Civiltà

Avrebbe dovuto uscire il 20 agosto la  Carta delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) ad ospitare il Deposito Nazionale per rifiuti radioattivi e Parco Tecnologico, rispettando i tempi previsti dal D.Lgs. 31/2010, ossia entro 7 mesi dalla pubblicazione della Guida Tecnica n. 29 di ISPRA, avvenuta il 4 giugno 2014. Dal sole 24 ore, apprendo che non sarà così.
Il 2 gennaio 2015 SOGIN, la Società pubblico-privata nata appositamente per la gestione dei rifiuti radioattivi in Italia,  ha consegnato ad ISPRA la proposta di CNAPI, successivamente, il 13 marzo ISPRA ha comunicato di aver consegnato al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e al Ministero dello Sviluppo Economico la sua relazione sulla proposta SOGIN. Il 16 aprile 2015 il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, hanno contestualmente chiesto degli approfondimenti tecnici a SOGIN e ISPRA sulla carta.
SOGIN ha fornito gli approfontimenti richiesti a ISPRA, che ha ripassato il tutto ai Ministeri, i quali entro il 20 agosto appunto avrebbero dovuto dare il nulla osta a SOGIN per la divulgazione della Carta. Nel mentre di questo ping pong, SOGIN, in collaborazione con gli Ordini dei Geologi del Piemonte, Lazio e Lombardia (Regioni che ospitano centrali nucleari dismesse e quindi potenziali candidati a ospitare il Deposito) ha iniziato dei momenti pubblici confronto sulla questione.
Il 21 luglio, i ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente sino  sono prodigati a chiarire che   “a fine agosto non sarà deciso il sito che ospiterà il deposito dei rifiuti nucleari. Il percorso che deve portare all’individuazione dell’area è molto più articolato, ma allo stesso tempo aperto e trasparente”.  Un mettere le mani avanti contro le inevitabili polemiche che sorgeranno appena la carta sarà resa pubblica, con inevitabili comitati, ambientalisti e politici pronti a cavalcare la tigre. Ma che cos'è il Deposito Nazionale e perché è un'opera strategica per questo paese?
Il Deposito Nazionale è un’infrastruttura ambientale di superficie dove mettere in totale sicurezza i rifiuti radioattivi. La sua realizzazione consentirà di completare il decommissioning degli impianti nucleari italiani e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli provenienti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca. Congiuntamente al Deposito sorgerà un Parco Tecnologico: un centro di ricerca sui rifiuti radioattivi e dello sviluppo sostenibile in accordo con il territorio interessato.
I rifiuti radioattivi derivano da molteplici attività indispensabili: la diagnostica e la terapia medica (per es. la radioimmunologia, la radioterapia), la ricerca scientifica, l’industria agroalimentare (per es. la sterilizzazione delle derrate per irraggiamento), i controlli di produzione industriale (per es. le radiografie di saldature). Questi rifiuti, per un tempo variabile da pochi istanti a milioni di anni, emettono radiazioni che possono avere effetti negativi sull’ambiente e sull’uomo, per effetto del “decadimento radioattivo” tali radiazioni scemano nel tempo.
In Italia, i rifiuti radioattivi sono classificati in tre categorie, secondo il grado di pericolosità radiologica:
  • I Categoria: rifiuti radioattivi la cui radioattività decade fino al livello del fondo naturale in tempi dell'ordine di mesi o al massimo di qualche anno. A questa categoria appartengono una parte dei rifiuti da impieghi medici o di ricerca scientifica;
  • II Categoria: rifiuti radioattivi a bassa/media attività o a vita breve, che perdono quasi completamente la loro radioattività in un tempo dell'ordine di qualche secolo;
  • III Categoria: rifiuti radioattivi ad alta attività o a vita lunga, per il decadimento dei quali sono necessari periodi molto più lunghi, da migliaia a centinaia di migliaia di anni.
La gestione di tali rifiuti è complessa, come quella di altri rifiuti potenzialmente pericolosi.
I rifiuti di I categoria vengono immagazzinati in condizioni controllate fino alla riduzione dei livelli di radioattività. Poi vengono gestiti come rifiuti convenzionali o speciali.
I rifiuti di II e III categoria vengono invece sottoposti al “condizionamento”, cioè a trattamenti chimici e fisici che li convertono in forma solida, stabile e duratura adatta per la manipolazione, il trasporto e infine lo smaltimento in depositi dedicati. Il rifiuto condizionato è, dunque, un manufatto costituito dal materiale radioattivo inglobato in un materiale inerte, generalmente cemento o vetro, posto in un contenitore esterno costituito da un fusto in acciaio
Lo smaltimento dei rifiuti radioattivi condizionati prevede la collocazione definitiva dei manufatti in un deposito, con l'intenzione di non recuperarli; il deposito deve garantire il completo isolamento dalla popolazione e dall'ambiente fino a quando la radioattività, per effetto del decadimento, non raggiunga valori paragonabili a quelli del fondo ambientale.
Nel caso dei rifiuti radioattivi di bassa/media attività, l'isolamento deve essere garantito per qualche secolo e quindi la soluzione di smaltimento più idonea è il deposito superficiale, protetto prevalentemente da barriere artificiali. I manufatti possono essere, ad esempio, immagazzinati all’interno di “moduli” prefabbricati in calcestruzzo armato, i quali sono poi stoccati in strutture scatolari, anch’esse in calcestruzzo armato, che vengono poi coperte ed interrate. Questo tipo di depositi è molto utilizzato e ne esistono ormai almeno un centinaio in tutto il mondo; i più moderni e avanzati si trovano in Francia, Spagna, Svezia, Giappone, Regno Unito, USA. E di questo parliamo quando ragioniamo sul Deposito Nazionale. Ovvio che i siti scelti devoono avere determinate caratteristiche e un certo grado si sicurezza in termini di rischi vari (sismico - alluvioni in particolare).
I rifiuti radioattivi di III categoria, ad alta attività o a lunga vita, mantengono invece livelli di radioattività significativi per decine e centinaia di migliaia di anni. Per l'isolamento di tali rifiuti non è possibile fare affidamento solo su barriere artificiali, ma ci si deve affidare a barriere naturali.  La Geologia è fondamentale. E' necessaria una forte conoscenza delle formazioni geologiche in profondità (600-800 metri e oltre) che presentino adeguate caratteristiche di stabilità e impermeabilità come, ad esempio, giacimenti di salgemma o formazioni argillose o di granito. L’unico esempio al mondo di deposito geologico operativo è il WIPP (Waste Isolation Pilot Plant), un deposito di smaltimento geologico in funzione negli USA dal marzo 1999, riservato ai rifiuti contenenti plutonio di produzione militare. Tutti i Paesi più progrediti nell’uso della tecnologia nucleare (Regno Unito, Francia, Germania, Giappone, Finlandia, Svezia, etc.) hanno in programma la realizzazione di un deposito geologico al massimo nel giro di qualche decennio. In Svezia è già stato selezionato il sito relativo. In ambito UE si discute sull'ipotesi di un sito comune, le principali resistenze sono legate alla reazione dell'opinione pubblica, ovvio che nessun popolo accetterebbe di buon grado di ospitare le scorie altrui, ma è pur vero che anziché pregiudicare più siti per i prossimi millenni, se si individuasse un sito unico e si eseguisse un trasparente percorso di socializzazione, bene avremmo fatto all'ambiente, alla razionalità e lode al popolo che si dimostrasse così maturo da accettare una tale scelta. Nell'UE, è l'avviso di chi scrive, qualche popolo lungimierante con la testa sulle spalle c'è. Oltre alla ricerca di siti di stoccaggio, si sta procedendo anche a individuare soluzioni che riducano i tempi di decadimento e i volumi di questi rifiuti, è il caso, come riporta il sito dell'ENEA. dei sistemi nucleari di IV generazione (GEN IV) che dovrebbero consentire di sfruttare il potenziale energetico di tali rifiuti e nel contempo di scomporli con processi particolari di combustione.
Perché è strategico il Deposito Nazionale per l'Italia? Come detto i paesi avanzati si sono dotati o si stanno dotando tutti di un tale sito, l'odierno inventario italiano redatto dall'ISPRA stima in circa 26.000 m3 i rifiuti di II categoria e 1.500 m3 di rifiuti di III categoria nel nostro paese. A questi quantitativi vanno aggiunti quelli che torneranno in Italia dopo il ritrattamento all’estero del combustibile esausto proveniente dagli impianti italiani (e sì oggi dobbiamo mandarli fuori, spendendo non poco), e quelli di II categoria previsti dalle attività di smantellamento degli impianti nucleari dismessi. La stima volumetrica per questi ultimi va da 30.000 a 65.000 m3.
Quindi, complessivamente, il futuro deposito nazionale definitivo superficiale dovrà avere una capacità dell’ordine di 100.000 m3 di rifiuti di II categoria (stimati in 75mila m3), per far fronte alla stoccaggio definitivo dei rifiuti radioattivi provenienti dai soli impianti dismessi. I rifiuti di III categoria (circa 15mila m3) vi saranno invece stoccati solo temporaneamente (50-100 anni) in attesa dello smaltimento geologico.
I rifiuti radioattivi gestiti nel deposito deriveranno per il 60% dallo smantellamento degli impianti nucleari, e per  40% dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro. Realizzare il deposito consentirà finalmente si sanare un'anomalia Italiana e di ridurre i rischi per l'ambiente, ad oggi in fatti sul tema la gestione è tutt'altro che in sicurezza e degna di un paese che vuole dirsi civile e avanzato. Quando la CNAPI sarà resa nota, speriamo che il Governo sappia essere davvero tale, è ovvio che i siti individuati insorgeranno, ma a mio avviso sarà un errore. Il Deposito può essere realizzato e gestito in sicurezza, può essere un occasione di installare un sito all'avanguardia che generi occupazione di alta qualità, permetterà di ridurre i costi per il sistema paese, con benefici per tutta la collettività, garantirà introiti extra ai territori ospitanti. sarà inoltre occasione di rilancio per la ricerca Geologica e ambientale più in generale. Certo si dovrà operare con velocità e controllo, affinché da eco-opprotunità divenga ecomostro mangia soldi pubblici e generatore di corrutele. Si dovrà realizzare come fossimo un paese serio. E sarà occasione per dimostrarci tali. L'alternativa altrimenti  fare come Homer Simpson nella vignetta.


domenica 9 agosto 2015

Specialmente rifiuti

Finalmente dopo un po' di tempo, rimprendiamo a parlare del magico mondo dei rifiuti (le venetissime scoasse). L'ISPRA ha presento la XV edizione del Rapporto Rifiuti Speciali - Edizione 2015, sul sito ISPRA, trovate tutta la documentazione, comprensiva di un nota di sintesi e del rapporto intero, il rapporto è aggiornato ai dati 2013. Devo dire che la prima cosa che mi ha colpito è che ad oggi non vi sia stata ancora una aperta discussione sul rapporto, fatti salvi 2 articoli, uno sul Sole24ore e uno su Avvenire. Ho visto abbastanza poco per il resto. Orbene, potrebbe passare il messaggio che questo sia il classico report annuale, che snocciola un po' di numeri e dice ben poco. A mio avviso, questa edizione del rapporto è particolarmente significativa. Rammentiamo che sono Speciali (art, 184 del D.Lgs 152/06 e ss.mm.ii.) i rifiuti che provengono da attività agricole e agro-industriali, attività da demolizione e costruzione non che scavo (fatto salvo quanto previsto per Terre e Rocce da Scavo), attività di lavorazione industriale, artigianale, commerciale, servizio e ovviamente recupero e smaltimento rifiuti e attività sanitarie. Come tutti, anche questi rifiuti possono essere pericolosi o meno, in base alle loro caratteristiche o al processo di produzione. Il fatto che questi rifiuti siano connessi all'attività produttiva, li fa diventare immediatamente un buon indicatore della situazione economica e del tasso di efficienza tecnologica dei processi produttivi. Ci pare utile sottolineare alcuni dati. Intanto il calo complessivo della produzione di questi rifiuti (-1,5% - pari a 2 milioni di tonnellate), che si spiega in larga parte per il calo della produzione di rifiuti inerti, in particolare dal settore edile, indubbio segno della crisi del settore, ma anche per il cambio di normativa sulle Terre e Rocce da Scavo, che finalmente ha permesso un maggior utilizzo dei materiali da scavo nei cantieri - ovviamente a patto di rispettare determinate condizioni - ciò è stato possibile rendendo un po' meno farraginosa la preesistente normativa. C'è da dolersi per il tempo che c'è voluto, che ha comportato l'insensato smaltimento di materiali che non erano rifiuti, occupando posto utile in discarica, con costi ambientali (inutili movimentazioni e trasporti) ed economici, sopportati dalle imprese e dalla collettività. Complessivamente si sono prodotte, nel 2013, 131,6 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, poco più del 4% pericolosi. A livello europeo è la Germani che produce il maggior quantitativo di rifiuti in ambo le tipologie, ma è anche il maggior trattatore. A livello UE ancora il 42,3% dei rifiuti va a discarica, l'Italia sta compiendo passi importanti per ridurre il conferimento, tant'è che si evidenzia una riduzione del 4,4%, significativo che centro e sud Italia abbiano fatto le prestazioni migliori, mentre al nord il dato sia in aumento. E' da capire se ciò sia connesso a un maggior ricorso allo smaltimento per gli inerti, data la scarsa richiesta di aggregati riciclati dal settore infrastrutture o alla volontà di andare rapidamente a completare l'iter di vita di talune discariche al fine di ottimizzarne i costi, finché le tariffe lo consentono. Il recupero a livello UE di rifiuti speciali - inteso come recupero materia e energetico - è del 45,7%,  è da dire che in diversi paesi il recupero è favorito dalle pratiche di "backfilling" ossia l'uso dei rifiuti speciali, specie da costruzione e demolizione, per sottofondi et similia, questo per la diversità delle norme tecniche. Qui sarebbe ora di norme europee comuni, poiché non si capisce perché se qualcosa che è usabile a sottofondo in Olanda, non lo possa essere, per esempio in Italia, creando significativi diseconomie in alcuni Stati rispetto ad altri. Tralasciamo poi il fatto che vi sono meno "pregiudizi" fuori dall'Italia, all'uso dei combustibili da rifiuti per la produzione energetica.  Il rapporto lamenta una certa difficoltà nel ricostruire i dati poiché molti dei soggetti produttori sono esenti dalla presentazione dei MUD (modello unico dichiarazione ambientale), tramite i quali si ricostruiscono le banche dati istituzionali, e fa un passaggio invocando un ritorno al mai partito SISTRI per gli speciali non pericolosi; orbene, per chi ha idea di cosa sia stato questo fiasco chiamato SISTRI, un tale auspicio è uno spauracchio, se si vuole tracciabilità e disponibilità dati, creiamo una forma di MUD semplificato, e non oneroso, anche per i soggetti oggi esenti, che comunque, tengono scritture ambientali e sono soggetti alle norme sui rifiuti. Calano, ovviamente, anche le esportazioni di rifiuto, anzi per gli speciali non pericolosi aumenta l'import, che è fatto sopratutto da rifiuti da costruzione e demolizione metallici, che vanno ad alimentare il nostro comparto siderurgico. La povertà di materie prime in questo settore ha fortemente ottimizzato la capacità del nostro paese di recuperare materia metallica dai rifiuti, tanto da essere importatori. L'export è comunque una nota dolente, molti rifiuti pericolosi o rifiuti derivanti dai processi di trattamento rifiuti urbani e speciali prende la via dell'estero, spesso per la mancanza di processi industriali in grado di gestirli in Italia, tutto ovviamente con pesanti costi economici per il sistema paese e spesso con risvolti ambientali non tranquilizzanti, visto che vari dei paesi destinatari non sono dotati di normative ambientali e di sicurezza sul lavoro tali da poterci far stare sereni. E' da sempre opinione di chi scrive, che determinate lavorazioni e processi vadano svolti nei paesi, così detti, "avanzati", perché al netto delle proprie magagne, il controllo ambientale e sociale è comunque ben più alto (della serie provate a vedere, per esempio, che differenza c'è a smantellare una nave in Liguria o in India...), ovvio che ciò richiede la possibilità di avere un tessuto economico competitivo, normativa chiara, puntuale, ma non penalizzante, e la capacità della politica e dei territori di ospitare cicli industriali - che debbono avere tutti i crismi di sicurezza, ovvio - e non cadere preda di un ambientalismo imbelle. Cosa di cui il nostro paese è tutt'altro che immune. Per pulire l'ambiente ci si deve sporcare le mani. Per vuotare la pattumiera la devi afferrare.