giovedì 3 luglio 2014

in punta di lingua

Come mio solito sto leggendo un paio di libri in contemporanea, "Storia dei Greci" di Montanelli e "Bolli, sempre bolli, fortissimamente bolli" di Stella. Il primo racconta, nello stile del grande Indro, la storia del popolo che diede i natali alla civiltà d'occidente, il secondo è un viaggio nell'Italia della burocrazia, tra follie normative e linguistiche. Sembra impossibile, ma tra i due testi c'è più d'un collegamento. Nel viaggio di Stella tra le carte bollate italiche, c'è un interessante passaggio sulla lingua. Perché il burocratese è così ostico, chiuso, ampolloso al punto da essere ridicolo? Perché il burocrate vuole dare importanza a ciò che fa, scrive, anche quando sta banalmente normando quanta acqua deve starci in un water standard. Il burocrate deve usare un linguaggio che sia per pochi, per dei "sacerdoti" della dottrina, gli unici depositari del titolo di scrivere, leggere e far comprendere le norme. Se il popolo capisse da solo le leggi, allora queste sarebbero cosa da poco. Stella ci fa capire come ormai ci sia un sostanziale delirio, ormai sclerotizzato, di chi si occupa di leggi e regolamenti e di come questo delirio ormai si sia insediato stabilmente nel sistema, e per questo sia così difficile da debellare. E questo delirio tocca tutti, anche la società, che più o meno volontariamente chiede leggi non di buon senso, ma minuziose sino alla nausea e, perciò, farraginose e invoca giustizia, confodendo il diritto, col suo abuso, anche per i panni di quello del piano di sopra che gocciola sul terrazzo di sotto, contribuendo pesantemente alla paralisi del sistema giudiziario, già poco agile di suo. Di contro nel racconto della Grecità di Montanelli, ecco uno stile piano, asciutto che espone con una scorrevolezza e godibilità estrema le vicende dei "coturnati achei" di Atene e Sparta, di Pericle, Socrate, Epaminonda e via dicendo.  E, in questo caso, oltre alla lingua sarebbe da riflettere anche sulla gestione delle Leggi a quei tempi.
 L'opera storiografica di Montanelli fu oggetto di pesanti attacchi degli storici di professione, trovarono che la materia venisse troppo banalizzata, che venissero fatti eccessivi parallelismi col presente - Montanelli li usa spesso, per rendere più chiare le vicende - insomma l'opera era grossolana, troppo semplicistica e poco "accademica". Si badi non si critica il contenuto, ma l'esposizione. Ma Montanelli voleva raccontare, appassionando, al maggior numero di persone possibili quella storia. Aveva messo in conto le critiche, ma non perse l'obbiettivo, raggiungere chi ai dotti manuali non si sarebbe mai avvicinato. Per farlo sacrificò qualcosa, il tecnicismo, il nozionismo, ridusse all'osso le date e romanzò un po' fatti e personaggi. Ma con senso dell'equilibrio. E visto che la sua opera storica (Ricordiamo anche Storia di Roma e la monumentale Storia d'Italia, che saranno tra le mie prossime letture) resta ancora tra le più lette, credo che alla fine, Montaneli, alla Storia, abbia fatto più un favore che un torto.

... perché ho scritto questo post? Così per scrivere....

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